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antiche con maniere nuove, purchè tutto sia regolato dal giudizio.

(72) Dee pure desiderarsi che tutti gl' Italiani amanti delle lettere gareggino con esso lei (P' Accademia della Crusca) nel maggiormente coltivare, nobilitare ed arricchir questa lingua.) Ma sia la gara nel comporre, e nel superarsi nella gloria dello scrivere. Ayaln δ' ἔρις ἤδε Βροτοῖσιν, per parlare con Esiodo. Questa è la buona lite, l' emulazione nel comporre in volgare italiano, e nel divenire in quello eccellenti. Poco importa il nome. La lingua latina è detta dal Lazio, in cui già si parlava. L'italiano, il franzese, lo spagnuolo, il tedesco, il fiammingo, l'olandese, l' inglese, lo scozzese, il danese, il pollacco se la fa sua; e così è comune, ed è posta in mezzo a tutti; e chi bene in essa scrive, colui se l'appropria. Per questa via (cioè col pregio delle loro scritture) di torcene la maggioranza hanno studiato i migliori, dice il Salviati ne gli Avvertimenti, lib. 2.

(73) È stato sempre solito che i Gramatici spongano gli antichi, e di quelli faccian più conto, che de i moderni, ancorchè famosi: laonde fu notato Quinto Cecilio Liberto gramatico, il quale oriundo d'Epiro, non ostante insegnava in latino, non come gli altri in greco, ch'egli leggesse i poeti moderni, e spiegasse Vergilio. Di lui parla Svetonio de illustribus Grammaticis, dicendo: Primus dicitur latine ex tempore disputasse, primusque Virgilium, et alios poetas novos perlegere (leggo praelegere) coepisse : quod etiam Domini Marsi versiculus indicat.

Epirota tenellorum nutricula vatum :

che è un verso minchionatorio, quasi facesse una cosa che non convenisse.

L'Albanese Messer, de' tenerini
Poeti meschinetta allevatrice.

Veggiansi gli antichi gramatici latini, ancora de' tempi più bassi. Non citano se non gli antichissimi. Vanno alla prima sorgente. Non degnano i moderni. Non per modestia adunque soverchia il fecero i nostri; ma perchè così era il dovere, e perchè avevano quei motivi di farlo, che si son detti.

(74) Potevasi ec. molto commendare il merito degli autori che dall'anno 1300 ec.) Certo la diligenza in quegli autori non è da considerarsi, non che da ammendarsi. E che diligenza usavano ne' quaderni de' conti, che per la bontà e purità della lingua pur son citabili? Nelle cronache dettate senza alcuno ornamento, salvo che quel nudo della purità? Quelle belle frasi, quelle maniere di dire toccanti, esprimenti, le raccoglievano sul suo; le produceva il terreno e quella stagione da sè, senza studio, senza fatica; perciocchè naturalmente e comunemente la lingua si parlava bene; e bene in guisa, che tutta la diligenza de' moderni non arriva (opera di lingua) a quella inaffettata negligenza degli antichi. Sovviemmi di quel che dice Terenzio, pulitissimo scrittore de' suoi tempi, che avrebbe potuto competere con quegli antichi, nel Prologo dell' Andria.

Faciunt nae intelligendo, ut nihil intelligant;
Qui quum hunc accusant, Naevium, Plautum, Ennium
Accusant: quos hic noster authores habet,
Quorum aemulari exoptat negligentiam,
Potius quam istorum obscuram diligentiam.

obscuram, che non sale in chiarezza ed in fama. Tanta era la reverenza che l'elegantissimo autore portava a quei vecchi; ed egli era d' un secolo purgatissimo per la lingua. Ma per tornare al proposito: degli autori che si citano del 1300, i più non posero nello scrivere diligenza; e pur son puri, e pur sono eleganti; percioc chè così portava quel tempo. Poteasi dire con Tibullo :

Ipsae mella dabant quercus, ultroque ferebant
Obvia securis ubera lactis oves.

E con Ovidio:

Ipsa quoque immunis, rastroque intacta, nec ullis Saucia vomeribus, per se dabat omnia tellus.

che il prese da Esiodo έσθλὰ δὲ πάντα ec.
condo il mio volgarizzamento:

Non avcan d'alcun bene carestia;
El frutto ne portava l'alma terra
Da se naturalmente e molto e ricco.
Quei la roba godeano in santa pace,
Senza un rumor,
con molti beni appresso.

,

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cioè se

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Così era appunto il secolo del 1300 aureo tutto, e nella sua semplicità ricchissimo.

