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dione, officine, prochi, simo, vestibulo, e altri somiglianti, che saria lungo quì riferire.

La lingua nostra al tempo di Dante mendica era, e non usata ad esprimere concetti alti e scientifici. Di ciò si duole egli in alcuni luoghi del suo poema; e questa si è la ragione per cui a tempo suo gli scrittori amarono di dettar le opere loro più tosto nel Latino o Franzese, che nel Toscano. Il poeta nostro primo d'ogn' altro si accinse alla nobile impresa d' ingrandire e abbellire il proprio idioma, e renderlo atto a materie importanti e magnifiche, raccogliendo vocaboli da tutti i dialetti d'Italia, molti dal Latino, alcuni dal Greco traendone, molti di nuovo formandone, che sono que' tre fonti, onde gli scrittori derivarono ad ogni lingua la nobiltà e la ricchezza. Questo bel tentativo, che sì felicemente gli riescì, e fu poscia approvato dall' imitazione di scrittori eccellentissimi, viene biasimato scioccamente da certi schifiltosi, che avvezzi alla mollezza e languidezza del poetar moderno, misero avanzo dello scorso secolo, non sanno assuefarsi alla robustezza e virilità del poeta nostro, e torcono tratto tratto leziosamente il grifo, come per cosa spiacente e fetida si farebbe. Ma a costoro con null' altro si dee rispondere che con un silenzio compassionevole, facendo solo avvertire a conforto degli studiosi, che se tale fosse il poema di Dante quale a costoro piacer potesse, non piacerebbe certamente a' datti, che ap. punto più che le dottrine e i concetti, la proprietà de' vocaboli, la severità de' numeri, e l'evidenza e gravità della locuzione nella divina commedia ammirano.

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Della cagione per cui abbia Dante voluto
a questo suo poema dare il titolo
di commedia

PARERE DEL MEDESIMO

SIG. FILIPPO ROSA MORANDO

Gran

Osserv. sopra l'Inf. Cant. xx. v. 3.

ran quistione fu tra' critici intorno al nome [commedia ] di quest' opera. Ma Dante nel libro della Volgare eloquenza ne disse in chiari termini la ragione [lib. 2. cap. 4.]: Per tragoediam superiorem stilum induimus , per comoediam infe riorem, per elegiam stilum intelligimus miserorum (a). Questa notizia fu prima d'ogn' altro ripescata da Torquato Tasso; ma poscia dal Marchese Maffei notabilmente illustrata. E` indubitabile che Dante non per altro chiamò commedia il suo poema che per la mediocrità dello stile; nè per altro chiamò [Inf. xx. v.113.] tragedia il poema di Virgilio che per la dizione sublime e magnifica. Passo tutto a proposito si ha da Platone nel Teeteto: Пgwτagógus Te, này "Hgάxλaтos, này EμΠρωταγόρας τε, καὶ Ἡράκλειτος, καὶ πεδόκλης, καὶ τῶν ποιητῶν οἱ ἄκροι τῆς ποιήσεως ἑκατέρας, κωμῳδίας μὲν Ἐπίκαρμος, τραγῳδίας δὲ Ὅμηρος : cioè, Protagora ed Eraclito, ed Empedocle, e i sommi poeti nell' una, e nell' altra poesia, nella commedia Epicarmo, e nella tragédia Omero. Epicarmo fu poeta comico ; ma da Platone vien detto comico riguardo solo alla dizione non al genere della poesia che trattò; come tragico vien detto Omero per la sublimità dello

(a) Cotal differenza tra la tragedia e la commedia asserisce Dante anche più diffusamente nella lettera a Can Grande Signor di Verona, in cui dedica a quel principe la terza cantica della sua commedia .

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stile. Il Fontanini [ Eloq. Ital.] accenna un passo di s. Gregorio Nazianzeno, nel quale vien chiamato Omero grande scrittore di commedie e di tragedie, non però perchè sieno, com' egli afferma, ne' suoi poemi cose liete del pari e calamitose narrate în diverso stile; ma riguardo all' Iliade che in sublime stile è dettata, e all' Ulissea ch'è poema di stil mezzano; quando non si voglia dire che nel passo di s. Gregorio al Margite poema giocoso d' Omero s'intenda alludere, la qual cosa potrebbe avvalorarsi con quelle parole d'Aristotele nella Poetica [ cap. 2. ]: Μαργείτης ἀναλόγον ἔχει, ὥσπερ Ἰλιὰς, καὶ Ὀδύσσεια πρὸς τάς τραγωδίας, ὕτω καὶ ἔτος πρὸς τὰς κωμῳδίας, che significano, per valermi della versione del Castelvetro: il Margite ha proporzione; siccome l Iliade, e l'Odissea riguardano la tragedia, così questi la commedia. Cothurnatus fu detto da Marziale [lib.5. epig.5.] Virgilio :

Pone cothurnati grande Maronis opus.

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Sermo cothurnatus fu da Macrobio [ Satur. lib.7. cap.5.] chiamato il parlar sublime. In vece di sublimitas artis, cothurnus artis, disse Plinio [lib.35. cap.10.]. Nello stesso modo Sidonio [lib.2. ep.9. ] cothurnus facundiae. Chi bramasse intorno a ciò dell' altre notizie vegga la Verona illustrata [par.2. lib.2. ove più diffusamente se ne tratta .

