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Per questo lato dunque, un fondo caricato di un affitto per lungo tempo, finito il quale deve ritornare al concedente o agli aventi causa da lui, rassomiglia al fondo conceduto al livello perpetuo o per alcune generazioni, o ad una data discendenza, estinta la quale il fondo livellato ritorna alle mani del concedente o di chi ritiene il dominio diretto. E siccome per la questione dell'imposizione e della durata della servitù, la sola circostanza importante si è appunto il diritto di questa consolidazione dell' utile col diretto dominio; egli è perciò, che noi potremo cumulare sotto la stessa questione tanto i fondi soggetti a livello, quanto i fondi soggetti a lungo e perpetuo affitto.

Ciò premesso veggiamo se validamente si possa sopra questi fondi stabilire per autorità sola del possessore loro una perpetua servitù di acquidotto, e se stabilita possa durare.

Il Pecchio risponde colla distinzione seguente: O nell' in. vestitura non trovasi proibizione al livellario di alienare, obbligare ad ipotecare i beni livellati senza consenso del padrone diretto, o questo divieto fu nella investitura apposto. Nel primo caso può il livellario di sua autorità stabilire la servitù dell' acquidotto. Questa però all' occasione della consolidazione dell'utile dominio col diretto va a cessare. Nel secondo caso poi l'atto costituente della servitù diventa nullo, o sia non viene stabilito il diritto, nè il fondo resta aggravato dalla servitù passiva dell'acquidotto. Ma questa sentenza è poi vera, e ricevuta dalla buona Giurisprudenza? Il celebre Voet che scrisse dopo il Pecchio, e che molte volte si rimette al Pecchio per le dottrine sane e nulla più, risponde alla proposta questione senza la distinzione proposta dal Pecchio. Egli parlando della necessità della denunzia al padrone del diretto in materia di livelli, e dopo di avere annotato, che sotto il nome di alienazione non cade l' oppignorazione, e cessa la necessità d'interpellare il consenso del padrone, , prosegue: c Idemque de servitutum praedialium impositione dicendum est: nam et superficiario licet sine domini consensu servitutes imponere; et ipsi quoque

vassallo; eui alioquin difficilius, quam quidem emphyteutae, alienatio permissa est (1).

Il senator Claro decide anch'egli la questione senza l'odiosa distinzione del Pecchio. Ecco le parole: « Quaero, nunquid possit emphyteuta sine domini consensu constituere servitutem, in fundo emphyteutico? Respondeo quod sic quantum ad sui praejudicium, non tamen quantum ad praejudicium domini directi, et ideo finita emphyteusi, erit etiam finita ipsa servitus, ita tenent communiter docto res, ut dicit Caep. lib. I, de servit. c. 14, col. 1, vide quid dixi in § feudum quaest. 37 (2). ›

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Indipendentemente dalle autorità, la distinzione del Pecchio non regge; e ciò per i motivi medesimi per i quali fu rigettata una simile sentenza in fatto di beni fidecommessari, come sopra si è veduto. Io non ignoro esistere una formale dichiarazione di Giustiniano, nella quale sotto il divieto di alienare, imposto talvolta dalle leggi, dai testatori, e dai padroni, si comprende anche la servitù. Questa dichiarazione trovasi inserita nella legge 7 Cod. de rebus alienis non alienandis : ma tutto considerato si vede:

1.° Che sotto la denominazione di alienazione proibita si intende non una proibizione nuda, cioè senza causa, e senza un utile di una designata persona ; ma bensì una proibizione motivata, sanzionata, e con designazione della persona a favore della quale viene in conseguenza devoluto un lucro, come notò il Voet, e nota anche il Gottofredo.

2.o Che se questa dichiarazione del Codice si volesse riferire ad un dato bene e a persone capaci ad alienare, sarebbe stato con miglior cognizione posteriormente corretta e limitata nella Novella VII, della quale abbiamo di già riportate più sopra le parole.

3.o Che la detta legge si riferisce propriamente all' interdizione personale, la quale riguarda l'amministrazione

(1) Voet. ad Pandectas, lib. VI, tit. 3, num. 31.

(2) Receptarum sententiarum, lib. IV, §. emphyteusis;

quaest. 21.

tutelata. In questa non si si por servitù, ma di farlo se ria. Quanto alle persone su tata di un dato fondo, non servitù, come viene spieg questa pure si riferisce la

in cui si dice che alienatio e nium transfertur.

