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Che tu mi segui, ed io sarò tua guida, E trarrotti di qui per luogo eterno, 115 Ov' udirai le disperate strida,

Vedrai gli antichi spiriti dolenti, Che la seconda morte ciascun grida. 118 E vederai color, che son contenti

Nel fuoco; perchè speran di venire, Quando che sia, alle beate genti. 121 Alle qua' poi se tu vorrai salire

Anima fia a ciò di me più degna:

114 Per luogo eterno, per luogo che durar dee eternamente; e intende l'Inferno.

116 Antichi spiriti appella Virgilio tutti gli stati al mondo prima di Dante; come noi pure dicendo i nostri antichi intendiamo tutti quelli che sono stati avanti di noi, tanto ne' vicini tempi, quanto ne' più rimoti.

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117 La seconda morte ciascun grida, invoca ad alta voce : allusivamente a quel dell' Apocalisse Desiderabunt mori & fugiet mors ab eis (a); è dicela seconda per rapporto alla prima già successa morte del corpo.

118 Ê vederai leggono comunemente la Nidobeatina e tutte l'antiche edizioni; e legge pur l'edizione stessa degli Accademici della Cr. nel xiv. di questa cantica v. 120., e nel v. del Paradiso v. 112. ec., ed oltre a Dante ed altri poeti lo ha per fino in prosa adoprato il Boccaccio più fiate (b): nè capisco come piaciuto sia agli Accademici detti d'inserire invece, per l'autorità di pochissimi testi, E poi vedrai; e non abbiano posto mente all' altro poi in principio della terzina seguente, per cui rendesi qui la medesima particella molto stucchevole. 120 Quando che sia, vale una volta ad ugual senso del Latino aliquando. Vedine altri esempi nel Vocab. della Cr.

121 Qua' per quali, apocope usata pur da altri ottimi scrittori. Vedi 'I Vocab. della Cr. alla voce Quale.

122 Anima di me più degna, Beatrice, la quale a Dante abbandonato da Virgilio nel xxvi. del Purg. apparisce e scopresi nel xxx. per indi accompagnarlo al Paradiso. Nel seguente canto al v. 70. dirò il mio parere intorno al vero soggetto inteso dal poeta nostro, e per Beatrice, e per tutte quelle altre persone, dalle quali dicesi aiutato in questo misterioso viaggio.

(n) Cap.ix.v.6. (b) Vedi 'l Prospetto di verbi Toscani sotto il verbo Vedere n.33. C

Tom. I.

Con lei ti lascerò nel mio partire.

124 Che quello 'mperador, che lassù regna,

Perch' i' fui ribellante alla sua legge,

125 Perch' i fui [fu' leggono l'edizioni diverse dalla Nidob.] ribeltante ec. Dovendo questo andar d'accordo con quell' altro, che lo stesso Virgilio dice

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per null' altro rio

Lo ciel perdei, che per non aver fè (a)

fa di mestieri che ribellante alla divina legge vaglia qui lo stesso che alieno dalla vera fede; da quella fede cioè nel venturo Messia, che Dante con tutti i teologi (6) pone essere stata in ogni tempo necessaria per conseguire l'eterna beatitudine; e però del Paradiso parlando dice

a questo regno

Non sali mai chi non credette in Cristo,

Në pria, nè poi, ch' el si chiavasse al legno (c).

E per lo stesso motivo divide in Paradiso l' umano beato genere in due classi in una riponendo quei, che credettero in Cristo venturo (d), e nell' altra quei, che a Cristo venuto ebber li visi (e).

