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nostra italiana che in altra lingua si scrivesse oggidì e si trattassero in essa tutte l'arti e le scienze (123). Chiunque ama l'onor dell' Italia e la gloria de' nostri tempi, dovrebbe di leggieri comprendere l'onestà, l' utilità. la necessità di questo consiglio. Se noi col nostro usato e proprio idioma scrivessimo, tutti coloro che o non possono o non vogliono ora sgomentati dalla fatica, apprender la lingua latina, potrebbono tuttavia divenir dotti e letterati, e agevolmente imparar gli ammaestramenti della vita, parte della teologia, la natural filosofia, le leggi divine e umane, le storie, le varie arti, e in somma tutto ciò che con sì gran sudore convien mendicare dalle lingue straniere. Crescerebbe parimente fuori d'Italia il pregio della nostra lingua; e siccome per tutte le provincie dell' Europa e in altre parti della Terra ella oggidì si studia e con piacere si parla, molto più ciò si farebbe, ove maggiore utilità trar se ne potesse per la copia delle cose per mezzo di lei pubblicate. Ed è ben più facile alle altre nazioni l'apprendere questa, che altra lingua, non tanto perchè essa è la più legittima figliuola della latina, quanto per altri riguardi ancora, che non concorrono in altri idiomi. Usarono i Greci e i Latini, anzi tutte l' altre nazioni, il proprio lor linguaggio in iscrivendo; perchè non può, o, per dir meglio, perchè non dee farsi da noi pure lo stesso? E perchè mai tanto studio per illustrare o coltivar la lingua latina, che finalmente, benchè nata in Italia, pure oggidì è lingua morta e straniera agl' Italiani medesimi,

e costa sì gran fatica a chi vuole apprenderla, non che a chi vuol con leggiadria ne' suoi scritti usarla? Apprendasi pure il latino idioma: io non voglio per questo che l' Italia impigrisca, o si contenti del proprio volgare; anzi tengo per necessario a ciascun letterato l'impararlo, ma non già bene spesso lo scrivere in quello. Il primo non è difficile, ma bensì difficilissima è la seconda impresa, non potendosi questa fornir con gloria senza un incredibile studio. Nell' uso dunque dovrebbe, più che altra lingua, amarsi l'italica nostra, per noi senza fallo molto più facile a questa proccurarsi ogni onore, essendo noi più a lei che alle altre lingue obbligati; di essa valersi in qualunque materia, e in trattar quasi tutte le scienze; in essa finalmente traslatarsi le più degne fatiche de' Latini, come dopo il 1500 si diedero a fare parecchi valentuomini, l' esempio de' quali non fu poi seguitato, e come a' nostri giorni ha fatto di molti greci poeti l'ab. Antonio Maria Salvini uomo dottissimo spezialmente nella greca ed italiana favella. Non è poca ingratitudine il dispregiare un sì riguardevole fortunato idioma, in cui tutti abbiamo interesse. Oggidì ancora poco ci servirebbe la lingua latina se gli antichi Romani avessero solamente adorata la greca. Nè già mancarono in Roma, vivendo Cicerone alcuni che riprovavano l' usar la lingua latina in iscrivere argomenti gravi, amando coloro la greca, siccome oggidì noi amiam la latina. Ma e con gagliarde ragioni e col proprio esempio s'oppose a quegl' ingiusti

ed ingrati censori il mentovato Cicerone, come può vedersi nel primo libro de' Fini; e fu da tutta la posterità approvato e seguíto il suo prudente consiglio. Parmi perciò degno non sol di lode, ma d'invidia il costume de' moderni Franzesi ed Inglesi, che a tutto lor potere e con somma concordia si studiano di propagar la riputazione del proprio lor linguaggio, scrivendo in esso quasi tutte l'opere loro. E perchè non vorran fare lo stesso gl' Italiani (124), la lingua de' quali ha altre prerogative che non ha l inglese, e, con pace di un certo Dialogista, non è inferiore alla franzese, anzi può facilmente provarsi superiore ?

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CAPITOLO IX.

Si difende la lingua italiana dalle opposizioni di un certo scrittore di Dialoghi. Diminutivi ingiustamente derisi. Propri ancor della greca e latina favella. Terminazioni e varia musica delle parole italiane. Lingua nostra non amante delle antitesi, o de' giuochi di parole. Iperboli e tropi senza ragion condannati. Uso de' superlativi e delle metafore difeso.

E conciossiachè noi favelliamo delle lingue, mi sia lecito ricreare alquanto sul fine i miei lettori coll' esporre alcuno di quegli argomenti che il росо fa nominato Dialogista franzese apportò in commendazion della propria lingua, e in dispregio della nostra ; massimamente non essendoci stato verun de' nostri dopo tanti anni che quell' opera è pubblicata, il quale abbia alzato lo scudo in difesa della patria. Non ci dispiacerà d' udire con quanta modestia e verità parli dell' idioma italiano un giudice straniero, e non sarà poco profitto il comprendere le ragioni per cui egli afferma che la nostra lingua è infinitamente inferiore alla franzese. Che se io in questo argomento porterò opinion diversa da quella del Dialogista, spero bene ch'ogni lettore provveduto di senno e amante del giusto saprà e vorrà conoscere che colla mia opinione può accordarsi, e di fatto s'accorda il rispetto da me dovuto e professato alla stessa lingua e nazion

franzese, e a chi per ragione dell' instituto ha interesse nella riputazione del Dialogista medesimo. Queste sono placide battaglie. Con piacere e profitto del pubblico moltissime se ne mirano tutto dì, e spezialmente in Francia, e intorno alla stessa lingua franzese. Laonde sono io ben certo che se non con profitto, se non con piacere, almeno senza dispiacere si mirerà questo mio piacevole combattimento da quella gente la quale oggidì non è men gloriosa per ave re un Re gloriosissimo, e per aver prodotto e produrre tanti eccellenti ingegni nelle lettere, e per aver cotanto illustrato e renduto famoso il suo linguaggio, che per amare l'equità e la giustizia.

Ciò posto, io dico che dopo avere il suddetto Dialogista osservato un difetto, della lingua spagnuola, consistente ne' vocaboli troppo risonanti, pomposi, pieni di fasto, di vanità e di falsa maestà, passa egli ad amorevolmente avvertire ancor gl' Italiani di que' difetti ch'egli ha scoperto nella nostra lingua. Confessa ingenuamente che in lei non si truova l'orgoglio e la vana grandezza della spagnuola, ma non può dissimulare che anch'essa cade in un altro difetto, e nell'opposta estremità, cioè nel giochevole, allontanandosi dalla gravità e dal fasto. Ci ha, dice egli, cosa men seria di que' diminutivi che le son tanto famigliari? Non si direbbe egli ch' essa intende di far ridere con quei fanciulletto, fanciullino; bambino, bambinello, bambinelluccio; huometto, huomicino, huomicello; dottoretto, dottorino, dottorello, dottoruzzo; vecchino, vecchietto

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