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il desiderio di lei. Che se in quegli eruditi Accademici pur volesse cercarsi qualche cosa da riprendere, altro per avventura non si potrebbe notare in essi, che la soverchia modestia. Imperciocchè per solo eccesso di questa virtù (73) egli non vogliono conoscere il valor proprio, e si fanno a credere che l'italiana favella sia men perfetta, men pura e meno stimabile ne' tempi nostri, paragonata a quella che s'usava nel secolo quattordicesimo, appellato perciò da loro il secolo d'Oro. Ma potevano, per mio credere, il cavalier Salviati e gli altri che compilarono il vocabolario sì vecchio, come nuovo della Crusca, esser meno modesti, ed aver migliore opinione del secolo in cui viveano. Si ha bensi da commendare il merito degli antichi, ma non si dee, per innalzar quegli, abbassare ed avvilire il pregio de' moderni. Poichè ben pesandosi la gloria degli uni e degli altri, si può di leggieri comprendere che men da quelli, che da questi, s'è perfezionata la lingua italiana. Potevasi (74) da quei valentuomini Fiorentini molto commendare il merito degli autori che dall'anno 1300 o fino al 1400 scrissero in italiano, perchè essi nel vero furono i padri della lingua, e per tali da noi debbono venerarsi. Ma non poteano sì francamente affermare che con esso loro nascesse e ancor cadesse la perfezione nella detta lingua; ristringendo in un secolo solo (75), anzi nella sola vita del Boccaccio, la riputazione dell' italico parlare; e mostrando con ciò di credere che oggidì per iscrivere e parlar con lode, sia non che utile, ancor necessario il copiare (76) affatto il linguaggio di Dante, del

Boccaccio e degli altri vecchi (77), benchè in molte cose assai dispiacente agli orecchi e alla leggiadria de' moderni. Perciocchè, se dritto si giudica, altra lode (78) non è dovuta al Dante, al Petrarca, al Boccaccio e a tutti que' venerabili padri, che quella che si diede ad Andronico, Ennio, Catone, Plauto, Cecilio, Fabio Pittore, C. Fannio, Pacuvio, Terenzio, Lucilio, e ad altri vecchi scrittori della lingua latina.

Che ciò sia vero, può con alcune ragioni da noi provarsi; e ci sarà profittevole tal pruova, acciocchè sappiamo qual sia maggiore il merito degli antichi o de' moderni scrittorf, e quai di loro sieno più volentieri da imitarsi; e accioc chè non c'inganniamo nell' adorar troppo ciecamente le ceneri de' nostri antenati. Primieramente adunque diciamo, che non ci ha scrittor veruno italiano del secolo quattordicesimo, il quale pienamente sia da imitarsi nella lingua, trattone il gentilissimo Petrarca, nelle cui opere tuttavia (e spezialmente ne' Trionfi) (79) sono sparsi alcuni vocaboli che oggidì non sarebbono molto approvati o tollerati. Dante, il Villani, il Crescenzi, Fazio degli Uberti, Franco Sacchetti, Ricordano Malaspina, Bono Giamboni, Fra Giordano, e simili altri autori di quel secolo supposto d'oro (80) non vanno senza molti solecismi e senza moltissimi barbarismi di lingua, che forse allora tali non erano, o non parvero, perchè non era ancor formata la gramatica; ma che ora il sono, e sarebbono intollerabili nelle moderne scritture. Usano eziandio parole e forme di dire che oggidì riescono pedantesche, rozze e latine; e, in una parola, col

