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acqua deviata da un acquidotto non si trasporta come un canestro di frutti ed anche come una brenta di vino o di acqua; e di più non si può distaccare colla misura da una massa sempre rinnovata. Dunque non si verifica il furto il quale non cade fuorchè sulle cose mobili. Duolmi di dover discendere a rispondere a questa puerilità per non dir di peggio. Prima di tutto io vi domando se abbiate per voi il suffragio di veruna legge scritta la quale dica non potersi verificare il furto di un'acqua corrente? Voi certamente nonla trovate nè trovar la potete. Invece io vi dirò che nei bei tempi della romana giurisprudenza era sentenza ricevuta non solamente potersi verificare il furto di un'acqua correute, ma veniva criminalmente punito. Testimonio di quel che dico si è il celebre PAOLO, uno dei tre massimi giure consulti, il quale dopo morto Ulpiano fu Praefectus Praetorio, o sia gran giudice decidente dell' Impero Romano sotto il regno di Alessandro Severo. Egli nel libro intitolato Receptarum sententiarum, nel quale riferisce non le sue opinioni, ma la pratica giurisprudenza accettata al Tit. VI si esprime come segue ; « Si inter vicinos ex communi rivo « aqua ducatur, induci prius debet ex his vicibus a quibus <<< a singulis duci consuevit. Ducenti autem vis fieri prohi « betur. Alienam autem aquam usurpanti nummaria poena irrogatur. Cujus rei cura ad sollicitudinem Praesidis spe« ctat (1) ».

Quando si parla di pena pecuniaria specialmente nel diritto romano, non si parla nè di rifazione di dauni, nè di quelle che diconsi nozioni economiche, ma di pena criminale ordinaria. Presso i Romani per ogni specie di furto non si praticò sempre di procedere col mettere in prigione nè coll' affliggere corporalmente, ma quando non interveniva fuorchè la semplice sottrazione della roba si infliggeva

(1) Questo testo si legge nel libro Receptarum Sententiarum conservatoci da Aniano, e che si legge a piedi del Codice Giustinianeo della grande edizione di Van-Leven. Coloniae Munatianae 1790.

spesso la pena pecuniaria a norma della regola per ea per quae peccant per ea et puniuntur (1). Paolo qui dice rimettersi l'affare al preside, il quale è quello che si chiamava Praeses vigilum, di cui parla la leg. III, §. Digest. de Of ficio praesidis vigilum, il quale era un magistrato minore che giudicava di questi affari.

Voi mi dite di avere sotto agli occhi una legge che fa consistere il furto nel togliere l'altrui proprietà mobile al possessore senza il di lui consenso per trarne profitto. L'acqua non è questa proprietà mobile, dunque non può essere considerata la di lei sottrazione come furto criminale e soggetto alla legge criminale da voi contemplata. Ma di grazia, credete voi che la qualificazione di cosa mobile sia una novità? Sapete voi bene che quello stesso diritto romano dal quale con questo vostro sutterfugio vorreste sottrarvi, aveva appunto applicato il nome di furto a queste sole cose mobili? Se nella ordinaria e divolgata definizione voi non in-, contrate questa qualificazione, sappiate che esiste espressamente nella leg. 25 col testo di Ulpiano nel lib. 41 del di-, gesto.

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E perchè non ignoriate il fatto di questa legislazione piacciavi di consultare le Pandette Giustinianee del celebre Pothier al lib. 47, tit. 2. De furtis, sez. 2, art. 1, §. 1 intitolato Oportere rem esse mobilem. Ivi imparerete che al giureconsulto Sabino, al riferire di Aulo Gellio Noct. Attic., piacque di applicare la nozione di furto anche alle cose

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(1) Per questo motivo pare che nella legge mosaica, nella quale il furto viene punito con pena pecuniaria e non afflittiva di corpo, come si vede nell' Esodo lib. I, cap. 12, vers. 1 e segueuti, essersi pensato di bastevolmente provvedere e di non ricorrere a pene afflittive se non in sussidio e quando il reo manca di mezzi pecuniari.

Altro esempio lo abbiamo nei tempi di Alessandro Severo praticato come legge ordinaria che leggesi nelle Receptarum sententiarum del detto PAOLO, lib. V. Tit. XXVII, de Lege Julia peculatus. « Si quis fiscalem pecuniam attrectaverit, surripuerit, mutaverit seu in suos usus converterit « IN QUADRUPLUM ejus pecuniae quam sustulit condemnatur. »

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stabili. Ma l'altra setta dei Proculeani prevalse, e secondo l'etimologia della parola tratta da auferendo, sostenne che applicare non si potesse fuorchè alle cose mobili Questa sentenza prevalse e fu adottata come legge, come consta dalle parole di Ulpiano « Verum est quod plerique probant fundi furti agi nou posse ».

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Analogamente alla presente questione eccovi altre due leggi: «< Eorum quae de fundo tolluntur, ut puta arborum, « vel lapidum, vel arenae, vel fructuum quos quis frauce dandi (alias furandi) animo decerpsit, furti agi posse. <<< nulla dubitatio est, d. 1. 25, §. 2.

