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S. IV. Posto il caso che parecchi si giovino dell' acqua di un rivo, potrà forse il possessore del fondo delle sorgenti nello stato di associazione personale e territoriale civile deviare e toglier l'acqua agli utenti inferiori?

Esprimiamo prima di tutto il caso con un esempio. Spiegate la Tavola I. Mirate là quel laghetto vicino a quella casa. Egli appartiene a Pietro. A lui pure appartiene tutto il terreno circostante colorato in giallo. Il laghetto ha il suo scaricatore che serpeggiando su diversi fondi A B C D va finalmente più sotto a scaricarsi nel fiume E F G. Lungo il rivo naturale scaricatore voi vedete che, il proprietario A si serve dell' acqua per irrigare i suoi terreni. Il proprietario B fa girare un suo mulino. Tutti questi poi dopo l'uso restituiscono l'acqua al rivo a guisa di utenti concordati, e come si suol dire, da buoni fratelli. Or bene, al padrone del laghetto per animosità concepita contro i suoi vicini, viene in capo di aprire a fianco del laghetto un altro scaricatore HI, e di togliere ai possessori suddetti tutta l'acqua, e farla dal suo fondo direttamente scaricare nel fiume E F G. Si domanda se abbia diritto di ciò fare?

Qui si suppone non esistere convenzione veruna fra il padrone del lago e i possessori dei fondi inferiori per la quale quel padrone siasi obbligato a lasciar decorrere l'acqua. Si suppone pure che sul fondo del detto padrone non sia stata fatta veruna costruzione per opera degli inferiori onde acquistare in loro favore un possesso avvalorato con legittima prescrizione. Si suppone finalmente che tanto il laghetto col suo deflusso, quanto il rivo, siano di dominio non pubblico.

Or qui si possono fingere due posizioni di fatto. O la fonte ed il rivo sono riconosciuti di origine e di condizione tutta naturale, o di origine e di condizione artificiale. Se sono naturali, essi sono di uso comune, e però ognuno ne può bensì godere a proprio vantaggio, ma non distrarne ed impedirne il corso. Che se il rivo sia di origine e di condizione artificiale, qui nasce una suddistinzione: o il padrone ROMAGNOSI, Vol. VIII.

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dimostra una causa economicamente utile a deviare l'acqua o no. Se la dimostra, altro non constando, pare che opporre non se gli possa nulla. Ma se non la dimostra, che cosa dir dobbiamo? Se prendete in considerazione il nudo e gretto diritto individuale privato, quale pel solito vien volgarmente figurato ed applicato, voi siete autorizzato a pronunziare potere il padrone del laghetto privare tutti i mentovati possessori dell' acqua suddetta scaricata, e così annientare l' irrigazione, la macina e i lavori figurati. Ma meglio considerando la cosa dobbiamo noi forse ammettere una cotanto inesorabile proprietà da abilitare il padrone della testa del rivo ad abusare usque ad aemulationem del proprio dominio? Forsechè viene negato che il padrone suddetto usi dell'acqua sia per irrigare, sia per animare opificj? No. Forse l'acqua è nociva al suo fondo? Nemmeno. Per quale ragione adunque vuol egli spogliare i possessori suddetti di tanti beneficj? «Io sono padrone (dice egli) dell'acqua del mio lago, e quindi ne voglio disporre come mi pare e piace fino ad asciugare e far perire il lago medesimo.

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Ma voi deviate l'acqua per animosità contro dei vostri vicini e non per causa alcuna di vostra utilità. E che perciò? Mi viene insegnato che far lo posso per qualunque motivo ed anche ad aemulationem (1). Se la morale può disapprovare questo motivo, il diritto di proprietà non lo esclude. Ma voi dimenticate che l'esercizio della vostra proprietà è subordinato alla legge sociale e alle esigenze comuni. Ciò non decide, perchè questa legge non mi toglie o limita la proprietà. Badate bene che voi commettete una viziosa petizion di principio. Non si nega la vostra proprietà; ma si nega l' abuso insociale che ne fate. Quando il poter sociale convenne di assicurare e di far assicurare la vostra proprietà, credete voi che lo abbia fatto e lo faccia per i vostri begli occhi? Sapete voi che sempre in questa protezione sta sottintesa la clausola che soddisfatti i vostri bisogni sia col godere, sia col contrattare voi non togliate

(1) Ciò si vedrà nel §. seguente.

ad altri que' beneficj che la natura comparte ai vostri consorti?

Voi dunque vorreste (qui insorge il padrone) che lo scarico del mio lago non fosse a me facoltativo, ma in servitù dei miei vicini inferiori. Come dunque conciliate il dettame di tutte le legislazioni, le quali dicono che col solo naturale deflusso di un' acqua dal fondo superiore ad un inferiore, il padrone superiore ha bensì il diritto dello scarico, ma non l'obbligo del medesimo.

A questo vostro obbietto io rispondo distinguendo. Altro è figurare un obbligo a fare, ed altro è figurare un obbligo a non contraffare, o sia un obbligo a non nuocere per emulazione. Lasciar fare alla natura quando non nuoce a noi e giova agli altri; non impedire il bene altrui quando non contrasta col nostro, non forma una servitù contraria al dominio reale nostro esercibile nella convivenza ; ma al contrario forma una condizione perpetua della stessa convivenza. La servitù inchiude un onere, un vincolo nocivo ai nostri interessi. Qui il corso dell' acqua per il rivo consueto non offende veruno dei vostri interessi. Dunque qui non avvi veruna servitù reale per voi ; ma solamente l'obbligo personale della convivenza a non togliere a capriccio un beneficio da tanto tempo goduto dai vostri vicini.

