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figure fossero ornamenti de' versi, non figure nemiche della verità; nè cadde loro giammai in pensiero che ciò potesse alterar la verità e offender la natura, come avvisa il mentovato Critico. Ora egli mi sembra ben probabile che più tosto questo novello Censore, che tanti altri valentuomini dell'antichità abbiano errato. E in effetto, non che i Greci e Latini, tutta la Francia moderna ben sa che queste bugie son lecite, anzi lodevolissime nei versi, ai quali son riserbate; e perciò tutti i poeti franzesi le usano, senza che s' avvisi alcuno adoperandole di ribellarsi al genio della nazione, tanto nemica della bugia e del falso. Che se i poeti della Francia con sobrietà le adoperano, fanno ciò che la Poetica eziandio degl' Italiani costuma ed insegna, non dovendosi queste se non con parsimonia usar da qualunque poeta. Nè questa sobrietà de' Franzesi nasce, come dicevano, dal credere che s' offenda la verità; perchè in tal maniera non ne dovrebbono pur una usare, affine di non commettere giammai contro alla verità un tal sacrilegio; ma nasce dal buon gusto poetico, il quale ove più, ove meno, si vale di questa

moneta.

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Io però disavvedutamente mi lascio condur fuori di sentiero da questo scrittore; e non m'avveggo che inutilmente ripruovo un argomento mal fondato, e inutilmente da lui rapportato per provar la maggioranza della sua favella, almeno in una parte. Imperciocchè l'uso delle iperboli nulla ha che fare colle lingue, ma bensì coll' elocuzione poetica, di

cui non voglio parlar io, nè doveva parlar egli, essendo ciò fuori del suo proposito. Poteva egli con maggior cautela contentarsi d'aver solamente osservato che l'idioma suo non ammetteva superlativi, poichè ciò veramente si convien all'argomento ch' ei tratta; qui poteva egli fondare un pregio particolar della sua lingua, mostrandola sì nemica delle esagerazioni, come quelle che alterano la verità. Dissi ch'egli poteva con maggior cautela propor questa sola osservazione; ma non dissi con maggior ragione. Imperciocchè altro ci vuole per provarci che i superlativi sieno. esagerazioni, e che si alteri con essi la verità. Questi sì fatti nomi altro non sono, altro non significano, che qualche cosa più del positivo, solamente accrescendo la mezzana qualità degli oggetti. S'io nomino saporito un frutto, se bello un fiore, se alta una casa, fo intendere un sapore, una bellezza, un'altezza mediocre e ordinaria in quegli oggetti. Dicendo poscia un frutto saporitissimo, un fior bellissimo, una casa altissima, solamente significo un sapore, una bellezza, un'altezza più che mediocre e non ordinaria di quelle cose, come se dicessi quel frutto è più saporito dell' ordinario, ec. E perciò usarono molti scrittori latini ed italiani (126) di antepor talvolta agli stessi superlativi un molto, un assai, un più, allorchè vollero far qualche esagerazione, o mostrar l'eccesso di qualche cosa, mostrando che i superlativi poco sopravanzano la forza de' positivi. Sono poi necessari, o almeno utilissimi questi superlativi alle lingue, perchè essi con una sola parola

esprimono le qualità o accresciute o diminuite delle cose, essendo certo che ogni qualità riceve il più e il meno. Ma che vo io affaticandomi ? Non ha forse l'idioma franzese i suoi superlativi (127), ch'esso forma col mettere un tres avanti al positivo, come tres beau, tres excellent, tres curieux, tres bon? Sì, ch' esso ch'esso gli ha; superlativi gli appella, non men del nostro linguaggio gli adopera; e lo stesso significa appo i Franzesi questa maniera di dire, che i superlativi de' Greci, de' Latini, degl' Italiani. Mostrisi, di grazia, qual differenza ci sia fra i nostri e i suoi superlativi. Una sola, se pur dobbiamo accennarla, ce ne ha per avventura; ed è, che i Franzesi con due parole, noi con una sola, esprimiamo la medesima cosa. Il che certo essendo, non so perchè il Censore volesse toccar questa corda; poichè ciò forse è un palesar la sua lingua inferiore in questo paragone all'italiana. Molto meno intendo come egli con tanta franchezza potesse affermare che l'essere la sua lingua troppo nimica delle esagerazioni, senza dubbio era la cagione per cui inancavano ad essi i superlativi, e per cui si condannavano grandissime, bellissime, e altre somiglianti voci, usate da qualche Franzese. Quantunque io non abbastanza intenda quell'idioma, e massimamente in comparazione di lui, che da' suoi è riputato con ragione un de' migliori maestri della favella franzese; pure oserei quasi con più giusta confidenza dire che non per altra ragione si sbandiscono da quella lingua tali superlativi, se non perchè non appariva necessità veruna d'introdurvi

