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94 Taccia Lucano omai, là dove tocca

Del misero Sabello, e di Nassidio,

Ed attenda ad udir quel, ch' or si scocca. 97 Taccia di Cadmo, e d'Aretusa Ovidio:

Che se quello in serpente, e quella in fonte
Converte poetando, i non lo 'nvidio:

100 Che duo nature inai a fronte a fronte

Non transmutò, sì ch' amendue le forme
A cambiar lor materie fosser pronte.

chè per una medesima via con direzioni opposte movendosi i due fummi, quello del serpente entrava nel bellico dell' uomo, e quello dell' uomo entrava nella bocca del serpente.

94,95 Taccia Lucano ec. Narra Lucano (a), che passando Catone per la Libia arenosa con l'esercito, un soldato detto Sabello fu punto da un serpe, chiamato seps, in una gamba; ed avendogli tal puntura tutta la pelle e carne lacerato, in poco spazio di tempo tutto si distrusse, e cenere divenne: e che un altro serpe, chiamato praester [ alcuni dicono aspido sordo] punse un altro soldato detto Nassidio, ed in guisa gli fece gonfiare il corpo, che gli scoppiò la corazza, nè gli si trovava membro, o giuntura alcuna, tant' era enfiato. Daniello. 96 Scocca. Scoccare per manifestare, palesare. Volpi. A questo e simil senso hanno pur trasferito scoccare altri celebri scrittori. Vedi'l Vo cabolario della Crusca.

97 Cadmo trasformato in serpente (b), Aretusa convertita in fonte (c). 99 Io non lo invidio. Nò, perchè nè dice delle più grosse, e da non pigliarsi ne men con le molle: così il Venturi. Ma la sbagliò esso pure şe, cercando il quinto evangelista, sperò di rinvenirlo in Parnaso.

100 A fronte a fronte vale quanto presenti l' una all' altra. Ma non tanto del far egli scambiarsi vicendevolmente fra di loro due nature vuole vantarsi, quanto del modo con cui le fa cambiare, gradatamente, e per quel fummo, che non ispiegan bene i comentatori, e che mal inteso dal Venturi, passa nel v. 118. a deriderlo d'altra efficacia che la pietra filosofica.

101 102 St ch' amendue le forme ec. si che la forma del serpente pronta fosse ad abbandonare la propria materia, e ad unirsi alla materia dell' uman corpo, e la forma dell'uman corpo fosse vicendevolmente pronta a distogliersi dalla propria materia, e ad unirsi alla materia del serpente .

(a) Pharsal.lib.9. (b) Ovid. Met. lib. 3. (e) Met. lib. 5.

103 Insieme si risposero a tai norme,

Che 'I serpente la coda in forca fesse,
E'l feruto ristrinse insieme l'orme.
106 Le gambe con le cosce seco stesse.
S' appiccar sì, che in poco la giuntura
Non facea segno alcun, che si paresse.

109 Toglica la coda fessa la figura,

Che si perdeva là, e la sua pelle

Si facea molle, e quella di là dura. 112 lo vidi entrar le braccia per l'ascelle,

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E i due piè della fiera, ch' eran corti,

103 A tai norme, vale quanto talmente, con tal metodo. 104 In forca fesse, apri la coda in due, fecela biforcuta e intendi, per formarsene con que' due pezzi le umane gambe.

105 Il feruto, il ferito, l'uomo

ristrinse insieme l'orme: l'orme per piedi. Nello stesso significato usarono di dire i poeti Latini vestigia. Catullo in quella elegia dove introduce a parlare la chioma di Berenice, divenuta una delle celesti costellazioni, così dice: Sed quamquam me nocte premunt vestigia divum;

e fu imitato dal Sannazzaro nell' ecloga 5. dell' Arcadia, dove piange la morte d'Androgeo

E coi vestigi santi

Calchi le stelle erranti.

Volpi.

106 107 108 Le gambe ec, Siegue a dire dell'uomo, come in seguito ad aver ristretti insieme i piedi, s' appiccar sì piedi, gambe, e cosce, che in poco tempo divennero un sol membro, senza che vi apparisse segno alcuno di giuntura, di congiungimento: e però atto a formar la coda del serpente .

