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tribuzione gravita sul possessore libero. A che dunque obbiettare il decreto 27 aprile 1811?- Ad ogni pessimo caso egli sarebbe inconcludente per escludere l'affrancabilità. Questa non potrebbe risultare fuorchè dallo stato intiero degli antichi livelli conservato dalla nuova legislazione. Ma così è che questa conservazione non risulta dal detto decreto; ma risulta il contrario. Dunque per lo meno non conclude a nulla contro l'affrancabilità.

A conferma delle nostre osservazioni produciamo la seguente Circolare.

Conferma della ritenuta del quinto del canone per rappresentare la contribuzione dovuta dal proprietario sui beni soggetti ad enfiteusi. (V. Art. di Governo vol. I, part. II, pag. 355).

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Essendo stata invocata una spiegazione del Decreto del cessato Governo Italiano 27 aprile 1811 relativo alla ritenuta del quinto del canone per rappresentare la contribuzione dovuta dal proprietario sui beni soggetti ad enfiteusi, S. M. I. e R. con veneratissima Sovrana Risoluzione data a Monza il 25 prossimo passato giugno e partecipata per dispaccio della Cancelleria Aulica unita, 21 luglio prossimo passato N. 22194-2085, si è degnata di dichiarare che tale spiegazione risulta già per se stessa dal senso letterale del Decreto suddetto; che nessun dubbio può emergere sulla sussistenza del medesimo, non essendo stato abolito con verun atto del Governo Austriaco, e che perciò non occorre alcuna formale pubblicazione della dichiarazione proposta.

S. M. si è però degnata di concedere che venga rilasciata alle autorità per loro norma la seguente istruzione.

1.o Il Decreto 27 aprile 1811 che all'art. 2 così si esprime: " l'enfiteuta è autorizzato a ritenersi il quinto dell' ammontare del canone per rappresentare la contribuzione dovuta dal proprietario » ha colpito tutti i beni soggetti ad enfiteusi

nel Regno Lombardo-Veneto senza far distinzione se l'importare del canone sia o no di qualche rilevanza, ovvero il direttario sia una persona secolare od ecclesiastica, un comuue od uno stabilimento.

2. Con questo Decreto furono cangiati generalmente i rapporti dei diritti legali tra il direttario e l'enfiteuta rispetto al dovere di concorrere al pagamento dell'imposto del fondo livellato; per conseguenza tutte le anteriori disposizioni su queste materie contenute negli Statuti o Leggi particolari, come anche la legge 7 ottobre 1785 pel Ducato di Milano, e quella del 23 aprile 1790 pel Ducato di Mantova, con tutte le loro conseguenze ed effetti legali, del pari che qualunque altra consuetudine od osservanza particolare invalsa nel proposito, hanno cessato d' aver forza e vigore dal giorno della pubblicazione del surriferito Decreto.

3. Con questo decreto però i diritti di esecuzione fiscale per legazione delle imposte su tutto il fondo livellato non furono in veruna guisa circoscritti.

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CAPITOLO V.

DELLE QUALITA' LEGALI DELLE PERSONE IN RELAZIONE Alla servitu' dell'acquidotto.

§. I. Oggetto di questo capo.

Dopo di avere trattato della qualità legale dei beni su i quali si costituisce la servitù dell' acquidotto, ragion vuole che noi discorriamo delle qualità legali delle persone dalle quali questa servitù viene costituita. Nella definizione sopra recata abbiamo accennato che debbono essere persone legalmente capaci ad obbligarsi. Le qualità legali delle quali parliamo qui si riferiscono appunto a questa capacità. Quello che dicesi delle cose per le qualità loro impresse sia per fatto della legge sia fatto dell' uomo, per dir pure si deve sotto altro aspetto delle persone per le qualità loro impresse sia dalla natura sia dal volere della legge sia da quello dell'uomo.

Queste qualità impresse alle persone quando prestano addirittura l'attitudine a contrarre la servitù dell'acquidotto costituiscono appunto la piena e legittima capacità personale. Quando assolutamente tolgono questa attitudine costituiscono la incapacità personale assoluta. Quando finalmente la prestano, o rispettivamente la negano solamente sotto a certe condizioni o a certe discipline costituiscono la capacità, o la rispettiva incapacità puramente relativa.

