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dilettar l'intelletto, siccome non ogni oggetto sensibile è atto a dilettare il senso; e questo, difetto nasce non dal vero, perchè naturalmente ogni vero può o dee' piacere, ma bensì da una vogliatezza e da una lodevole ambizione dell'animo nostro, il quale con piacere. non abbraccia le verità comunali, triviali, e già da lui conosciute. Adunque resta che gli avvenimenti, costumi e sentimenti, anzi qualunque cosa si vuol dipingere in versi, debbano portar con seco novità e maraviglia, essendo allora certissimo che produrrau diletto. Perocchè per isperienza sappiamo rallegrarsi l'intelletto nostro, ov' egli impari; ed egli sempre impara, qualor conosce verità ed oggetti nuovi e maravigliosi.

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Ora in due maniere può il vero contener novità, e svegliare stupore: cioè o per cagion della materia, o per aiuto dell' artifizio. Se le cose dipinte dal poeta saranno per sè stesse nuove e mirabili, diremo che dalla materia nasce lo stupore, e per conseguente il diletto. Per contrario se le verità e cose rappresentate dal poeta saran plebee, triviali e notissime contuttociò egli le esprima con tal vivezza forza e ornamento che rapisca: allora dall'artifizio procederà la maraviglia, la novità, la virtù del dilettarci. Posto ciò fia primieramente cura particolar de' poeti lo scoprir tutto quel nuovo e mirabile che può trovarsi nella materia, col rappresentar le cose più tosto come doveano o poteano essere e accadere, che come sono o di fatto accaddero, contenendosi, sempre mai dentro i confini del verisimile.

cioè del vero universale, e guardandosi dal contrariare sfacciatamente alla natura, alla storia e alla volgar credenza. Secondariamente per dar novità alle cose e alle verità che ne son bisognose, userà egli tutte le forze dell'artifizio poetico, il quale doppiamente può dar loro questo si prezioso colore. O con tale energia ed evidenza ci fa egli veder dipinte le cose, che quantunque sieno queste comunali e note, pure infinitamente piacciono per la vivezza della dipintura. O pure si vestono dall'artifizio i sentimenti e le azioni con un sì pellegrino e vago ammanto, che ci appaiono piene di novità: il che si compie dall'acutezza dell'ingegno, che con brevi o leggiadri o piccanti e spiritosi concetti esprime le cose ovvero dalla fecondità e dai capricciosi e bei delirii della fantasia, la quale con traslazioni, allegorie, parabole e altre immagini, o invenzioni di maggior mole, dà un' aria nuova inaspettata agli oggetti ch' erano incapaci di cagionar movimento negli animi nostri.

All'ingegno pertanto e alla fantasia appar

tiene come il ritrovare materia nuova e mirabile, così il farla divenir tale per mezzo dell'artifizio. Un vasto ed acuto ingegno, una chiara, veloce e feconda fantasia son quelle due potenze che, collegate insieme, per varie e differenti strade ci guidano a far mirabili i nostri poemi, e ad incantare co' lor trovati l'animo degli ascoltanti e lettori. Felice quel poeta che dalla natura ne fu con parzialità provveduto! Ma di gran lunga più felice chi ad un grande e filosofico ingegno e ad una fertile e vivace immaginazione congiunto avrà

un dilicatissimo e purgatissimo giudizio. La lega di queste tre potenze è quella ch'è necessaria per formare il perfettissimo poeta ; servendo le due prime per trovare e dipingere il nuovo e il maraviglioso ne' versi, e l'altra assistendo come capo a quelle due braccia. Possono di leggieri l'ingegno e la fantasia traboccare, col passare, o per empito soverchio o per debolezza, oltre gli estremi del bello poetico, cioè traendo ridicole gemme dalla miniera del falso; o col cadere ne' deformi vizi dell' affettazione e della siccità. Porge loro prontamente soccorso il giudizio, il quale misurando colle leggi del decoro, e coll'attenta osservazione del verisimile e della natura, quel che si conviene agli argomenti, non permette all' altre due potenze l'eccedere, o il mancar tra via. Che se finalmente il massiccio della poesia, consistente nel buon uso delle mentovate potenze, sarà accompagnato da quell'esteriore bensì, ma lodevolissimo ornamento delle forme di dire, e delle parole della più purgata lingua in cui si scrivono i versi, allora noi avremo il non più oltre della poesia. A questa compiuta perfezione ha da tendere chiunque vuol conseguire per mezzo delle Muse l'immortalità del nome. E vi potrà pervenire colui che, oltre alla naturale abilità per divenir gran poeta, userà l'attenta lettura de' migliori poeti e de' maestri della Poetica, studierà l'arti e le scienze, avrà buon fondo della vera filosofia, e perfettamente gusterà le regole del buon gusto (146) di cui in parte e abbastanza s'è fin qui ragionato.

MURATORI, Perf. Poes. Vol. III. 16

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DI

ANTON MARIA SALVINI

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(1) Del pari con Omero si debbono condannar tutti coloro ec.) Insigne sopra questo particolare, e degno di qualche riflessione è un passo di Salustio filosofo Cinico, messo fuori da Leone Allacci, del libro intitolato περὶ θεῶν καὶ κόσμου al cap. 3 in fine. Α'λλὰ δια τί μοιχέιας καὶ κλοτας ec. Cioè: Or perchè gli adula terii, i furti, le prigionie de' genitori, dissero nelle favole, con tutta l'altra stranezza e stravaganza Certamente è ciò da maravigliarsi: affinchè per la stravaganza e sciocchezza apparente, tosto l'animo le narrazioni stimi cortine e velami, e il vero pensi essere arcana cosa ed ascosa. Eraclide Pontico nel dottissimo libro delle Allegorie d'Omero, dice che Omero, come un pittore delle passioni umane, allegoricamente gli umani accidenti mette in nome di Dii. Tav oiw ἀνθρωπίνων ὥσπερί ζωγράφος Ομηρός εςιν. αλληγορικώς τόσυμβαινον ἡμῖν θεῶν περὶθεὶς ονομασιν. Ε altrove. τίς εἰω ουτω μέμηνεν ec. Cioè : chi adunque è cost pazzo, che introduca gli Dei a combattere tra di loro, Omero fisicamente queste cose per via di allegoria teologizzando. Per lo contrario per mostrare lo scandolo e 'l malvagio esempio che poteano partorire le favole disoneste, si potrebbe portare quel giovane di Terenzio, rapportato da S. Agostino nelle Confessioni, che nel guardare una pittura di Giove adultero, și stimolava a simile eccesso con dire: Quel che fanno gli Dei, io omiciattolo non farò?

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