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poscia i secondi in buoni e cattivi, siccome si deve fare eziandio in Italia; augurando ai cattivi migliore intelletto, e rallegrandomi coi buoni per la lor fortuna e virtù; molto però più amo e venero la nazion franzese, perchè universalmente l'idioma italiano è amato ed apprezzato in Francia. Nè si fanno già scrupolo que' valentuomini di confessar l'obbligazione che ha la lor lingua alla nostra ; e un eerto autore che pubblicò l'anno 1673 un libro intitolato De la connoissance des bons livres, nel cap. 4, ove tratta della maniera di ben parlare e scrivere nella lingua franzese, favella in tal guisa: Dappoichè gl' Italiani furono ricevuti in Francia sotto i re Carlo VIII, Lodovico XII, Francesco I e Arrigo II, essi fecero cangiar la lingua franzese più d'un terzo. Truovasi pure stampato l'anno 1583 un libro, il cui titolo è questo: Deux Dialogues du nouveau Langage françois italianizé, ou autrement déguisé entre les courtisans du temps. Quivi l'autore, cioè il famoso Arrigo Stefano, pretende di mostrare che quasi tutto il linguaggio franzese s'è formato con quel d'Italia, non solamente per le parole toltene di peso, ma per aver tutte l' altre dagl' Italiani ricevuto addolcimento, o qualche nuova pronunziazione. Quanto poi sia da' Franzesi oggidì stimata la lingua nostra, può scorgersi dalle opere italiane composte da due valorosi scrittori di quelle nazione. Uno di essi è il soprammentovato ab. Menagio, Accademico della Crusca, autore delle Origini della lingua italiana, e d'altre gentilissime prose e ancor di molti versi nel

medesimo nostro linguaggio. L' altro è il chiarissimo ab. Regnier Desmarais, che con leggiadria maravigliosa ha tradotto in versi italiani le роеsie d'Anacreonte. Dice questo autore nella prefazione al detto suo libro: Non è però che quel ch' io ho fatto così a caso, non l' avessi anche fatto per elezione e a bello studio, ogni volta che deliberatamente mi fossi dato a tradurre Anacreonte in volgar lingua, sì per l'abbondanza, forza, brevità e sonorità della toscana, non inferiore forse in questo alla greca, come per la corrispondenza e conformità de' metri fra l'una e l'altra. Con somiglianti sentimenti parlano gli altri più saggi Franzesi in lode della nostra lingua, ben sapendo che ancor l'Italia loro corrisponde, con amare e commendare ia lingua franzese. M' immagino io perciò che a lor muova la collera, siccome a noi muove il riso, quell'udire alcuni, i quali avvisandosi di apportar gran nome alla lor nazione e favella, disavvedutamente le tirano addosso l'odio altrui, perchè non sanno lodarla senza mille esagerazioni, o senza offendere la gloria de' vicini, e insieme la verità medesima. Per altro può essere che l'Italia non conosca oggidì abbastanza e la propria felicità e l'altrui fortuna; pure ella non sa credere ciò che uscì di bocca a que' due Dialogisti in un altro luogo. Potrebbe dirsi ( così favellano essi) che tutto l'ingegno e tutta la scienza del mondo è oggidì ristretta tra i Franzesi, e che tutti gli altri popoli son barbari in lor comparazione. Egli non è una prerogativa e un merito in Francia l' aver

ingegno e giudizio, perchè tutti i Franzesi ne hanno. Fra loro non c'è persona la quale, purchè abbia avuto un poco d'educazione, non parli bene, e non iscriva con leggiadria. Il numero de' buoni autori e de' componitori di belle cose è infinito in Francia, ec. Così parlano due Franzesi, ma senza la modestia e la prudenza de' veri Franzesi. Questi due pregi probabilmente non si sarebbono desiderati in chi gl'introduce a parlare, s' egli in età più matura avesse preso a comporre quel Dialogo, e a trattar questo argomento. Intanto però non dovrà dispiacere ad alcuno conoscente dei diritti della natura e della giustizia ch'io abbia in qualche guisa difeso la lingua italiana dalle animose censure altrui; e ch' io persuada agl'ingegni della nostra nazione il difenderla ancor meglio di me, non con altro, che colla bellezza e perfezione de' loro libri.

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Epilogo dell' Opera e perfezione del buon gusto poetico.

RACCOGLIENDO finalmente le vele, fia bene disaminar le merci che per avventura abbiamo raccolte nella nostra navigazione. Il perfetto buon gusto poetico è quello che conosce e gusta, e molto più quello che sa mettere in opera tutto il bello e tutte le perfezioni della poesia. Ora le perfezioni e il bello della poesia possono in due maniere considerarsi, ponendo mente alle due differenti vedute di quest' arte. Imperocchè o și riguarda la Poetica per sè stessa, e come arte fabbricante: e allora consiste la sua perfezione in porger diletto alle genti. O si contempla come arte subordinata alla politica e filosofia morale:

allora è riposta l'eccellenza sua nel recare ancora utilità agli uomini. Perchè poi l'arte dei poeti non lascia mai d' essere suggetta alla mentovata filosofia e politica, per questo il bello o la perfezion maggiore della poesia consisterà tanto nel generar diletto quanto nell' essere d'utilità ai cittadini. O per lo meno dovrà questo diletto, figliuolo della poesia non essere pernizioso alla repubblica. Si apporterà profitto da' poemi, quando per mezzo d'essi acconciamente e fortemente s'instilli' e s'imprima nel cuore degli uomini l'amor delle virtù, l'odio de' vizi. Il che si eseguisce o con vivamente dipingere gli altrui costumi

buoni o rei, o col rappresentar favole, fatti ed imprese d' uomini viziosi e virtuosi con sentimenti si dicevoli e con tai colori, che si conducano, come per occulta virtù e con una spinta segreta, le genti a volere o ad abborrire ciò che si dee seguire o fuggire nella vita civile, regolata dalla diritta ragione. Che se talvolta vorremo permettere a' poeti il recar solamente diletto, richiederà la perfezione poetica che questa dilettazione sia sana, e lungi dal pericolo d'avvelenare gli animi altrui. Per la qual cosa chiamiamo imperfettissima quella poesia che rappresenterà dolci i vizi, deriderà le virtù, ed insegnerà, non che farà piacere al popolo, i dannosi, malvagi e disonesti affetti.

Appresso consistendo la perfezione della poesia considerata in sè stessa nel risvegliar diletto, gli sforzi tutti del poetico magisterio si debbono indirizzare a questo bersaglio. Ma l'intelletto dell' uomo non può provar diletto fuorchè dal vero, ch'è il suo pascolo saporito. L'unica via adunque di dilettare ne' poemi serii si è quella del dipingere e imitare il vero delle azioni, de' costumi, de' sentimenti, e di tutte le cose contenute nel vastissimo seno dei tre mondi e regni della natura. Questo vero poscia, o effettivamente sia, o sia avvenuto, ovvero sia potuto o dovuto essere, o avvenire, ha forza di piacere all' intelletto nostro, contentandosi questa potenza del solo probabile, credibile e verisimile, il quale non è falso, ed è compreso dentro alla circonferenza del vero. Ma non ogni vero è capace di

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