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94 In mezzo 'I mar siede un paese guasto,
Diss' egli allora, che s' appella Creta,
Sotto 'I cui Rege fu già 'I mondo casto:
97 Una montagna v'è, che già fu lieta

D'acqua, e di frondi, che si chiama Ida;
Ora è diserta, come cosa vieta.

100 Rea la scelse già per cuna fida

Del suo figliuolo; e, per celarlo meglio, Quando piangea, vi facea far le grida. 103 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,

94 In mezzo al mare, allusivamente a ciò che Virgilio, medesimo ha scritto nell' Eneide Creta Iovis magni medio iacet insula ponto (a). Guasto disertato e disfatto, ove sono rovinate la maggior parte delle cento città che un tempo in quell' isola contavansi, come Virgilio stesso racconta, Centum urbes habitant ec. (b).

95 Creta, Candia.

:

96 Sotto 'l cui Rege, Saturno, fu il mondo pudico così Giovenale, Credo pudicitiam Saturno Rege moratam In terris. Venturi. Rege per Re adoperalo Dante parecchie volte, ed altri scrittori pure. Vedi 1 Vocab. della Crusca.

98 D'acqua e di frondi, che si chiama Ida: così la Nidob. meglio dell' altre, che leggono D'acque e di fronde, che si chiamò; perocchè corrisponde al si appella Creta scritto di sopra; dove si vede, che non ha il Poeta avuto riguardo ai nuovi nomi che nell'età nostra si danno di Candia all' isola, e di Psiloriti (c) al monte.

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come cosa vieta, vecchia

99 Diserta, da tutti abbandonata fracida e fiappa: onde si dice saper di vieto una cosa, quando è

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divenuta vecchia. Daniello.

100 101 102 Rea, chiamata anche Berecintia, Cibele, Terra, Opi. la Gran Madre, figliuola del Cielo e di Vesta data in moglie a Saturno gli partori Giove, Giunone, Nettuno, e Plutone: e perchè il marito si divorava i figliuoli che di lei nascevano, fece nutrir Giove secretamente nel monte Ida; dove, affinchè non si sentissero i vagiti del bambino, faceva fare grandi strepiti con cembali ed altri fragorosi strumenti di festa, e voci incondite di allegrezza. Venturi. Cuna fida adunque vale quanto sicuro nascondiglio.

103 Dentro del monte ec. Per fare avverare sempre più che l' Inferno il mal dell' universo tutto insacca (d), vuole Dante nell' acque

(a) Lib. 2. v.104. (b) Ivi v. 106. (c) Vedi Ferrar. Lexic.Geogr. art. Ida, (d) Inf, VII, 18.

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Che tien volte le spalle inver Damiata,
E Roma guarda sì come suo speglio.

106 La sua testa è di fin' oro formata

E puro argento son le braccia e 'l petto,

Poi è di rame infino alla forcata:

stesse infernali simboleggiata la scolatura dei vizi dell' uman genere in ogni tempo. In una statua adunque di un gran veglio, composta da capo a piedi di varie materie gradatamente peggiori, come quella che nelle scritture sacre dicesi veduta da Nabuccodonosor (a), figura egli il tempo, e 'l peggioramento de' costumi entrato e cresciuto col tempo stesso nell' uman genere; e dal corrompimento delle materie componenti cotale statua, ch'è quanto a dire dai vizi di tutti i tempi, deriva le fecciose infernali acque .

Ripone Dante questa statua in Creta, perchè in Creta [chiosa il Venturi col Landino] fingono i poeti, che col regno di Saturno cominciasse del tempo la prima età. Non ponela in vista, ma nascosta dentro del monte, acciò l'esperienza non tolga fede alla finzione. L'altre circostanze in seguito.

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104 105 Tien volte le spalle inver Damiata, e Roma guarda ec. per Damiata accennasi l'oriente, e per Roma l'occidente, e vuole indicarsi, che il tempo non sia altro che un riguardo al moto degli astri, che da oriente in occidente fassi; o vuole significarsi, che il tempo è fatto per la beata eternità, e però guardi Roma, cioè la vera religione che alla beata eternità sola conduce, e volti le spalle a Damiata città d'Egitto, inteso per l' idolatria, ed ogni erronea setta.