(75) Ristringendo in un secolo solo, anzi nella sola vita del Boccaccio, la riputazione dell' italico parlare ec.) Che gl'ingegni eminenti fioriscano in tal tempo ristretto, e quasi non escano d' un certo spazio d'anni, l'osservò Velleio Paterculo ne' Greci e ne' Romani. Or perchè ciò che suole avvenire, non può essere avvenuto? E che la eccellenza della lingua nostra giugnesse per mezzo de' tre lumi di quella a tal punto nel 1300, che (come che le cose dell' ingegno umano , quantunque smisurate, pur sono finite) non abbia lasciato gran luogo ai posteri di passarlo? Velleio verso la fine del lib. 1. Quis enim abunde mirari potest, quod eminentissima cujusque professionis ingenia, eam formam, et in idem artati temporis congruens spatium etc, Una, neque multorum annorum spatio divisa aetas per divini spiritus viros Aeschylum, Sophoclem, Euripidem, illustravit Tragoedias; una priscam illam et veterem sub Cratino, Aristophane, et Eupolide Comoediam, ac novam Menandrus, aequalesque ejus aetatis, magis quam operis, Philemon, et Diphilus, et invenere intra paucissimos annos, neque imitanda reliquere etc. Neque hoc in Graccis quam in Romanis evenit magis etc. E conchiude tutto il discorso

in

con questa sentenza: Eminentia cujusque operis artissimis temporum claustris circumdata. Io voglio che il credere il Boccaccio singolare nella Dante sommo prosa, nella fantasia e nella vivezza delle espressioni, il Petrarca gentilissimo e tenerissimo; e che questi sieno ma stri di lingua impareggiabili, e a' quali non ne verranno, nè sien venuti de' simili; che il Boccaccio sia il disertissimus Italorum, quot sunt, quotque fuere, quotque posi aliis erunt in annis, come nel Viglietto poetico di ringraziamento dice all' oratore Tullio il poeta Catullo, sieno tutte visioni; e che il Bembo e il Salviati con tutta la grande schiera degl' Italiani loro seguaci, e ammiratori e imitatori de' primi nostri da tutto il mondo eternamente celebrati autori, si sieno ingannati, che non abbiano fatta giustizia al loro secolo, dovendo pigliare da quello le regole della gramatica e il bello stile, non da quell' antico e stantio; che la vera luce della verità cortesemente si sia comunicata al Tesauro, al Pallavicino, in questi ultimi tempi: io voglio creder tutto. Ma pure l'universale de' dotti di questi medesimi preferiti secoli non s'inganna, che quelli cercato ha sempre di studiare e d'imitare. Che il Boccaccio faccia egli solo la riputazione dell' italica lingua, è invidiosa cosa il dire; ma potrebbe anche darsi il caso che e' fosse vero. E non è cosa nuova che un uomo solo venga in tanta eccellenza in una facoltà, che dopo lui non se ne trovi uno simile. Può esser di no, ma può essere anche di sì. Questi casi si posson dare, nè sono nuovi in natura. Velleio Paterculo nel lib. I. Clarissimum deinde Homeri illuxit ingenium, sine exemplo maximum, qui magnitudine operum et fulgore carminum solus appellari poëta meruit; in quo hoc maximum est, quod neque ante illum, quem ille imitaretur, neque post illum, qui eum imitari posset, inventus est etc. Chiunque questa ultima cosa neque ante illum etc. dicesse di Dante forse non andrebbe gran fatto lontano dal vero. Paol Beni nell' Anticrusca volendo mostrare Claudio Tolomei superiore al Boccaccio, e nel riprendere e uccellare ch' ei fa del medesimo, mostrandosi sì male intelligente della nostra lingua, è degno più di compassione che d' altro.

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(76) Il copiare affatto il linguaggio degli autori sempre vizio, l'usare parole dispiacenti, e che il presente tempo ripudia, è affettazione e mala imitazione che i Greci chiamano xaxcgnλíɑv. Ma l'imitare gli an tichi, che han parlato bene, fu sempre lode; e l'usare le loro parole nobili, pure, vaghe, leggiadre, e che non disconvengono anche al corrente secolo, e le antiche ancora a tempo e luogo richiamare in vita, purchè tutto con sobrieta e con giudicio si adoperi, non fia di biasimo.

(77) I Rimatori antichi, i Danti da Maiano, i Fra Guittoni, il B. Jacopone da Todi, sono i vieti e i rancidi. Ma non già Dante Alighieri, e molto meno gli altri due, Petrarca e Boccaccio, che sono cultissimi. Dio buono! Il Petrarca leggiadrissimo, graziosissimo, nelle canzoni eccellentissimo; ammirato ed imitato da tutti quanti quegli che han poetato in rima volgare italiana, e degli altri volgari d'Europa, riporlo tra quei vecchi decrepiti e squarquoi, chè exporrecto trutinantur verba labello! per usare la frase di Persio. La regina Cristina di Svezia dicea di lui: ch' egli era stato grandissimo filosofo, grandissimo innamorato e grandissimo poeta e la regina, e per sua natura, e per la pratica co' primi letterati, dava nel segno co' suoi giudizi.

(78) Altra lode non è dovuta a Dante ec.) Tutto ciò pare tolto dal Tesauro, autore di corrottissimo stile, di guastissima erudizione, di depravatissimo giudicio. Delle figure ingeniose (che i Toscani e gl' Italiani migliori direbbero ingegnose) al cap. 6, ove parla delle eta della lingua italica, dopo avere comparato la stile degli autori del 1200 allo stile delle XII Tavole, che non so quanto la comparazion corra, essendo quelle leggi, come si riconosce da frammenti, dettate in buon latino; soggiugne: Fiorì poscia la sua giovinezza circa l'anno Mccc, nel secolo del Dante, del Petrarca e del Boccaccio, Del Dante, vorrebbe dire del libro di Dante,

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