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Antonii dicti Contardi et fratrum Petri, omnium in commune viventium cum dicto Contardo.

La famiglia Bagnoli non possedette questi beni tanto lungamente, quanto le prometteva quest'atto circa quarant'anni dopo essa li vendette a Bartolommeo Beltrami, ed in conseguenza di tale vendita il sig. Luca canonico e successore del sig. Bigorre nella cappella di S. Giovanni Evangelista, li 24 dicembre 1746 accordò a Bartolommeo Beltrami l'investitura di questi stessi beni.

Si ignora in quali termini, ed a quali condizioni fosse stata accordata questa investitura.

Ma esiste un atto notarile del 1 febbraio 1747, col quale il sig. Luca dichiara (ratificando la detta investitura) d'investire Bartolommeo Beltrami tanto per se, quanto per Giacomo-Filippo e Sereno suoi figli, e per i suoi eredi e successori sino alla terza generazione: Investivit et investit Bartholomaeum de Beltrami · praesentem, acceptantem ac se investiendum pro sese, ac etiam ad utilitatem JacobiPhilippi et Sereni ejus filiorum, suisque haeredibus et successoribus usque ad tertiam generationem, et non aliter.

....

Il canonico Luca aggiunge, che con quest' atto egli non fa che rinnovare la concessione enfiteutica degli stessi beni, stata fatta li 2 gennaio 1702 alla famiglia dei Bagnoli.

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Giacomo-Filippo e Sereno Beltrami erano, come si è duto, i primi chiamati all'enfiteusi dopo Bartolommeo Beltrami loro padre. L'atto non spiega se in loro mancanza.o alla loro morte l'enfiteusi sarà trasmissibile a tutti i loro figli indistintamente. Esso dice solamente che l'investitura passerà. agli eredi e successori del loro padre Bartolommeo. Comunque sia la cosa, è stato rimarcato nella contestazione, della quale tosto si parlerà, che Sereno Beltrami a quest' epoca aveva una figlia nata li 3 febbraio 1737, e si è molto disputato, perchè essa non era nominata nell'atto d' investitura di Bartolommeo suo avo.

Sia che Giacomo-Filippo Beltrami non fosse sopravvissuto a suo padre, sia che egli fosse dappoi morto senza figli, è sempre certo che l'enfiteusi si trovava nelle mani di Sereno

Beltrami suo fratello, allorchè quest'ultimo, come si è di già detto, morì il secondo giorno complementario dell' an. uo XI (19 settembre 1803).

Qual sarebbe stata la sorte dei beni che la componevano, se a quest' epoca l'antica giurisprudenza piemontese fosse stata ancora in tutto il suo vigore? Questo è un punto su del quale importa fissare attentamente l'attenzione, se vuolsi cogliere bene il nodo della difficoltà insorto tra i figli maschi, e le femmine di Sereno Beltrami.

Le leggi romane distinguevano due specie d'enfiteusi : l'enfiteusi laicale e l'enfiteusi ecclesiastica. La prima è abbastanza per se stessa definita. Si qualificava enfiteusi ecclesiastica, quella che cadeva sui beni della chiesa, qualunque fosse la qualità o la professione sia dei concedenti, sia dei cessionarj: an saecularis, an ecclesiastica dicenda sit, non ex accipientium vel dantium persona, sed ex sola rei datae conditione aestimandum est, dice Voet sul digesto, tit. si ager vectigalis, n. 9.

L'imperadore Giustiniano col capo III della novella 7 aveva stabilito, che i beni ecclesiastici non potessero essere dati ad enfiteusi che all'enfiteuta, e a due de' suoi eredi successivamente, semprechè fossero o suoi figli o figlie, o suoi nipoti dell' uno o dell' altro sesso; ed aveva permesso nulladimeno di chiamarvi anche il coniuge' dell' enfiteuta ; ma aveva espressamente proibito di stipularne la trasmissione ad ogni altro erede, di modo che in mancanza o dei figli e delle figlie, o dei nipoti e nipote, o del conjuge del concessionario primitivo, l'enfiteusi doveva ritornare alla chie. sa: Emphyteusim autem sive in sanctissima majore ecelesia, sive in omnibus reliquis adorandis domibus fieri sinimus, et in accipientis persona et in duobus ejusdem personae hae redibus deinceps, filiis tantum solis masculis aut faeminis, aut nepotibus utriusque naturae, aut uxore, aut viro, si hoc videlicet de uxore aut viro expresse nominatur, alioqui non transire ad aliquem alterum haeredem; sed usque ad solam vitam percipientium standum, nisi filios aut nepotes habuerint. Aliter enim penitus emphyteusim agri ecclesiae cujus

dam aut ptochii rei immobilis, aut mancipii rustici, aut civilis annonae, nullo permittimus modo; neque quod fit habere aliquod penitus robur sinimus.

Alcuni anni dopo, Giustiniano trovò conveniente di dare maggior estensione a questa sorta di concessioni. Col capo VI della novella 120 permise a tutte le chiese, eccettuate quelle di Costantinopoli, di concedere ad enfiteusi perpetua, mediante certe formalità, i beni de' quali esse non potrebbero ricavare un partito vantaggioso conservandoli: Licentiam igitur damus praedictis venerabilibus domibus, non solum ad tempus emphyteusim facere immobilium rerum sibi competentium, sed et perpetue haec emphyteutico jure volentibus dare.

In sequela di questa legge, le enfiteusi ecclesiastiche, perpetue divennero a guisa delle enfiteusi laicali trasmissibili agli eredi estranei, come agli eredi della famiglia dei concessionarj enfiteuti: sic ut ad cujuscumque gradus “hɗeredes sive cognatos, sive extraneos devolvitur, dice di nuovo Voet al luogo già citato.

