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buon governo della civil facoltà? È altresì evidente che sì fatti poemi oscurano la fama de' propri autori. Dicano pure a lor talento questi poeti con Marziale:

Lasciva est nobis pagina, vita proba est;

e con Ovidio:

Crede mihi: distant mores a carmine nostro ;
Vita verecunda est, Musa jocosa mea est.
Nec liber indicium est animi; sed honesta voluntas
Plurima mulcendis auribus apta refert.

Primieramente non si vorrà loro dar fede ; perchè il fatto grida altamente contra (4) la protestazione; e non si vuol credere a loro, siccome non si crede ai pretesi Riformati, che spacciano per uomo di purissimi costumi Teodoro Beza, uno de' lor patriarchi il quale pubblicò moltissimi versi teneri e lascivissimi al pari di quei di Catullo e d'Ovidio. Poscia una tale scusa non toglie il danno che da loro in effetto si cagiona al pubblico bene. Lo stesso Ovidio prega altrove le Vestali e le caste matrone di non leggere i suoi versi, conoscendo la sfacciatezza d' essi, cioè l' error proprio.

Este procul vittae tenues, insigne pudoris,
Quaeque tegis medios, instita longa, pedes.

Finalmente la poesia per colpa di costoro perde.

la sua dignità, la sua riputazione, abborrendola, o dovendola abborrire le persone oneste, perchè la scorgono maestra, non delle virtù come dovrebbe essere, ma de' vizi più laidi e pericolosi alla santità de' costumi. Dalle quali cose può comprendersi quanta ingiuria da' viziosi poeti si faccia all'arte loro, e con quanta ragione si debbano essi cacciar fuori dalle ben regolate repubbliche, siccome non si sofferivano per testimonio di Plutarco in quella degli Spartani. Sieno quant' esser si vogliano leggiadrissimi e pieni di bellezza poetica i versi; ove il lor bello non è congiunto col buono; ov' essi offendano l'onestà, la virtù, la religione del pubblico, nè possono dirsi perfetti poemi, nè debbono comportarsi dalla facoltà civile. Il perchè troppo giustamente è ancor vietata oggidì dai supremi tribunali della Chiesa cattolica la lettura di que' poeti che dimenticarono d'essere Cristiani, e con grave malizia abusarono la poesia per servire ai propri vizi.

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Della malizia leggiera de' poeti. Amori trattati in versi. Quanto biasimevoli negli autori, perniziosi alla repubblica. Sentimento poco lodevole del Bembo.

MA siccome non ci ha persona onesta e gentile e virtuosa tra i poeti medesimi, la qual non condanni coloro che si gravemente offendono la repubblica e la poesia, insegnando o lodando in versi le operazioni viziose; così pochi per contrario son quegli che condannino i poeti, allorchè essi peccano solamente di malizia leggiera e scusabile. Per colpevoli di tal malizia intendo io que' poeti che prendono per argomento de' lor versi i propri terreni e bassi innamoramenti. Spiacerà forse a taluno questa mia proposizione, essendo già da molti secoli il regno di tali amori divenuto quasi l'unico suggetto della lirica poesia tanto in Italia, quanto fuori d'Italia. Ma sono per avventura sì chiare le ragioni le quali possono addursi contro quest' uso, o, per dir meglio, abuso, che non è difficile il far loro confessare che in qualche maniera son rei questi tali poeti; e che da ciò nasce non poco dispregio, o almen fama di vanità e leggerezza alla nostra poesia. Già si son posti in ischiera con chi pecca di malizia grave coloro che troppo vilmente trattano amori in versi. Ma oggidì son rari in Italia si fatti poeti, e pare che più non s'odano sonetti

MURATORI, Perf. Poes. Vol. III.

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sopra i baci, e in lode d' alcuni poco onesti oggetti, da che la scuola Marinesca ha ceduto, come ragion voleva, lo scettro e l'impero alla Petrarchesca, e ad altre non men lodevoli forme di poetare. Sicchè si ristringe il ragionamento nostro a chiunque tratta amori che paiono e forse sono onesti; e ne tratta con maniera onesta senza mostrare schifezza veruna

del senso; poichè peccano ancor costoro di malizia, però scusabile e leggiera in paragon

dell' altra.

Agli antichi Siciliani e Provenzali, quindi al rimanente dell' Italia, e massimamente alla Toscana (che diede tanto tempo, fa i Danti ? il Petrarca, Cino, e altri valenti poeti ) si dee l'onor d' avere introdotta e nobilmente coltivata questa pudica forma di cantar gli amori del mondo, cotanto differente dalla sensuale de' Greci e Latini. Nè può negarsi che in comparazione de' Gentili non sieno degni di maggior lode o di minor biasimo i poeti moderni. Tuttavia se noi consideriamo la lirica italiana così ripiena di questi amorosi argomenti, non potremo non confessare in lei qualche difetto; sì perchè nuoce alla riputazione dell' universal poesia, e sì perchè o direttamente, o almen indirettamente è dannosa alla repubblica. In pruova di ciò, che altro mai sono gli argomenti dell'amor terreno verso le donne, tuttochè trattati con grande onestà, se non delirii e follie dell' uomo vinto dalla passione soverchia? E non è egli vero che l'uomo, preso da questo gagliardo affetto, perde in parte l'uso della ragione, cioè della nostra

reina, e si pone in una poco gloriosa schiavitù, lasciando il freno de' propri pensieri e voleri in mano d'una femmina? Può egli negarsi che questi amanti, quantunque onesti e volti ad onesto fine, spesse fiate non cadano in fanciullaggini e scioccherie, divenendo essi la favola del volgo, e facendo gitto della prudenza e de' propositi più ragionevoli? Se taluno avesse scrupolo di confessare questa manifesta verità, e d'affermare per certissimo quel proverbio applicato dagli sciocchi Geutili ai loro Dei, che amare et sapere vix Deo conceditur; parlerà per lui con sincerità maggiore il Petrarca, poeta, il cui amore si suppone che fosse onestissimo, e certamente fu sposto con istile e forma onestissima. Egli prima chiamerà l'innamoramento suo un giovenile errore, e ne dimanderà perdono alla gente. Poscia confesserà ch' egli fu per gran tempo la favola del popol tutto, e ch' egli è preso da tarda vergogna.

Ma ben veggio or, siccome al popol tutto
Favola fui gran tempo: onde sovente
Di me medesmo meco mi vergogno.
E del mio vaneggiar vergogna è'l frutto,
E'l pentirsi ec.

In cento altri luoghi si duole il buon Petrarca. del suo vaneggiare, ma spezialmente nella canzone: Io vo pensando, e nel pensier m'assale; e in quell' altra: Quell' antico mio dolce empio signore (5). Anzi questo è il comune

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