109 110 111 Toglieva ee. Parla ora del serpente. Toglieva, vale qui quanto pigliava, prendeva, acquistava che si perdeva là, nell' uomo, cioè la figura de' piedi umani e la sua pelle si facea molle, come quella dell'uomo e quella di là, nell' uomo, dura come quella del serpente.

112 Îo vidi entrar le braccia per l'ascelle, seguita a parlar dell'uomo, e a dire che gli entravano le braccia per l'ascelle, e in cotal modo venivano ad accorciarsi, ed a farsi come le gambe anteriori del ramarro, a cui ha paragonato nel moto, e suppone simile nella figura questo serpente .

113 E i due piè della fiera, del serpente: intendi i due piedi davanti.

Tanto allungar, quanto accorciavan quelle. 115 Poscia li piè dirietro insieme attorti

Diventaron lo membro che l' uoi cela, E'l misero del suo n' avea due porti 118 Mentre che 'l fummo uno e l'altro vela Di color nuovo, e genera 'l pel suso Per l'una parte, è dall' altra il dipela; 121 L'un si levò, e l'altro cadde giuso,

Non torcendo però le lucerne empie,

Sotto le quai ciascun cambiava muso. 124 Quel, ch' era dritto, il trasse 'n ver le tempie, E di troppa materia, che 'n là venne,

Uscir l'orecchie delle gote scempie :

114 Quelle, cioè le dette braccia dell'uomo. 115 Li piè dirietro della fiera, del serpente

117 Del suo n' avea due porti, del suo membro ne aveva sporti due, per formarsene le deretane serpentine gambe.

118 al 121 Mentre che 'l fummo ec. Fa ora il Poeta che venga il fummo a velar entrambi coloro, a formarne il vario bisognevole colore, e a togliere il pelo dall' uomo che convertivasi in serpente, e produrre il pelo nel serpente che diveniva uomo; e dice che nel mentre che questo facevasi il serpente coll' acquistata umana forma si alzò, e l'uomo divenuto serpente cadde giuso, si stese per terra, come il serpente fa.

122 123 Lucerne per gli occhi, l'adoperano anche altri Italiani scrit tori [vedi'l Vocabolario della Crusca]; ed abbiamo scritto nel van gelo lucerna corporis tui est oculus tuus. empie, maligne, fraudolenti sotto le quai, vale quanto sotto la guardatura delle quali muso per faccia.

124 Quel ch'era dritto, quello cioè ch' era divenuto uomo in tutto il corpo fuorchè nella testa, il trasse in ver le tempie, ritirò il muso verso le tempie, per di serpentino lungo ed aguzzo, che era, accorciarlo ed appianarlo alla figura di umano volto.

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125 126 Che in là, verso le tempie uscir schizzar fuori l'orec chie dee leggersi necessariamente colla Nidobeatina, e non gli orecchi, come l'altre edizioni leggono; imperocchè lo scempie in fine del verso non può accordar bene se non colle orecchie stesse. L'aggettivo scempio ha tra gli altri significati quello di separato, diviso (vedi 'l Vocabolario della Crusca ]; e nell'uomo appunto, al contrario del serpente, sono le orecchie dalle gote divise, cioè sporte in fuori.

127 Ciò, che non corse in dietro, e si ritenné,
Di quel soverchio fe naso alla faccia,

E le labbra ingrossò quanto convenne: I
130 Quel, che giaceva, il muso innanzi caccia,
E l'orecchie ritira per la testa
Come face le corna la lumaccia;

133

136

E la lingua, ch' avea unita e presta

ཙམ

Prima a parlar, si fende; e la forcuta

Nell' altro si richiude", e 'l fummo resta.
L'anima ch' era fiera divenuta

Si fugge sufolando per la valle,

127 128 Ciò che ec. Costruzione. Ciò che di quel soverchio si ritenne, e non corse in dietro: cioè, porzione della materia del lungo serpentino capo che per la forma dell' uman capo troppa essendo si ritenne dinanzi, e non corse in dietro verso le tempie, come l'altra porzione aveva fatto fe naso alla faccia, fe il naso dell'umana faccia 130 131 Quel che giaceva, cioè quello che, tutto serpente fuor che nella testa, s'era steso per terra, il muso innanzi caccia, per fare il serpentino muso e l'orecchie [legge, come di sopra, la Nidobeatina, e gli orecchi l'altre edizioni] ritira per la testa, le sporte cartilagini delle orecchie ritrae dentro della testa, per formarsi orecchie da serpente.