molto lor frumento hanno mischiata non poca quantità di loglio. Il Boccaccio medesimo (81) ne' suoi libri ove più ove meno, anch' egli partecipò della disavventura comune al suo secolo. Nel Decamerone, o sia nelle cento Novelle (che per la lingua e per altre virtù dello stile sono un prezioso erario dell'idioma nostro, ma per la materia sono altrettanto biasimevoli e vergognose) truovasi un gran numero di voci (82) e locuzioni che senza timore di farsi beffare, niuno a' nostri giorni oserebbe adoperare ne' suoi ragionamenti o scritti. Ed è ben da osservarsi che queste Novelle sembrano composte dal Boccaccio non attempato, ma giovane; perciocchè il Petrarca in upa pistola ch' egli scrive al medesimo Boccaccio, e che da me si è veduta in istampa non solo, ma ancor ms. in un codice antico dell'Ambro siana, dice d'aver letto quel libro, e va scusando la poca onestà del novellar Boccacce vole coll' età giovenile in cui era l'autore quando le scrisse. Delectatus sum, ecco le parole del Petrarca, in ipso transitu, et si quid lasciviae liberioris occurreret, excusabat aetas tua tunc. quum id scriberes. Ma dal Boccaccio stesso, miglior testimonio, possiamo raccogliere che tal non fusse l'età sua. Nella Fiammetta poi, nel Filocolo, nel Corbaccio, nell'Ameto, nell'Urbano, nel Filostrato, nella Teseide, nel Ninfal Fiesolano (83), e in altre opere italiane, alcuna delle quali fu composta dal Boccaccio più avanzato nell' età, e consumato nello studio della lingua, egli appare talvolta un maestro tanto infelice dell' italico parlare, che gli

stessi compilatori del Vocabolario della Crusca si fanno scrupolo di citarne e adoperarne l'autorità, confessando talmente difettosi que' libri nelle voci, nella tela delle parole, e nel nuche purgata orecchia non li può sof

mero,

ferire.

Ciò posto, chi mai ragionevolmente si persuaderà che l'italiano idioma fosse pervenuto in que' tempi al più alto grado della sua perfezione, quando fra coloro che allor l'usarono o niuno, o quasi niuno si mostra che sia senza macchie, anzi (per dir meglio) che non abbia moltissime macchie (che tali almen sarebbono chiamate ne' libri de' moderni potendosi contar fra quegli antichi scrittori alcuno sì pieno di rancidume e d'altri difetti che nulla più? Veggasi, per lo contrario, se negli scrittori del secolo d'oro della lingua latina appaiano le medesime imperfezioni; se trovinsi parole o frasi da riprovarsi e fuggirsi nelle molte e varie opere di Cicerone (84), d' Orazio, Virgilio, Lucrezio, Catullo, Tibullo, Properzio, Cesare, Sallustio, Cornelio Nipote, Livio, e di tanti altri autori, che vissero in quel secolo fortunato. Certo che no. Segno è dunque che ne' tempi del Boccaccio non potè la favella italiana essere ancor giunta al colmo della sua perfezione e bellezza. Perciò può giustamente ancor dirsi che nel medesimo stato fosse allor la nostra lingua, in cui fu la latina a' tempi di Plauto, Ennio, Pacuvio, Terenzio (85), cioè ancor pienamente purgata, non pulita abbastanza; e ch' essa dopo l'anno 1500

non

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solamente cominciasse a perfezionarsi, come parimente avvenne alla latina nel solo secolo di Cicerone. Oltre a ciò, niuno scrittor prudente ci è oggidì, che stimi cosa o lecita, o degna di lode, l' adoperar tutte le parole e maniere di dire che si usarono dagli autori del secolo quattordicesimo, come fa talvolta ne' suoi libri Lionardo da Capova (86). Per consentimento di tutti i saggi si debbono elegger le voci più pure, le locuzioni più leggiadre di que' padri dell'italico idioma, e non toccare il lor rancidume. Altrettanto ancor facevano i romani scrittori al tempo di Cesare e di Tullio; e chi altrimenti operò, fu dileggiato da

tutti.

Secondariamente le lingue allora più sono salite in alto pregio, quando elle hanno avuto più scrittori eccellenti, che con esse abbiano trattato tutte le scienze e le arti. Contuttochè Omero, Esiodo, Orfeo, Lino e altri valenti autori avessero si felicemente scritto in greco, pure non giunse giammai quell' idioma alla sua perfezione e gloria, se non in quel tempo in cui fiorirono Platone, Aristotele Isocrate, Demostene, Eschine, Sofocle, Euripide, Aristofane, Teofrasto, Senofonte, e mille altri famosi Greci che trattarono e coltivarono tutte l'arti e le scienze. Non fu differente la fortuna del linguaggio latino. Al secolo di Tullio, in cui vissero tanti gloriosi scrittori, toccò l'onore d'averlo perfezionato quantunque ne' secoli avanti non pochi yalentuomini avessero acquistata gran lode in iscrivendo latino, e si stimassero, e tuttavia si

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