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questa nuova maniera di superlativi, dacchè gli antichi avevano in altra guisa soddisfatto: o pure perchè essi poco si acconciano alla natura di quella lingua. Non si soffrono da lei parole brevi e sdrucciole, cioè che abbiano accento nell' antepenultima, ma solamente le lunghe. Ora i superlativi, presi o dalla lingua latina o dalla nostra, ancorchè si possano pronunziar Junghi nella penultima, tuttavia ritengono una tal cadenza di brevità, che non molto propriamente si fanno udire pronunziati alla franzese. Aggiungasi, che gli addiettivi di quella lingua sono spesse volte in tal guisa terminati, che di molti non si sarebbe potuto formare il superlativo secondo la forma nostra. Il perchè cosa e più regolare e più acconcia alla lingua franzese fu creduto l'usare, in vece de' nostri superlativi, la maniera di dire sopra da noi mentovata, che in fatti è il medesimo nostro superlativo, espresso con due parole.

Va poi questo scrittore esaltando a suo talento la lingua franzese, perchè ella non adopera le metafore, se non quando non può far di meno, o quando i vocaboli traslati son divenuti propri. Stima egli perciò difetto nei Franzesi l'usar traslazioni senza necessità; e in effetto soggiunge queste altre parole: Egli è certo che lo stil metaforico non è buono fra noi nè in prosa, nè in verso. Ma certissimo egli è ancora che con queste parole il nostro Censore senza veruna parzialità condanna tutti gli altri scrittori che hanno grido in Francia non eccettuando il Malerbe, il Voiture, Balzac, Pietro Cornelio, il Racine, il Boileau ec.,

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niun de' quali fu esente da quel difetto che qui si ripruova, perchè tutti senza necessità hanno usate le traslazioni. Io lascio ai Franzesi medesimi la cura di difendersi dalla sentenza del loro nazionale, e di cercare se in ciò sieno giustamente ripresi. Quanto è agl' Italiani, so che riderebbono, se taluno osasse riprenderli, perchè talvolta usino le metafore, potendone far di meno. Sanno essi che tutta l'antichità e tutte l'altre nazioni tengono opinion contraria. Anzi a troppo grandi strettezze, e ad uno stile poco elegante e poco sollevato si ridurrebbe la prosa, non che la poesia de' Franzesi medesimi, quando non fosse in altra maniera, che nella divisata dal Dialogista, permesso ai Franzesi di usar le metafore. Ciò sarebbe uno spogliar lo stile d'un grande e necessario ornamento. Laonde par tanto lungi dal potersi dire che fosse cosa gloriosa alla lingua franzese l'astenersi da tutte le metafore non necessarie, che più tosto converrebbe confessar difetto in lei, se oltre alle necessarie non potesse ella valersi ancor delle altre che solamente servono per ornamento dello stile. Ma forse lo stesso panegirista della lingua franzese cambiò, senza pensarvi, tenza poco appresso, o contentossi che ancora i suoi nazionali godessero il privilegio degl' Italiani, de' Greci e de' Latini; perchè aggiunge: che non può la lingua suddetta sopra tutto soffrir le metafore troppo ardite; onde essa le sceglie con grande avvertenza, non le cava troppo da lungi, e parimente non le conduce troppo lontano, ma insino ad un termine

MURATORI, Perf. Pocs. Vol. III.

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