Oltre di cotale mancanza di fede, altra positiva ed assai più grande reità cadrebbe in Virgilio, ed in tutti que' gentili eroi, che fa lui Dante essere nel Limbo compagni (f) se, come volgarmente si pensa, credere si dovesse che tutto il gentilesimo infetto fosse di politeismo, o sia di credenza in più Dei. Dante però dovette aver letto ciò che nel sesto libro della sua storia scrive Paolo Orosio [quell' Orosio che la comune degli espositori chiosa dal medesimo Dante Par. x. 119. e seg. inteso nella persona dell' avvocato de' templi cristiani, del cui latino Agostin si provvide]: Pagani, quos iam declarata veritas de contumaeia magis, quam de ignorantia convincit, quum a nobis discutiuntur, non se plures Deos sequi, sed sub uno Deo magno plures ministros venerari fatentur; e come, anche prima di Orosio, dimostrati aveva conoscitori di un solo Iddio tutti i gentili filosofi Minuzio Felice nel suo dialogo Octavius, scrivendo non aver essi in realtà fatto altro che Deum unum multis designare nominibus; e più di tutti assolvendo dal politeismo Virgilio , per quelle di lui formole al politeismo del tutto opposte,

Deum namque ire per omnes

Terrasque, tractusque maris, caelumque profundum (g).

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O qui res hominumque Deumque

Aeternis regis imperiis, & fulmine terres (h).

(a) Purgat. VII. v. 7. e segg. (b) Vedi Pietro Lombardo tr) Parad. XIX. v.103. e segg. (d) Parad. xxxII. v. 24. (f) Vedi 'l canto IV. della presente cantica v. 31. e segg. v. 221. (b) Aeneid. 1. v. 233.

lib. 2. dist. 25. (e) Ivi v. 27. (g) Georg. 111.

Non vuol che in sua città per me si vegna. 127 In tutte parti impera, e quivi regge :

Quivi è la sua cittade, e l'alto seggio: O felice colui, cu' ivi elegge ! 130 Ed io a lui: Poeta, i'ti richieggio

133

Per quello Iddio, che tu non conoscesti
Acciocch' io fugga questo male e peggio,
Che tu mi meni là dov' or dicesti,

Sì ch'i' vegga la porta di san Pietro,
E color, che tu fai cotanto mesti.
Allor si mosse, ed io li tenni dietro.

127 In tutte parti ec. cioè, in tutte l'altre parti stende il potere del suo dominio, ma quivi propriamente fa sua residenza, e tien sua corte. Volpi.

128 Cu' ivi elegge, cui Dio elegge a tal luogo.

131 Quello Iddio che ec. In conseguenza di quanto poco anzi nella nota al v. 125. si è avvisato dee per quello Iddio intendersi il nostro Salvator Gesù Cristo. Dio in vece d' Iddio con minore pienezza e dolcezza del verso leggono l'edizioni diverse dalla Nidob.

132 Questo male, cioè l'oscura selva de' vizi, d'onde si forzava di usciree peggio, altri vizi peggiori, e l'eterna dannazione. 134 Porta di san Pietro. Mettendo Dante alla porta del Purgatorio (a) per custode un Angelo colle chiavi di s. Pietro, e non dicendoci più in verun luogo d'altra porta, che dal Purgatorio metta in Paradiso, ma supponendo da quello a questo un passaggio affatto libero, non v' ha dubbio che quella, e non altra, s'abbia a intendere la porta di san Pietro: nè se non male pretende il Rosa Morando diversamente. 135 Color che tu fai cotanto mesti, che gridano ciascuno la seconda morte, i dannati.

136 Li in vece di gli, a lui, scrîve Dante qui ed altrove.

(a) Canto IX. v. 76. e segg.

Fine del canto primo.

CANTO II

ARGOMENTO

In questo secondo canso, dopo la invocazione, che sogliono fare i poeti ne' principi de' loro poemi, mostra che considerando le forze, dubitò che elle non fossero bastanti al cammino da Virgilio proposto dello Inferno: ma confortato da Virgilio, finalmente prendendo animo lui come duca e maestro seguita.

