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altri difetti ed inverisimili non si osservano in questi drammi? Tali sono quell'introdursi e talor due donne travestite da uomo che non sono mai ( se non quando il poeta ne ha bisogno) scoperte per donne, quantunque conversino famigliarmente con gli uomini. Convien ben dire che i personaggi imitati o contraffatti nelle scene sieno sempliciotti e lavorati all'antica, non accorgendosi mai della truffa donnesca nè all' udir la voce, nè al vedere il volto, la corporatura e i passi femminili. La malizia de' nostri tempi è ben più accorta. Essa agevolmente scoprirebbe l'inganno. Può però essere che naturalmente avvenga in teatro che una donna travestita sia lungo tempo tenuta per un uomo, essendo quivi degli uomini che paiono, e pure non

son donne. Ma temo forte che una sì fatta scusa non sia dalle genti dotte approvata, dovendosi dalla tragedia imitare i costumi ordinarii della natura, e non i solecismi dell' arte. Nè pur verisimile è in questi drammi spesse volte quel non riconoscersi per quello ch' egli è, un personaggio notissimo, come un figliuolo, una sorella, una moglie, solamente perchè esso ha cangiato panni, o per qualche tempo non s'è lasciato vedere. Gran riguardi e molte circostanze hanno da concorrere acciocchè sia verisimile questa felicità di non essere, in praticando co' suoi più famigliari, mai ravvisato. Ridicola cosa può sembrare a taluno quel rimirare alle volte un personaggio drammatico, che in qualche giardino o prigione dice di voler prendere sonno ; ed appena

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s'è posto a sedere, che il buon sonno tutto cortese, punto non ispaventato dalla grave agitazione d' animo in cui poco dianzi era quel personaggio, subitamente gl' investe gli occhi. Nè molti momenti passano, che i sogni canori anch'essi si traggono avanti; e s' ode quel personaggio addormentato e sognante

soavemente cantar le sue pene, e sognando nominar quella persona ch' egli ama, e che il poeta con gran carità ed accortezza fa quivi prontamente sopravvenire.

Credo altresì che troppo non paia probabile ai buoni intendenti de' costumi, e che anzi per lo più sia cagione di riso, quel far ne' drammi. che tratto tratto gli amanti si vogliano uccidere, perchè non sono assai felici le loro faccende; e che tanti principi e regnanti di scena rinunzino allegramente per cagion d'amore al regno, o cerchino di saziar colla morte loro la crudeltà delle donne. Io non So veramente se ne' tempi antichi signoreggiasse un tal costume. So bene che ai giorni nostri i principi e monarchi anzi tutti gli amanti con molta cura si guardano da somigliante furore, o smania. Me n' assicura anche il Maggi, il quale in tal proposito dice,

che quell' amor tanto cocente Nell' alme de' Regnanti or più non s'usa. Chè il Re nell' apparenza ha più ritegno; E benchè egli abbia il dolce foco in seno, Per la cara Beltà non gioca il regno.

Che fra le regie cure ha il tempo ameno
Ove allegrando il cuorfino ad un segno,
Cuopre assai, piange poco e spende meno.
Anch' io l'appruovo appieno.

Le lor cure d'amor son più rimesse:
La' smania de' Regnanti è l'interesse.

Nè è molto da commendarsi l'uso copure stante ne' drammi di cangiar le scene; sì perchè non rade volte in luoghi inverisimili ed impropri disavvedutamente o per forza s' introducono i personaggi, come ancora perchè la perfezione della tragedia richiede per quanto si può l'unità del luogo ed una sola scena. Che se volessimo entrare in un vasto pelago potremmo considerare i moltissimi e sconci inverisimili che si commettono e si son commessi ne' drammi, dacchè vi ebbero luogo gli equivochi de' ritratti, delle lettere (18), degli abiti, delle spade, e altre sì fatte cose. Pare oggidì che più non abbia credito cotal mercatanzia, benchè essa, dopo essere passata dalla Spagna in Italia, si fosse renduta non poco padrona del teatro sì nelle tragedie, come nelle commedie prosaiche. Per altro, male impiegato non sarebbe un lungo ragionamento per maggiormente confondere l'eccesso di questi equivochi, che per l' ordinario mai non si accordano col verisimile. Intanto o si debba una sì gran folla di difetti, de' quali abbondano i drammi, attribuire all'ignoranza naturale d' alcuni poeti; o pure il pessimo gusto de' tempi ciò richieda, per servire al

quale son costretti i poeti a serrar gli occhi e soffrire tanti inconvenienti: può, se non erro, finalmente conchiudersi che i moderni drammi, considerati in genere di poesia rappresentativa e di tragedia sono un mostro e un' unione di mille inverisimili. Da essi niuna utilità, anzi gravissimi danni si recano al popolo; nè può tampoco da loro sperarsi quel diletto per cui principalmente o unicamente sono inventati. Contuttociò regnano questi drammi ; e la gente condotta o dalla pompa degli apparati, o dall' uso, o dalla approvazione de' grandi, o dalla speranza d'udir musici valenti, o da altri più segreti e non molto onesti vantaggi, vi concorre a mirarli; e se non si cangiano tempi e gusti, seguirà tuttavia ad onorar con plauso, non men vile che ingiusto, così accreditati spettacoli.

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Della necessità di riformar la poesia teatrale. Alcune correzioni proposte. Costume poco lodevole d'alcuni Tragici. Temperamento nell' introduzion degli amori. Difetti delle moderne commedie. Quanto dannoso a' costumi il Moliere. Altre correzioni del teatro.

Se non apportassero i drammi tanto danno alla poesia, di cui tratto la causa, forse avrei col silenzio potuto rispettare la lor fortunata maestà. Ma è troppo manifesto che per cagione dell'uso loro soverchio la vera ed utile teatral poesia non si coltiva, non si stima, e non si può condurre a perfezione. Già s' è provato che per mille ostacoli ed inconvenienti non può il buon poeta soddisfare all' arte col tessere drammi. E a questa mia opinione sottoscriveranno forse tutti gl' intendenti migliori, se al sapere avranno accoppiata la sincerità, come l'ha veramente il sig. Apostolo Zeno. Avvegnachè sia questi un riguardevole componitore di drammi, pure in una sua lettera mi scrisse egli una volta queste parole, che son degne d' essere qui rapportate: Circa i drammi, per dir sinceramente il mio sentimento, tuttochè ne abbia molti composti, sono il primo a darne il voto della condanna. Il lungo esercizio mi ha fatto conoscere, che dove non si dà in molti abusi, perdesi il primo fine di tali componimenti, che è il diletto. Più che si vuole star sulle regole, più si

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