Ma le enfiteusi ecclesiastiche temporarie, le quali esigevano meno formalità, rimasero sottoposte alla novella VII, e conseguentemente non ebbero che i figli e figlie, nipoti e nipote, e gli sposi dei concessionarj, che vi potessero esser chiamati in forza dei primordiali atti d'investitura.

Tale era su questa materia tutta l'economia del diritto romano in quest' ultimo stato ; e quindi si vede chiaramente che non eravi, quanto alla successione de' beni enfiteutici, nel caso in cui essa poteva aver luogo, alcuna differenza tra i figli maschi e le femmine.

Ma ciò che l'imperadore Giustiniano volle proscritto, l'introdusse l'uso dappoi in un gran numero di contrade, e segnatamente in quelle dell'inaddietro Savoia, ed in Italia. Ivi si tenne per regola generale che fuori del caso di una vo cazione espressa, l'enfiteusi ecclesiastica sia perpetua, sia temporaria non si trasmetta nè alle donne, nè agli eredi estranei: Neque in faeminas transire solet, neque in extraneos haeredes, dice il presidente Fabro nel suo cod. lib. 4,

tit. 43, def. 75, n. 7. Da ciò derivò l'esclusione delle figlie sino a tanto che esistevano maschi, anche quando l' investitura fosse stata accordata all'enfiteuta per i suoi discendenti e successori senza distinzione: Emphyteusis alicui concessa pro se, et filiis dividenda est inter omnes liberos non tantum masculos, sed etiam faeminas, nisi faeminac speciatim exclusae appareant; VEL NISI ECCLESIASTICA SIT, cum haec in faeminas non transeat, nisi generatim pro descendentibus et successoribus concessa sit, atque deficiant masculi. Così si esprime Richeri nella sua raccolta delle decisioni del senato di Torino, tom. 4, pag. 99; e tale era, secondo lo stesso autore, la costante giurisprudenza di questa corte, come segnatamente lo provano due delle sue decisioni, l'una del 25 agosto 1642, l'altra del 21 novembre 1770.

Avvi ancor di più. Per succedere all'enfiteusi non era necessario d' essere erede dell' ultimo possessore, perchè il successore all'enfiteusi, quantunque escluso dalla successione dell' ultimo possessore sia per diseredazione, sia per ripudio, veniva chiamato all'enfiteusi come a un fedecommesso, ed i figli erano riputati tener l'enfiteusi non come eredi del loro padre, ma come chiamati dalla volontà del concedente. Neque necessaria est haereditaria qualitas (prosegue il Richeri), sed emphyteusim habent filii, licet a patre haeredes instituti non fuerint, vel paternam haereditatem repudiaverint, neutrum consequantur filii ex patris, sed ex concedentis voluntate; atque emphyteusis res plane distincta est a parentum haereditate, prout obtinet in fidei

commisso.

Premesse queste nozioni, passiamo ora alla contestazione insorta tra i figli maschi, e le figlie di Sereno Beltrami. Queste dopo un tentativo di conciliazione, che riuscì di niun effetto, citarono avanti il tribunale civile del circon. dario di Voghera i loro fratelli, per vedersi dichiarare che i beni enfiteutici, trovati nella eredità del loro comun padre, fossero tra esse divisi, ed in eguali porzioni; ed all'appoggio di questa domanda esse sostennero: 1.° che esse erano comprese nell'atto d' investitura del 1 febbraio 1747, sotto

i termini generali suisque haeredibus, et successoribus; 2.o che supponendo che non fossero state comprese nella vocazione, e che avessero dovuto essere escluse se la successione del loro padre si fosse aperta sotto l'antica giurisprudenza, nulla ostante esse avevano diritto ad una porzione eguale, essendo morto il loro padre sotto l'impero del codice Napoleone, che da una parte stabilisce per principio nell' articolo 932, che la legge non considera nè la natura, nè l' origine dei beni per regolare la successione, e dall'altra parte vuole coll' articolo 745, che i figli o loro discendenti succedano al loro padre e madre, avi ed avole, o altri ascendenti, senza alcuna distinzione di sesso nè di primogenitura.

Giovanni e Luigi Beltrami si opposero: ed il tribunale civile di Voghera, adottando il loro sistema su l'uno e l'altro punto, con sentenza 24 brumale anno XIII (15 ottobre 1804) rigettò la domanda delle sorelle Beltrami.

Queste appellarono, e la causa fu portata avanti la corte di Torino. Il ministro pubblico << ha osservato, che non risulta in alcun modo dall'atto d' investitura 1 febbraio 1747, che i figli maschi fossero i soli successibili all'enfiteusi, di cui si tratta; che così il diritto esclusivo riclamato dai fratelli Beltrami non saprebbe aver altra base che una massima di giurisprudenza portante, che la successione all'enfiteusi dei beni ecclesiastici deve essere regolata secondo il modo delle successioni feudali, dal quale le donne erano sempre escluse; ma che questa massima, nello stato presente delle cose, non poteva nullamente favorirle, stante che l'antico ordine di successione relativamente ai feudi è stato annullato dalle disposizioni del nuovo codice: che d'altronde i fratelli Beltrami, nel caso concreto, non potrebbero implorare il favore di un diritto quesito in conseguenza della stipulazione; perchè trattandosi di contratto il diritto non è validamente acquistato, che allorquando essendo stipulato fra le parti interessate, ha ricevuto una individuale applicazione; che per conseguenza il diritto dei fratelli Beltrami non era, durante la vita del loro padre, che una semplice aspettativa che la legge ha frustrata; che il padre essendo morto dopo

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