L'attitudine della quale parliamo qui è propriamente la facoltà morale a praticare atti produttivi di diritto e di un diritto sanzionato dalle leggi, e tutelato dall'autorità dei magistrati. Essa dir si potrebbe la POTENZA PERSONALE E

RADICALE GIURIDICA.

Questa potenza, quando si tratta di costituire una servitù prediale, risulta dalla unione della capacità legale delle ROMAGNOSI, Vol. VIII.

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persone e da quella dei beni (dalla personale e dalla reale). Se manca una di queste due capacità manca la potenza stessa giuridica a contrarre la servitù. Questo è importante in tutte le azioni e le eccezioni che possono riguardare la costituzione della servitù dell'acquidotto e qualunque altro atto nel quale si tratta di disporre di un reale diritto.

Colle cose discorse nei precedenti capi noi abbiamo trattato l'argomento della capacità reale che forma uno dei due requisiti essenziali della potenza giuridica a costituire la servitù di acquidotto, e trattato ne abbiamo in relazione alla costituzione stessa di questa servitù. Ivi abbiamo tacitamente supposto che per parte dei costituenti non esista personale incapacità alcuna assoluta o relativa, ma che per questo lato siano concorse tutte le qualità legali competenti. Ora ci rimane a trattare nello stesso modo delle qualità legali delle persone ; e però dovrassi ritenere il supposto, perpetuo di fatto che per parte dei beni non esista incapacità alcuna a soggiacere alla imposizione della servitù dell' acquidotto.

§. II. Principii direttivi riguardanti la capacità personale a costituire la servitù dell' acquidotto.

la

Ognuno intende, che per affermare se taluno abbia la legale capacità personale assoluta tauto di accordare, quanto di accettare il diritto di condurre un'acqua, richiedesi che persona abbia la piena e libera facoltà di contrarre. Ma quanto all'incapacità, che cosa dir si dovrà? L' incapacità personale a contrarre non si può indurre che in forza di interdetto emanato o autorizzato dalla legge; perocchè il diritto a contrarre derivando dal diritto originario naturale non può ricevere eccezioni o limitazioni se non per cause determinate sanzionate da una legittima autorità (1). Ora gli interdetti inducenti l'incapacità personale a contrarre possono essere o privativi o tutelari: e però taluno può essere

(1) Veggasi il Codice Civile universale, §. 17.

incapace a contrarre in forza di interdetto privativo; e tal altro essere lo può soltanto in forza di interdetto tutelare. L' interdetto privativo può essere ora penale ed ora civile. Il tutelare per lo contrario non può essere che civile. Col privativo o si toglie o si nega un benefizio in mira all' interesse comune. Col tutelare per lo contrario si assicura questo benefizio a pro della stessa persona interdetta.

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Spieghiamo tutto questo.

Supponiamo una legge, la quale proibisca allo straniero di succedere o di possedere nello stato nostro senza un reciproco trattato fatto fra il governo nostro e quello dello straniero nel quale i cittadini dei due stati siano reciprocamente abilitati a succedere e a possedere. L'interdetto allora è privativo, perchè nega o toglie assolutamente la capacità civile a possedere ed a succedere. Supponiamo ora il caso, che taluno nato nel nostro paese rinunzi espressamente alla nostra cittadinanza ed acquisti la straniera. Fingiamo di più ch' egli avesse possedimenti nello stato nostro, e che o per se o per mezzo di procuratore volesse contrarre una servitù di acquidotto. È vero o no, che contro di lui militerebbe l'interdetto privativo indotto dalla ragion pubblica? Qui abbiamo l' esempio di un interdetto privativo civile inducente l'assoluta incapacità a contrarre la servitù suddetta, come ad esercitare qualunque altra civile prerogativa.

Ciò che dicesi nel caso sopra riferito, si verifica in qualunque altra persona colpita da morte civile, sia per un fatto criminoso, sia per altro motivo, come per esempio, colla professione dei voti religiosi monastici. Nel primo caso si verifica una causa penale, nel secondo una causa civile. Nell' uno e nell' altro caso però il motivo impellente si è sempre quello della comune utilità. Niuna savia legge nè può indurre, nè può autorizzare interdetti privativi senza questo motivo; e però le nude e non motivate proibizioni si debbono considerare o come proscritte o come invalide, e riguardar sempre come un odioso capriccio contrario ai diritti

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