« Si cretae fodiendae caussa specum quis fecisset. et «< cretam abstulisset, fur est non quia fodisset, sed quia « abstulisset, leg. 57 (alias 59), Alfenus lib. 4, digest. a co Paulo Epitomatore >>.

In forza di queste premesse che cosa irrefragabilmente ne viene? Eccolo.

Che nella invalsa ed autorizzata legislazione romana la denominazione di furto non veniva applicata fuorchè alle cose mobili, come nella legislazione che voi mi obbiettate. Eppure la sottrazione fraudolenta dell' acqua altrui veniva qualificata come furto ed irrogata alla medesima la pena. conveniente. Dunque almeno in via di autorità e di imponentissima autorità, la vostra opinione di non qualificare siffatta sottrazion d'acqua come furto viene solennemente dannata, malgrado che si qualifichi sì da voi che dai Roma-. ni il furto come una sottrazione di una cosa mobile. Resta dunque a vedere se voi siate più sapienti dei romani legislatori e di tutti i giurisprudenti dei passati secoli. Qui per voi non milita veruna legge espressa che autorizzi la sentenza vostra. La sola parola di cosa mobile si è quella su cui giuocate col vostro raziocinio. Ora prescindiamo dalla autorità e disputiamo in linea di ragione e di buona logica.

§. IV. Soluzione ragionata della questione.

Perchè mai rifiutate di riconoscere come furto la sottrazione fraudolenta dell' acqua? Forse perchè dessa è annessa al fondo? Guardatevi bene dal porre in campo si fatto motivo. Tutti i frutti di un campo sono annessi al fondo, e però se dovesse valere il motivo della loro unione al suolo, le loro sottrazioni non si potrebbero castigare come furti. Tutte le legislazioni poi vi qualificano come furto tanto quello dei prodotti agricoli quanto quello dell' arena, della creta, ec., come avete veduto coll' autorità di Ulpiano. Dunque per la sola qualità dell' inerenza dell'acqua al fondo, come di qualunque altra produzione, voi non potreste assolvere dalla qualificazione di furto la sottrazione dell' acqua di un condotto.

Da che dunque potreste argomentare la vostra sentenza? Forse dal motivo che l'acqua sottratta non viene trasportata come gli altri frutti, o la arena, o le pietre di un fondo? Ma di grazia, avete voi mai pensato in che consista la vera nozione giuridica del furto distinta dall'invasione di un bene stabile? Avete voi inteso mai che il sottrarre una cosa dal possesso altrui in un modo che si può far perdere e cousumare, costituisce precisamente la nozione propria del furto? Un fondo stabile non può essere fatto perdere come un' acqua. Viceversa un'acqua sottratta vien fatta perdere e consumare come qualsiasi altra cosa mobile. Tutte le leggi hanno riguardato la mobilità sotto l'aspetto del danno e del rispettivo esito della cosa sottratta, nè mai si sognarono di computare come essenziale la maniera di questa sottrazione (1). Ora vi accorgete voi che argo

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(1) « Fur est qui dolo rem alienam contrectat. cumque in caupona vel meritorio stabulo, diversoriove perierint, in exercitores eorum furti actio comperit, disse il detto Paolo Recept. Servent. Lib. 11, Tit. XXXI, §. 1, 15 ».

mentando sulla maniera, scambiate, come si suol dire, le carte in mano della giustizia? Perchè un'acqua corrente nou si porta sulle spalle, ma si fa deviare per una naturale pendenza, voi volete escludere l'idea di furto. Dunque per ciò stesso fate dipendere la qualificazione di furto non dalla sottrazione della cosa in modo di poterla far perdere e consumare, ma bensì dalla maniera colla quale vien fatta perdere e consumare. Con questo scambio non conceduto nè dalla logica, nè dalla giurisprudenza voi sottraete dalla giusta pena un furto che può essere gravissimo, perchè porta seco gli enormi danni di un'irrigazione non soddisfatta e di una risaia non coperta a tempo dall' acqua e nella necessaria misura.

Se invece vi foste degnato di pensare che il furto considerar si deve come « sottrazione dal legittimo altrui poscc sesso, e senza il libero consenso del possessore di una «< cosa che si può far perdere e consumare » voi non avreste commesso il turpe scambio di rendere essenziale al furto la maniera particolare di praticarlo. Sia pur vero che l'acqua venga sottratta col darle una pendenza ed aprire un varco per cui da se stessa vien deviata dal suo legittimo recipiente e che perciò? Non sarà questo forse un vero ed improbo furto pari agli altri? È vero o no che vien rimossa dal suo luogo, e che vien sottratta dal possesso del padrone, e fatta perdere? La contrettazione dolosa esiste o no? O vi convien dunque negare che l' essenza del furto consista in questa dolosa contrettazione, o è forza concedere verificarsi il furto dell' acqua. Ardire ste voi forse ancora di far dipendere il furto dal modo della sottrazione? Allora tutti i furti delle cose infisse o attaccate naturalmente, commessi col distaccare e far cadere colla gravità lor naturale le cose, dovrebbero andar impuniti.

Qui il modo di sottrarre o di far mancare non è computato. L'effetto solo è quello che decide. Contrectare est de loco movere. ( Pothier de verb. sign.) Il modo non vi entra.

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