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sofico contrario? È vero o no che lo scarico suddetto fu opera della natura derivante dalla pendenza e dalla qualità del terreno e da altre circostanze geologiche? Considerando dunque i diritti dei possessori anche nella primitiva occupazione, noi troviamo che col possesso non introdussero una novità. Dunque il superiore non fa verun torto all' inferiore conservando lo stato naturale delle cose. Viceversa se l'inferiore volesse impedire lo scarico, farebbe una novità lesiva al libero e naturale dominio del superiore che acquistò dalla natura il suo fondo col suo scarico. Dunque in linea di filosofia giuridica la decisione del romano diritto è giustificata (1).

Riassumendo, nasce la seguente questione: «< Posta una sorgente naturale ed un rivo naturale sul fondo superiore di Pietro che attraversa il fondo inferiore di Paolo; può forse Paolo rifiutare di ricevere l'acqua e fare opere onde impedire o difficoltare lo scarico naturale consueto della corren · te?»> La risposta negativa è dimostrata sì in linea di ragione che di autorità.

(1) A che dunque si riduce la censura del sig. SCHUSTER al testo di Paolo? Essa si riduce a zero. Vuol egli forse che l'inferiore non sia per ragion naturale tenuto a ricevere lo scarico dell'acqua naturalmente defluente dal fondo superiore? No. Ciò si legge nel contesto della sua nota. Dunque per questo articolo non può trovar nulla di censurabile nel diritto romano. Egli sol pretende che l'obbligo naturale dell' inferiore non esista a ricevere lo scarico allorchè si tratta di una corrente non fatta dalla natura, ma dall' opera umana; e perciò egli censura il jus romano, come se dichiarasse il contrario. Ma di grazia, in quale testo trova egli questa mostruosità? In niuno: diciam di più: egli stesso allega il contrario, e quindi vede proclamata la sua stessa tesi. A che dunque riducesi realmente la censura? A zero. Ma dove fondò egli la sua censura? Sul supposto di fatto positivo del punto di vista da lui attribuito ai Romani. Ma questo supposto sta tutto nel cervello del signor Schuster ed è formalmente smentito dalla lettura materiale dei testi romani allegati.

S. III. Posto il diritto naturale di scarico competente a taluno, può esso forse nel rivo naturale immettere un'al· tra acqua da lui scavata e associarlà all' antica?

Qui parmi di dover rispondere con distinzione. O l'alveo naturale del rivo è per se capace a trasmettere la nuova acqua immessa senza danno dei fondi del vicino, come accade iu molti rivi montuosi profondamente incassati, o no. Se il rivo è capace di trasmettere innocuamente questa nuova acqua, io credo che Pietro avrà diritto a farlo si perchè il rivo è naturale, e si perchè non viene realmente aggravata la naturale altrui servitù. È logicamente impossibile figurare aggravio laddove la condizione dei fondi inferiori nou sia resa per la nuova acqua di deterior condizione. Ora nel caso figurato si pone in fatto che l'acqua immessa sia innocua. Dunque uon vi è aggravio della naturale servitù dei fondi inferiori. Dunque vietare non si può la detta immissione.

D'altronde parmi che in materia di acque la massima, quod tibi non nocet et alteri prodest facile est concedendum, si possa convertire in vero dovere. Postochè al genere umano l'uso dell'acqua è indispensabile; e postochè di sua natura è diffusibile, ne viene che soddisfatto al bisogno di un privato, la parte che rimane sia per naturale diritto devoluta agli altri; e ciò molto più nella sociale convivenza nella quale il mutuo e necessario soccorso forma la legge fondamentale della socialità. Da ciò ne viene che con più forte ragione il padrone di un fondo pel quale passa un rivo naturale non può impedire l'immissione di una nuova acqua ultronea: e però potrebbe Paolo essere costretto a permettere non solamente l'immissione di una data acqua, ma eziandio ad astenersi dal praticare qualunque novazione nel rivo naturale. Potrebbe, volendo, approfittare dell'acqua restituendo dopo l'uso la corrente al rivo naturale; ma giammai sarebbegli lecito nè a deviarla, nè imbarazzarne il corso.

La natura destinò i rivi naturali allo scarico delle sorgenti e delle piogge. Niun principio di naturale diritto insegua che gli uomini non possano scavare nuove sorgenti e scaricarle nei condotti preparati dalla natura. Per la ragione stessa che scaricar si possono nei fiumi pubblici, scaricar si possono anche nei rivi naturali. Se ciò non fosse si dovrebbe porre come principio potersi dal possessore del fondo inferiore proibire lo scavo di nuove sorgenti pel solo motivo che una nuova acqua non passi per la strada preparata dalla

natura.