106 al 111 La sua testa ec. Ne' metalli di cui è composta la statua, si riconoscono le diverse qualità de' costumi, secondo i diversi tempi ed età del mondo. Vedi Ovidio lib.1. delle Trasform. Aurea prima sata est aetas ec. Il piè di creta, su cui si posa, è l' età che corre presentemente: vedi Giovenale nella sat.13. che dà la ragione, perchè questa parte ancora non sia di metallo, come le altre [ cioè perchè appellinsi dai poeti tutte le precedenti età col nome di qualche metallo, fuor che l'età corrente ]:

Venturi .

Nona aetas agitur (b), peioraque saecula ferri
Temporibus, quorum sceleri non invenit ipsa

Nomen, et a nullo posuit natura metallo.

Forcata, quella parte del corpo dove termina il busto, e comincian le cosce. Voipi.

(a) Dan. 2. (b, Nona igitur aetas agitur [chiosa al riferito passo di Giovenale il luvencì], quia Graeci non tantum quatuor aetates [iam exactas, intendi] numerabant, ut Latini, sed octo: auream, argenteam electream, aeream,

cupream, stanneam, plumbeam ferream.

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109 Da indi ingiuso è tutto ferro eletto, Salvo che 'I destro piede è terra cotta,

E sta 'n su quel, più che 'n sull' altro eretto. 112 Ciascuna parte, fuor che l'oro, e rotta D'una fessura, che lagrime goccia, Le quali accolte foran quella grotta. 115 Lor corso in questa valle si diroccia :

Fanno Acheronte, Stige, e Flegetonta ; Poi sen van giù per questa stretta doccia 118 Infin là, ove più non si dismonta :

Fanno Cocito e qual sia quello stagno,
Tu 'l vederai, però quì non si conta.
121 Ed io a lui se'l presente rigagno
Si deriva così dal nostro mondo,

Perchè ci appar pure a questo vivagno?

112 al 115 Ciascuna parte, fuor che l' oro [metallo purissimo, che non prende ruggine, indicante però l' innocenza de' primi uomini], è roita di una fessura, che lagrime goccia, da cui sgocciola la scoria di quelle impure materie. Quella grotta, il fondo di quella grotta, che la statua tiene nascosta. -Si diroccia, cioè si discende correndo a modo di fiume. Buti riferito nel Vocab. della Cr.

117 Doccia, canale, condotto. Del medesimo significato hassi il Latino-barbaro dogae; canales [chiosa il Laurenti (a)], quibus aqua

ducitur.

118 Là, ove più non si dismonta, al fondo dell' Inferno.

120 Tu'l ti vedrai (b) in vece di tu'l vederai temola correzione di tale troppo amico della sincope. Vedi Inf. I. 118. e quella nota. 121 Rigagno, rigagnolo, picciol rivo. Vocab. della Cr.

123 Pure a questo vivagno, solamente a questa ripa. Vivagno [chiosa il Vocab. della Cr.] propriamente l'estremità de' lati della tela. Per similit. vale ripa. Pareva a Dante, che scendendo quel rivo dal nostro mondo, dovesse, mentr' era nell' alto dell' Inferno, vederlo scendere.

Per questa interrogazione, che Dante fa, e per la risposta che rende lui Virgilio, scuopresi l'insussistenza di ciò che il Landino e 'l Vellutello suppongono, ed ha anzi il Vellutello in chiari termini premesso nel canto VII. di questa cantica v. 106. e segg., che le acque cadenti

(a) Amalth. onom, art. Dogae. (b) Vedi Serie di Aned. Verona 1790. p.45.

124 Ed egli a me tu sai, che 'l luogo è tondo, E tutto che tu sii venuto molto

Pur a sinistra giù calando al fondo, 127 Non se' ancor per tutto 'I cerchio volto: Perchè, se cosa n' apparisce nuova,

Non dee addur maraviglia al tuo volto. 130 Ed io ancor: maestro, ove si truova Flegetonte, e Letè, che dell' un taci, E l'altro di che si fa d'esta piova?

dalla palude Stigia del quinto cerchio facciano questo stesso fiume, detto Flegetonte imperocchè così essendo, avrebbe dovuto Virgilio a questa interrogazione rispondere, che già cotal rigagno era apparso nel passar che fecero dal quarto al quinto cerchio, in quella fonte, che bolle e riversa ec. (a), cioè nel fiume Stige.