, Lo giorno se n'andava, e l' aere bruno

Toglieva gli animai, che sono 'n terra
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
4 M' apparecchiava a sostener la guerra,
Si del cammino, e sì della pietate,

Che ritrarrà la mente che non erra .

7 O Muse, o alto 'ngegno, or m' aiutate:

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1. 2 L'aere bruno. Toglieva gli animai ec. Imita Virgilio in que' versi del lib. v. dell' Eneide:

Nox erat et terras animalia fessa per omnes

Alituum pecudumque genus sopor altus habebat (a). Aere legge spesso la Nidob. ove altre edizioni leggono troncatamente aer: e qui certamente apporta al verso pienezza insieme e dolcezza.

4. 5 Guerra, difficoltà, si del cammino, che nel discender all' Inferno, e poi salir al Purgatorio, e sì della pietate, che dell'anime eternalmente dannate a diversi crudeli tormenti doveva avere. Vellutello.

6 Ritrarrà, racconterà, la mente che non erra: la medesima mente, o sia facoltà della mente, che due versi sotto dice le vedute cose avere scritte, cioè la memoria. Lo errare, di fatto, non è che dell'intelletto, che giudichi essere la cosa che non è: ove della memoria il maggior danno può solamente essere lo scordarsi, e non l'errare, o sia il falsamente giudicare.

70 Muse, o alto ingegno ec. Da ciò che a Dante medesimo si fa dire da Cavalcante Cavalcanti Inf. x. 58. e segg. se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio (cioè Guido Cavalcanti ) ov'è?

(a) Verso 26. e seg.

O mente, che scrivesti ciò ch' io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate .
10 lo cominciai: Poeta, che mi guidi,
Guarda la mia virtù, s'ell' è possente
Prima ch' all' alto passo tu mi fidi.
Tu dici, che di Silvio lo parente,

13

Corruttibile ancora, ad immortale Secolo andò, e fu sensibilmente. 16 Però se l'avversario d'ogni male

Cortese fu, pensando l'alto effetto, Ch' uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale; 19 Non pare indegno ad uomo d' intelletto,

Ch'ei fu dell' alma Roma, e di suo 'mpero

scorgesi che il proprio ingegno in un colle Muse eccita qui Dante all' impresa; e che alto vaglia quanto nelle scienze coltivato ed innal zato, come lo era quello di Guido, esso pure uomo scienziato. Apollo per l'alto ingegno sospetta qui inteso l'erudito autore degli Aneddoti stampati recentemente in Verona, num. iv. cap. 6. Ma nel principio del Paradiso ci avvisa Dante di non aver egli per l' Inferno e Purgatorio incomodato se non le Muse, e di essersi riserbato l'aiuto d'Apollo a quell' ultimo lavoro.

8 Mente, che scrivesti ec. la memoria.

9 Si parrà, si manifesterà la tua nobilitate, la tua eccellente virtù.

12 Alto per arduo, difficoltoso.

13 Tu dici: non che Virgilio allora lo dicesse ; ma dicelo nella sua Eneida. Daniello di Silvio lo parente. Parente qui pure per genitore, come nel preced. canto v. 68., e intendesi Enea.

15 Sensibilmente, cioè col corpo, e non per visione. Daniello. 16 al 19 Però se l'avversario ec. Costruz. Ad uomo però d'intelletto non pare indegno, indegna cosa, irragionevole, se l'avversario d'ogni male, Dio del solo bene amatore, pensando, conoscendo, l'alto effetto ch' uscir dovea di lui, e 'l chi, e 'l quale sono questi il quid, e il quale delle scuole, indicante il primo sostanza, e l'altro qualità conoscendo l'effetto importantissimo, che da lui uscir dovea, della formazione del Romano impero, e nella sua sostanza, nell' interna sua costituzione, e nella sua qualità, d' influire nello stabilimento della chiesa di Gesù Cristo, come in appresso dirà, cortese fu, accordò lui tạle andata.

20 Che, vale imperocchè .

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