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AV VIS O.

:

Nel citare, che spesso accaderà, il Convito di Dante, seguirò il metodo tenuto dal Cinonio nelle sue Osservazioni della lingua Italiana, di citarlo a' trattati e capitoli. Il primo trattato si estende dal principio del Convito fino alla canzone prima gli altri tre sono i comenti alle canzoni che loro si premettono. I capitoli poi si fanno scorgere dallo interrompimento dello scritto. Monsig. Canonico Gio. Iacopo de' Marchesi Dionisi nel num.II. della serie degli eruditi Aneddoti recentemente in Verona stampati, ne promette una edizione del Convito di Dante coi numeri prefissi a ciascuno trattato, e a ciascun capo: cosa che stupisco non sia già stata fatta dagli altri editori della medesima opera.

IMPRIMATUR.

Si videbitur Reverendissimo Patri Mag. S. P. Apostolici. F. Xav. Passari Archiep. Lariss. Vicesg.

APPROVAZIONI.

P.B.L.M.

Le dotte ingegnose annotazioni dal valentissimo P. B. L.M. C. sulla commedia di Dante Alighieri quanto sono, a mio giudizio, conformi in tutto a' cattolici dogmi ed alla più sana morale; sembranmi altrettanto utili, ed opportune nonmeno ad emendare il testo di Dante guasto tuttora da molte false lezioni, che a rilevare il vero senso di non pochi luoghi oscurissimo ancora, malgrado le fatiche di tanti, che co' loro comenti hanno cercato di rischiararli. Stimo però utilissima cosa il pubblicarle colle stampe, qualora ec. In fede ec. Roma 2. Settembre 1791.

GIUSEPPE CANONICO REGGI Prefetto della Biblioteca Vaticana..

Eben da desiderarsi che si moltiplichino per l'Italia le impressioni

del maggior forse fra tutti i moderni poeti, del massimo certamente fra' nostri scrittori. Tanto più dovrà pregiarsene questa Romana edizione, che l'indefesso studio, l' erudizione, la diligenza del P. B. L. M. C. ha saputo arricchire di tante felici emendazioni del testo, di tante belle e tutte nuove esposizioni di sensi. Nulla poi v'ha che possa legittimamente impedirne la stampa, quando si è omal convenuto di considerar Dante siccome un classico, e di riguardare alcuni suoi satirici e men giusti dettati, piuttosto quai monumenti delle opinioni e de' tempi, che qual materia di scandalo pe' leggitori attuali. La commissione avuta dal Rmo Padre Maestro del S.P.A. di riveder quest' opera per la pubblicazione, mi obbliga a dihiararne così il mio sentimento. Questo di 12. Settembre 1791. Dalla Biblioteca Chiglana.

ENNIO QUIRINO VISCONTI
Direttore del Museo Capitolino.

IMPRIMATUR.

Fr. Thomas Maria Mamachius Ord. Praedic. Sac. Pal. Apo

stolici Magister.

L'INFER

DI DANTE ALIGHIERI

CANTO I

ARGOMENT O

Mostra il Poeta che essendo smarrito in una oscurissima selva, ed essendo impedito da alcune fiere di salire ad un colle, fu sopraggiunto da Virgilio, il quale gli promette di fargli vedere le pene dell'Inferno, di poi il Purgatorio, e che in ultimo sarebbe da Beatrice condotte nel Paradiso. Ed egli seguito Virgilio.

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1 Nel mezzo ec. Stabilendo Dante nel suo Convito che 'l mezzo della vita degli uomini perfettamente naturati sia nel trentacinquesimo anno (a), di tale età dee qui'ntendersi mentre dice Nel mezzo del cammin di nostra vita: ed una tale mezza età dee egli avere scelta per questo viag. gio [che in realtà non è che un viaggio della mente, o sia meditazione] allusivamente alle parole del santo Re Ezechia Ego dixi in dimidio dierum meorum vadam ad portas Inferi (b); che giusta l'inter pretazione di S. Bernardo (c) indicano l'aiuto della divina grazia, per cui l'uomo dimezza i giorni suoi, e dopo data una parte al male Inferni metu incipit de bonis quaerere consolationem. Facendoci poi Dante in più luoghi di questo suo poema (d) capire che l'anno di cotale suo viaggio fosse il 1300. viene perciò con questo primo verso a confermare d'esser egli nato nel 1265, come appunto scrivono il Boccaccio, Lionardo Aretino, ed altri, contrariamente al Landino (e), Daniello, e Dolce, che 'l dicono nato del 1260.

2 Selva oscura appella metaforicamente la folla delle passioni e de'vizi umani.

3 Che, dee qui valere talmente che, come in que' versi del Petrarca

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(4) Tratt. 4. cap. 23. (b) Isai.38.v.10. (c) Serm.de Cantico Ezechiae. (d) Vedi tra gli altri Inf. xxI. 112. e Purg.l. 98. (e) Nelle ediz, anteriori alla correzione del Sansovino.

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