Quando si ignoravano i principj della filosofia del diritto e valer si facevano i dettami astratti applicabili tanto all'uom selvaggio quanto al cittadino; quando inconsideratamente si sbranavano le vedute direttrici della vita civile, e si frapponeva un vero divorzio fra la giurisprudenza privata e la sociale; quando si facevano valere gli incompetenti e sgranati concetti di una individuale ed isolata proprietà, era permesso di dubitare se per emulazione si potessero gli utenti inferiori privare di un' acqua loro necessaria. Ma in oggi che la dottrina vien posta sulle sue basi naturali e adatta al suo soggetto, parmi che esecrare e proscrivere si debba la vostra pretesa.

Voi dunque (qui replica il padrone) pretendereste che io possa mai deviare l'acqua del mio lago e trarne vantaggi.

Questa, o signor mio, è un' altra tesi. Altro è che pretendiate di deviar l'acqua per emulazione, ed altro è che vogliate deviarla per trarne un ostensibile vantaggio. Niuno si opporrà a che non irrighiate i vostri fondi e restituiate l'acqua al rivo: lochè necessariamente far dovreste non avendo voi diritto di scaricarla per autorità vostra su i fondi esenti dei vostri vicini. Niuno pure si opporrebbe se voleste nel vostro lago fare una aggiunta ed un commercio della nuova acqua; ma nello stesso tempo il diritto e la morale vietano che la deviate ad aemulationem.

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Lo scarico dunque mio (dice il padrone) non è più facoltativo. Rispondo distinguendo: Non è facoltativo quando vogliate toglierlo ad aemulationem, concedo: non è facoltativo quando lo vogliate usare per una dimostrabile utilità vostra e secondo la natura della proprietà acquistata, lo nego. Questa distinzione sta eminentemente inchiusa nell'essenza stessa del reale dominio esercibile nella civile società; talchè concepito questo esercizio come si deve, risulta la regola semplice che il deflusso naturale delle acque dal fondo superiore all' inferiore riesce pel padrone del superiore sempre facoltativo. Ma la parola sempre si applica al padrone che agisce secondo la legge della convivenza e non da forsennato e da maligno.

E per prevenire qualunque sutterfugio giova tener presente la seguente dichiarazione. Quando io sostengo che il privato ha diritto ed azione giudiziaria di impedire la deviazione di una corrente artificiale utile ad altri fatta per vendetta, per invidia, o per altro maligno motivo, io non pretendo che ciò derivi da un diritto privato nativo dedotto dalla individuale e naturale isolata padronanza di due eguali, ma bensì da un diritto sociale dativo, cioè conferito al cit tadino dalla legge stessa fondamentale della socialità soprat tutto in materia di acque. E siccome tal diritto vien indotto da uno stato di stabile convivenza, e per un diritto pubblico interno, perpetuo ed essenziale ad ogni civile consorzio, così egli vige sempre sotto tutte le legislazioni a meno che non venga espressamente statuito in contrario. È assurdo figurare

un diritto disordinato. Il diritto è una forza regolata. Il regolar questa forza egli è lo stesso che contemperarla colla socialità. Il diritto dunque astratto, selvaggio, non contemperato da voi figurato, non è diritto, ma antidiritto. Viceversa la facoltà contemperata da me intesa, e quale conviensi alla convivenza, può sola ricevere il nome di diritto, perchè sol voluto dalla forza stessa delle cose e giusta lo scopo indispensabile della socialità. Il vostro merita tutto al più il nome di Principio, ma nou di norma pratica giuridica. Ma dall'altra parte si vuole una facoltà pratica, la quale sola merita il nome di diritto. Questa facoltà poi non risulta che dal principio vestito e non dal nudo, il quale riesce incompatibile applicato colla sua nudità. Dunque il vostro è antidiritto, ed il mio solo è vero diritto. Egli non abbisogna di essere proclamato, ma, basta soltanto che non venga spento dalla positiva autorità.

Sia pur vero che l'oggetto presenti un affare privato e di interesse privato. Sarà sempre vero che qui interviene l'autorità della legge di diritto sociale: e però agisce un diritto dativo insieme ad un nativo. Questa lega è indissolu bile, e con questa si può agire in giudizio. Mille esempj potrei allegare di questa lega. Diritto nativo è per esempio quello del matrimonio ; ma il modo di contrarlo nella società civile è di diritto sociale perchè soddisfare si deve all'ordine delle famiglie e della posterità. Così di diritto pubblico naturale è il divieto di agire per emulazione. Dunque il corre lativo diritto di opporsi è veramente DATIVO, cioè di ragion sociale inseparabile dalla convivenza.

§. V. Esposizione delle opinioni

sul punto se operare si possa ad aemulationem.

Benchè la nostra conclusione sia conforme al senso morale e giuridico, ciò non ostante esistettero ed esistono contradittori di nome anche rispettabile. Il primo si fu Cristiano TOMASIO, il quale in una sua dissertazione dell' anno 1755 pose la proposizione: non datur actio forensis contra aedi

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