132 Come face le corna la lumaccia: ellissi in vece di dire come face ritraendo le corna la lumaccia, lumaca più comunemente appellata. 133 134 135 E la lingua ec. Credendosi volgarmente la lingua de' serpenti tale, quale all'occhio per la veloce sua vibrazione apparisce, biforcuta, e per biforcuta ammettendola anche i poeti; facendo, tra gli altri esempi, Ovidio da Acheloo convertito in serpente dirsi

Cumque fero movi linguam stridore bisulcam (a); siegue anche il poeta nostro cotal persuasione e modo di parlare, e fa per ultimo atto della trasformazione, che ne descrive, fendersi all' uomo convertito in serpente la lingua; ed al serpente convertito in uomo fa all' opposto i membri della biforcuta lingua in uno richiudersi. — e'l fummo resta, la reciproca emissione delle sostanziali forme detta al vers. 93. 136 137 L' anima ch' era fiera, divenuta. Per fiera intende il già divisato livido e nero serpente, ed a tale intelligenza accomoda i mascolini pronomi lui e gli ne' seguenti versi sufolando, fischiando, come li serpi fanno.

(a) Met. lib. 9. 65.

E l'altro dietro a lui parlando sputa. 139 Poscia gli volse le novelle spalle,

E disse all' altro:ivo, che Buoso corra Come fec' io, carpon, per questo calle 142 Così vid' io la settima zavorra...

Mutare, e trasmutare, e quì mi scusi

138 139 E l'altro, il divenuto uomo parlando spuin. Comune. mente gl' interpreti chiosano che unisca Dante al parlare lo sputare per indicar queste come due proprietà dell' uomo. Vegga nondimeno il lettore se gli piacesse più d'intendere che parlasse costui con ira e con la bava alla bocca novelle spalle, di nuovo fatte.

140 All' altro dei tre, che non erasi trasformato, cioè a Puccio Sciancato, come appresso dirà Dante medesimo. Buoso, quello cioè convertito in serpente, che gli espositori dicono Buoso degli Abati

nabile Fiorentino.

141 Come fec'io la Nidobeatina, com ho fatt' io l'altre ediz.-carpone, avverbio, vale carpando, cioè camminando colle mani per terra. Vocabolario della Crusca.

142 143 Settima zavorra, per valle di terreno arenoso, com' era la settima bolgia dell' Inferno. Così chiosa il Volpi, ed in somigliante modo anche il Venturi. Ma dove primieramente trovan essi, che faccia Dante questa bolgia arenosa? Dic' egli bensì esistere in questa più serpi, che non vanti l'arenosa Libia (a); ma non dice però, che qui similmente sia della rena. Poi, se questa sola bolgia era arenosa, come bene all' appellazione di zavorra aggiungerebbesi quella di settima? Sarebb' egli forse da tollerarsi se, come bulicame appellò Dante la prima delle tre fosse de' violenti (b), per esser piena di bollente sangue, avessela appellata primo bulicame, quantunque nell' altre due fosse sangue non ponesse nè altro bollente fluido?

Come questi due moderni spositori convengono tra di loro nella riferita spiegazione, così i vecchi, Landino, Vellutello, e Daniello s' accordano in un' altra. Chiama settima zavorra degli altri più chiaramente e pienamente così favella il Vellutello] questa settima bolgia, avvegnache zavorra propriamente sia quella rena, o ghiara, che si mette nella sentina della nave acciò che per lo poco peso non vada vacillando. Intese adunque la zavorra per sentina, la quale per esser sempre piena di fetore, e puzza assomiglia a questa bolgia, perchè era piena d'abbominevole vizio. E dice averla veduta mutare, cioè, che essa zavorra aveva mutato, intendendola per agente, e non per paziente, ch'ella fosse mutata; ma rispetto a Buoso, che d'umano spirito vide mutar in serpen

(4) Cant. preced. v. 85. e segg. (b) Inf. xII. 128.

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