126 Pur a sinistra leggono l' edizioni del Landino, Vellutello, e Daniello, assai meglio che la Cominiana ed altre moderne appresso alla edizione degli Accademici della Crusca, che legge pure sinistra. Eccone la facile costruzione: Tutto che tu calando giù al fondo sii pure venuto molto a sinistra, quantunque cioè, nell' atto che tu cali verso il fondo dell' Inferno, siiti pur molto nell' obbliqua spirale via, che a sinistra imprendesti, innoltrato. La Nidobeatina legge più a sinistra ; ma anche di questa è migliore pur a sinistra.

:

127 Non se ancor per tutto il cerchio volto non sei ancora giunto al punto posto sotto quello, onde incominciasti la discesa.

129 Non dee addur ec., non dee rendere il tuo volto maravigliato, non dee recarti maraviglia.

131 132 Lete legge qui ed altrove (b) sempre la Nidobeat. : e inteso che pronunziar debbasi, come i Greci e Latini pronunzianlo, colla seconda e lunga, non sarà in verun luogo bisogno di quel Letéo, che dee malamente alcuno aver giudicato necessario per l'aggiustatezza del verso. Non mi sembra però buona la ragione, che ne aggiunge il Perazzini che, essendo il Latino Lethe di genere femminino, posto che Dante stesso vi avesse giunto lettera, scritto avrebbe Letea, e non Lereo (c): imperocchè in questi versi appunto dicendo di Flegetonte e di Lete dell' un taci, E l'altro dì, scopresi Dante d'inten. dimento che fossero ambedue questi nomi di genere del maschio.

dell' un taci, di Letè, E l'altro, Flegetonte, di, dici, che si fa d'esta piova, di quest' acqua piovente dalla descritta statua.

(a) Inf. VII. 101. 102. (b) Nel v.136. del presente canto. Purg. xxvI. 108. XXVIII. 130. XXX. 143. XXXIII. 96. 123. (c) Correct. in Dant. Veronae 1775.

133 In tutte tue question certo mi piaci,
Rispose; ma 'I bollor dell' acqua rossa
Dovea ben solver l' una, che tu faci.
136 Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
Là dove vanno l' anime a lavarsi,
Quando la colpa pentuta è rimossa.
139 Poi disse: omai è tempo da scostarsi

Dovea

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134 135 Il bollor dell' acqua rossa, che tu hai poco anzi veduta a gastigo degl' immersi violenti contro il prossimo (a) ben solver l'una, delle questioni, che tu faci per fai: imperocchè sapendo tu esser il nome di Flegetonte formato dal Greco verbo qλézw, che significa abbruciare (b), doveva il bollor di quell' acqua farti accorgere, ch' era la medesima il Flegetonte, di che tu chiedi .

Può questo passo raddoppiare il peso agli argomenti, coi quali l'autore delle Memorie per la vita di Dante (c), e l'autor degli Anedd. Verona 1790. (d) sostengono, contro il sentimento del March. Scipione Maffei, e d'altri letterati, che avesse il nostro poeta cognizione del Greco idioma. 136 Questa fossa, intende tutta l'infernale cavità.

137 Là ove ec. nel Purgatorio xxv. v.25. e segg.

138 Quando la colpa pentuta è rimossa. Accenna qui Dante quel giustificante pentimento, che le purganti anime, dopo le sofferte pene, giunte al fiume Lete, prima d'esservi immerse, sentono in se stesse eccitarsi siccome il Poeta attesta di se medesimo colà giunto:

Di penter sì mi punge ivi l'ortica,

Che di tutt' altre cose, qual mi torse

Più nel suo amor, più mi si fè nimica.
Tanta riconoscenza il cuor mi morse,
Che ec. (e).

Pentuta, da pentere, addiettivo adoperato dal Boccaccio pure e dal Villani. Vedi 'I Vocabol, della Cr.

Si trova, dice il Venturi, in qualche codice pentuta ha rimossa, e allora pentuta sarebbe nome sostantivo, come pentimento, rendendo questo senso la penitenza ha tolto via ogni vestigio di colpa. E vi è chi giura aver ritrovata in altri scrittori classici tal voce antica in questo medesimo significato.

Non vi è qui bisogno della voce pentuta a questo senso; quando però vi fosse, l'esempio l'avremmo lampante dalla Cronica di Donato Velluti prodottoci nel Vocabol. della Cr. sconfitti due volte, come sono stati, ed essere sotto tiranno; di che n'hanno centomila pentute .

(a) Canto XII. 47. e segg.

(b) Schrevel. Lexic. Graeco-Lat. (6) §.8.

(d) Cap.13. (e) Purg. xxx1. 85. e segg.

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