La ragion sola naturale altro in giurisprudenza, ch azione. L'interesse legittim rante il godimento del live nell' ottenere il pagamento stazioni accidentali che fur

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e

Finito poi il possesso della linea investita, ed allorchè accadesse la consolidazione dell' utile col diretto, questo interesse legittimo consiste nel riavere intiero il suo fondo, nello stato di libertà col quale fu conceduto nell'investitura. Ogni altra limitazione, ogni altra clausola proibitiva e limitativa si deve considerare come non apposita; e ciò in forza e della ragione e della legge medesima. Ma così è, che col porre che la servitù cessi allorchè venga il caso della consolidazione, rimane illeso l' interesse e il diritto del padrone diretto concedente. Dunque ciò bastar deve senza volere estendere col Pecchio la proibizione di alienare fino alla proibizione di contrarre una servitù passiva dalla quale l'utilista potrebbe ritrarre vantaggio senza ledere il direttario. Il nudo divieto di alienare nel padrone dell' utile dominio, non può comprendere la imposizione dell' acquidotto che è contrattuale ed innocua al direttario. Ma chi autorizzò il Pecchio alla sua interpretazione a fronte della interpretazione specificativa fatta dalla Novella VII? Chi lo autorizzò a fronte della definizione speciale riferita ad un fondo quale viene espressa nella citata legge 1, Cod. de fundo dotali? Il padrone del fondo serviente cessa forse di essere padrone del fondo perchè contrasse una servitù ?

Leggansi le altre leggi tutte riguardanti l'alienazione

propria reale specialmente raccolte dal Pothier nelle sue Pandette al Titolo de verborum significationibus N.° XXIV, e non si troverà traccia alcuna onde estendere il significato legale di alienazione alla imposizione di una servitù,

Certamente troverà che un testatore, allorchè vieta che non si alieni nulla a pregiudizio di un pupillo, che un legislatore, come fu Alessandro Severo, allorchè proibì ogni alienazione dei beni delle persone tutelate senza decreto di giudice, troverà, dissi, che il nome di alienazione comprende anche l'imposizione di una passiva servità: ma è per se chiaro che qui il divieto si riferisce a ben altro rapporto. Questo rapporto esige anzi che il divieto sia il più esteso possibile onde tutelare l' interesse dei protetti, come si proverà più sotto.

Se noi indaghiamo il titolo per il quale la servitù cessa, accadendo la consolidazione, noi troviamo, che essa finisce non per una invalidità intrinseca o per una mancanza originaria di diritto, ma bensì perchè il fondo passa di nuovo in altre mani le quali non hanno causa dal concedente della servitù, e che nello stesso tempo hanno diritto di ripren. derlo nello stato libero in cui si ritrovava all'atto della sua concessione a livello. lo ripeto qui questa osservazione dimostrata di già colle leggi e colla ragione, onde imprimere nell'animo dei lettori una nozione direttrice per tutti i casi nei quali si tratta di fondi vincolati, sui quali accadesse di stipulare contratti, d'altronde per se leciti, e che non ripugnano alle condizioni essenziali ed ai veri diritti quesiti, interessanti, propri dell'atto di concessione.

Qui occorrerebbe di trattare la questione secondo la qualità legale impressa ai fondi livellari o soggetti a fitto perpetuo dal Codice Napoleone. Ma mi riserbo di discutere, questa questione a suo luogo, e ciò per non ritardare soverchiamente la trattazione delle altre parti della dottrina Leorica.

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CAPITOLO IV.

DELLA QUALITÀ LEGALE DEI BENI RELATIVA ALL' ACQUIDOTTO IN CONSEGUENZA DELLA CESSATA LEGISLAZIONE ITALIANA.

S. I. Oggetto di questo capo e sua praticata
importanza.

Le questioni agitate nell' antecedente capitolo sulla capacità legale dei beni a contrarre attivamente o passivamente una inerenza di acquidotto versano su beni i quali erano regolati col diritto comune vigente nel passato secolo, e che portano l'impronto del diritto civile, del feudale e del canonico. Ma dopo le legislazioni soppravvenute quali sono i dettami di diritto che diriger debbono la ragion civile delle acque ?

Questa ricerca è più importante di tutte quelle che furono intraprese nell' antecedente capitolo, perocchè spetta all'attuale e futuro esercizio della ragione civile delle acque. Forse taluno mi dirà che io ommettere poteva la trattazione della abolita o riformata giurisprudenza. A ciò rispondo col seguente esempio.

Fingete che il fondo di Pietro tenuto a livello o avuto in feudo fosse stato aggravato da una prestazione di acqua : fingete che 20 anni fa Pietro fosse decaduto e il fondo fosse passato in mano di Paolo fanciullo. Questo Paolo, fatto maggiore domanda se debba sottostare ancora alla servitù passiva dell'acqua. Che cosa rispondere si dovrebbe ? Con quale giurisprudenza si dovrebbe dettare la risposta ? - Dichiaro che ciò praticare non si potrebbe fuorchè facendo uso della giurisprudenza vigente nel tempo in cui avvenne la caduci

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