E qui si presenta un articolo di naturale e sociale diritto proprio dell' associazione territoriale. Come i fiumi naviga bili rimangono di uso comune a tutti i cittadini di uno stato, così i fiumi non navigabili e naturali rimangono di uso comune di tutti i frontisti o possessori dei terreni attraversati (1). Dunque questi fiumi privati nello stato di associazion territoriale rimangono sempre in comunione. Dunque essi non sono suscettibili di dominio esclusivo privato come un campo ed una casa, o come un acquedotto fabbricato dalla mano dell'uomo. Il solo caso nel quale considerar si potessero di uso esclusivo privato sarebbe quello nel quale tutti i detti fondi fossero posseduti da un solo proprietario. Ma in questo stesso caso il proprietario rifiutare non potrebbe di accogliere lo scarico naturale di altri rivi naturali i quali a destra e a sinistra immettessero le acque loro nel fiume posseduto: e ciò per la stessa ragione e per lo stesso principio sopra dimostrato. Naturali servitù sarebbero queste alle quali sottrarre non si potrebbe. Ciò però non toglierebbe a lui la facoltà di raddrizzare il suo rivo naturale o di far opere utili ed a lui benevise, purchè non impedisse o difficoltasse le immissioni naturali delle acque suddette

straniere.

(1) Questo principio è implicitamente sanzionato nei SS. 641 al 646 del Codice Italico, come dimostrar si può tanto dalle loro disposizioni quanto dai loro motivi che si producono alla fine di questo capo.

sempre sotto

La comunione suddetta dei rivi naturali fu intesa fra gli utenti loro. Se di fatti voleste rendere ogni possidente padrone assoluto, esclusivo ed incommutabile del tronco che attraversa o bordeggia il proprio fondo, sarebbe contro diritto dirlo obbligato senza suo consenso a lasciar passare l'acqua sul proprio fondo. Egli in forza del suo dominio esclusivo potrebbe a buon diritto opporsi a questo passaggio e far rifluire l'acqua altrove. Ma come mai potrebbe egli praticare questa opposizione? Acquistò forse la sua proprietà esente dall'onere di questo passaggio? No certamente. Questo passaggio non è forse necessario? Ciò è evidente. Il corso delle acque in società si può forse sovvertire ad arbitrio? — Nemmeno questo sovvertimento è lecito? -Gli altri possessori non acquistarono forse il possesso stesso dell' acqua pel fatto stesso di natura? Anche questo è un fatto. Dunque mai si verifica che la prima occupazione e il successivo possesso abbiano potuto indurre una proprietà esclusiva.

Ciò che fu discorso intorno di un sol possessore dei fondi suddetti relativamente alle naturali acque straniere, si verifica pure dei possessori singolari degli stessi fondi. Ma questi rivestono due aspetti ad un sol tratto, e quindi ne sorgono due serie di diritti di obbligazioni e di azioni. Il primo aspetto si è quello di frontisti o racchiudenti parte del rivo naturale, e questo si può dire interno. Il secondo è quello di riceventi lo scarico dei rivi naturali immittenti, e questo si può dire esterno. Nel primo vengono contemplati fra di loro; nel secondo fra gli esteri. Nel primo formano una specie di tacito consorzio privato stabilito dalla stessa natura. Nel secondo una mera corrispondenza sociale diretta dalla eguaglianza. Nel primo il rivo naturale non cade nè per il tutto nè per parti distinte in dominio esclusivo dei detti possidenti, ma si trova pro indiviso presso tutta la collezione dei detti possidenti finchè rimanga nello stato suo attuale; e solamente quando mancherà all'ufficio suo e il terreno sia sgombro potrà essere diviso l'alveo tra di loro.

Posta questa qualità ne viene che assurda sarebbe qua

lunque idea di servitù nell'immettere un'acqua inuocua nel detto fiume. L'idea di servitù non può cadere che fra due proprietà divise e indipendenti. Ma questa proprietà non si può verificare in un rivo che non può nè in tutto nè in parte essere in esclusivo dominio di alcuno, ma che è costituito di comodo o di peso comune, e che resta per se stesso indiviso I principj dunque e le regole che applicar si possono nel possesso e nell'uso dei fiumi privati non sono quelli delle servitù ; ma bensì quelli dei danni ingiustamente dati nell'uso di una cosa comune. Ma così è che nella figurata ipotesi si esclude la circostanza di questo danno dato nell' immettere nuova acqua anche procurata nel rivo naturale, o sia fiume privato. Dunque a niuno dei possessori inferiori competer può il diritto di opporsi e di far togliere questa innocua immissione. Con ciò parmi provata la prima parte della data risposta.

La seconda parte della risposta riguarda il caso nel quale l' acqua nuovamente immessa recasse danno ai fondi inferiori. Tutte le leggi positive sono d'accordo nel pronuuziare ciò non esser lecito al padrone del fondo superiore senza il consenso dei padroni inferiori (1). Questa decisione è dimostrata dal principio che par in parem non habet imperium. Come gli inferiori non possono per autorità propria rendere di deterior condizione i fondi del superiore, nè obbligarlo a fare spese non volute, così milita lo stesso divieto anche pel padrone del fondo superiore. Ma nel caso immaginato si verifica che per autorità sua privata il padrone superiore recherebbe questo danno e incomodo, e obbligherebbe gli inferiori a spese non volute. Dunque nel caso figurato a quel padrone superiore non sarebbe lecito per propria autorità immettere nel rivo naturale o fiume privato la nuova acqua da lui scavata.

(1) Veggansi in primo luogo le seguenti leggi romane: Leg. 8. -Leg. 9 - L. 10. - L. 11. - L. 21. Digesto al Titolo aqua et aquae publicae arcendae.

de

Lege 4. Dig. Tit. de aqua quotidiana et aestiva.
Lege 10. Dig. si servitus vindicetur.

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