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convenevole. E ben poteva egli godersi questa. gloria in pace; ma ciò non bastò al suo zelo, volendo egli che un tal pregio talmente sia proprio della sua lingua, che a niun' altra delle vicine possa attribuirsi. Perciò seguita egli a dire: Nel che la lingua franzese è ancor ben differente dalle sue vicine, le quali conducono sempre le cose a qualche estremo. Perchè s'elle, per esempio, fansi a trattare alcuna volta d'Amore, non lasciano di prender tosto per lor Faro la fiaccola di Cupido, per istella polare gli occhi della Beltà di cui elle parlano, ec. Finalmente dice: che queste metafore continuate, o queste allegorie, che son le delizie degli Spagnuoli e degl' Italiani, son figure stravaganti presso a' Franzesi. Bisogna senza dubbio che questo scrittore non sia di stirpe franzese, scrivendo in sì fatta maniera. Egli stesso è testimonio, che per essere i Franzesi giurati nemici della falsità e delle menzogne, non sanno sofferir le esagerazioni, perchè da queste si altera la verità. Ora come potrà mai egli mostrare che in molti luoghi ma spezialmente in questo, non abbia egli medesimo formate delle esagerazioni? Molto, credo io, sarebbe egli intrigato a sostener come cosa vera e certa quella ch' ei va dicendo cioè: che le lingue italiana e spagnuola portano SEMPRE le cose a qualche estremo, quasichè mai non uscisse fuori del capo de' nostri autori metafora alcuna modesta e moderata. Non dovette però sembrare a lui stesso di parlare in questo luogo con soverchia esagerazione; poichè gli esempi da lui citati per

avventura gli parvero bastevoli a provar la sua sì franca proposta. Nè io vo' fargli torto col credere ch' egli ancor qui esagerasse, inventando col suo cervello i medesimi esempi, o almeno alterandoli, per farli comparir più ridicoli. Liberamente credo, che s'egli stesso non avrà trovato ne' libri degl' Italiani quella fiac-. cola d'Amore divenuta un Faro, potrà almeno un di que'suoi dialogisti averla udita dalla bocca di qualche Italiano innamorato. Ma, quando anche ciò sia vero, che vuol egli mai provare con questi esempi? Forse che tutti gl' Italiani parlino sempre così, o non sappiano parlare in altra guisa? Penerebbe a crederlo, non che ogni uomo intendente, chi non avesse pur letto alcun libro italiano. Forse che i suoi nazionali mai non cadono in sì stravolte metafore? Mi perdonino i benigni lettori franzesi, s'io penso che tale non sia l'intenzione di lui, potendosi di leggieri far palese con parecchi esempi che ancora i Franzesi sono e possono essere tuttavia rei della medesima colpa. Adunque altro non volle intendere, se non che qualche Italiano talor concepisce disordinate metafore. Ma, cid conceduto, non potrà egli per questo mai conchiudere, se non con una logica strana, che gl' Italiani SEMPRE cadano in qualche estremo. Noi altresì, non men de' Franzesi, condanniamo le metafore troppo ardite e troppo da lungi cavate; lodiamo sol quelle che si formano secondo i consigli della buona rettorica. Le metafore continuate, o sieno le allegorie da noi s'adoperano di rado; nè queste son le nostre delizie, com' egli esagera, se non quando son

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fabbricate con ottimo gusto nel qual caso crediamo più gloria l'usarle con tutti gli antichi Latini e Greci, che l'abborrirle come figure stravaganti e biasimevoli, con alcun troppo dilicato censore de'nostri tempi. Ma io di nuovo m'avveggo di gittar le parole e i passi nel seguir le pedate di questo scrittore, il quale avvisandosi di parlar delle lingue, di tutt' altro parla; appartenendo all' elocuzione, non alla fingua, alla rettorica, non alla gramatica, il formar buone o cattive metafore. Son però tanto dilettevoli tutte le osservazioni di questo autore, quantunque poco utili all'argomento da lai preso, che se gli può perdonar ben volentieri il suo aggirarsi, e il trar noi pure fuor di cammino.

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CAPITOLO X.

Trasposizion delle parole nelle lingue se biasimevole, o lodevole. Pronunziazione della favella d'Italia. S'ella sia molle ed effemminata. Dolcezza virile d'essa. Conformità della lingua italiana e latina. Esagerazioni del Censore. Paragone della lingua franzese colla nostra. Obbligazione della prima alla seconda.

SEGUE il Dialogista a narrar le glorie della lingua franzese. Ecco le sue parole: La lingua franzese è forse la sola che segua esattamente l'ordine naturale, ed esprima i pensieri come appunto nascono a noi nella mente. I Greci e i Latini hanno un giro sregolato. Affin di trovare il numero e la cadenza da lor cercata con somma cura, travolgono l'ordine con cui immaginiam le cose. Il nominativo, che ha da essere primo nel ragionamento secondo la regola del giudizio, si truova quasi sempre nel mezzo o nel fine. Gľ Italiani e gli Spagnuoli fan quasi lo stesso, consistendo in parte l'eleganza di queste lingue nell' accennata disposizion capricciosa, o più tosto in questo disordine, e strano trasponimento di parole. Non ci è che la lingua franzese che segua le pedate della natura; ed ella non ha se non da seguirla fedelmente per trovare il numero e l'armonia, che le altre lingue non incontrano, se non confondendo l'ordine naturale, Oh qui sì, che il nostro

autore incomincia a battere il suo sentiero, osservando ciò che veramente appartiene alla lingua, e non all' elocuzione. Nè dee qui lasciarsi di commendare la modestia e liberalità sua; perchè quantunque confessi d'aver fatta questa osservazione molto tempo avanti, e per conseguente non fosse egli molto obbligato a far parte di questa sua lode ad altrui, contuttociò afferma che lo stesso era già stato osservato ancora da un valentuomo ne' ragionamenti stampati con questo titolo: Les avantages de la langue françoise sur la langue latine (128). Autore di questo libro fu il sig. Laboureur; e il nostro Dialogista stimò cosa superflua il nominarlo, come ancora il citarlo in altri luoghi, benchè ne copiasse molti sentimenti. Ma venghiamo al proposito. Che la lingua franzese in effetto servi l'ordine divisato, è assai manifesto. Ma non è egualmente manifesto che questo in tutto sia l'ordine naturale, veggendosi che alcuni altri popoli della terra, e spezialmente gli Ebrei, usano un ordine alquanto differente; e pur la lingua ebraica è la più naturale, ed è probabilmente madre dell' altre tutte. Pongasi ciò nulladimeno per cosa certa. Altro è poscia il mostrare una proprietà dell'idioma franzese; altro è il volere che questa proprietà sia una prerogativa sopra le altre lingue. E non sa egli questo scrittore, che l'arte migliora e perfeziona spesse fiate la natura? Ora ciò si fa pur nelle lingue. Ricevono esse dall'arte gramatica e migliore armonia e maggior dolcezza, o gravità, ed altre virtù, che loro non diede la natura. E appunto il

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