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La novità, se fior la penna abborra 145 Ed avvegnachè gli occhi miei confusi

Fossero alquanto, e l'animo smagato.

te, e trasmutare, cioè un altra volta mutare, rispetto al serpente, che vide mutar in spirito; il quale, perché dice, io vò che Buoso corra come ho fatt'io, intese essere stato un'altra volta mutato di spirito in serpente. Io però, diversamente da tutti, direi che zavorra appelli Dante per isprezzo non la bolgia o bolge, ma la gente stessa delle bolge per occupar questa, a guisa appunto di fecciosa zavorra, il fondo di quelle; come cioè se detto avesse, la genia o feccia d' uomini posta in fondo della settima bolgia. In questo senso pe 'l mutare e trasmutare non sarebbe più d' uopo di fare agente la bolgia, perocchè sarebbelo la gente stessa.

144 Se fior la penna abborra legge la Nidobeatina, ove l'altre edizioni se fior la lingua ec. Essendosi Dante manifestato in questo poema non quale dicitore a' uditori, ma quale scrittore a' leggitori, detto avendo, per cagion d'esempio, nell' Inf. vin. Pensa, lettor, s' io mi disconfortai, e in questo canto stesso v. 46. Se tu se' or, lettore, a creder lento, ho perciò preferita la lezione Nidobeatina Se fior la penna abborra. Fior e fiore avverbio vale un tantino; onde lo stesso Dante Inf. xxxiv. 26. Pensa oramai per te, s'hai fior d'ingegno, e Purg. 11I. 135. Mentre che la speranza ha fior del verde. Abborrare e pe 'l contesto qui, e per quell' altro passo Inf. xxxI. 24.

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Perocchè tu trascorri,

Per le tenebre, troppo dalla lungi
Avvien che poi nel maginar abborri;

e per quello pure di Fazio degli Urbeti

Maraviglia sarà se riguardando

La mente in tante cose, non abborri (a)

scorgesi apertamente significare lo stesso che traviare, lo stesso che il Latino aberrare, e dovere perciò dal Latino medesimo essere per antitesi fatto, mutata la e in ò. Adunque se fior la penna abborra val come se un tantino la penna travia; esce cioè [intend' io] col troppo minutamente a parte a parte descriverne queste trasformazioni, dall' usato preciso stile di descrivere. Il Landino e 'l Vellutello intendono in vece, che cerchi Dante scusa del cattivo ed inelegante stile. Sarà forse difetto del corto mio vedere, ma all'occhio mio questa diversità ed ineleganza di stile non apparisce.

146 Smagato. Smagare e dismagare [verbi adoperati dal poeta nostro sovente (b) e da altri scrittori (c)] pare che in ogni esempio ove s'in

(a) Dittam.2. 31. (b) Purg.11. 11. x. 106. XIX.20. XXVII. 104. Par.111.36. (c) Vedi 'l Vocab. della Crusca.

Tom. I.

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Non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
143 Ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato:
Ed era quei, che sol, de' tre compagni
Che venner prima, non era mutato;
L'altro era quel, che tu Gaville piagni.

contrano significhino lo stesso che smarrire, far perdere, o simile. Qui, incominciando, animo snagato, non pare che possa significar altro che, animo smarrito. Dell' origine del verbo smagare vedi, lettore, se vuoi, la terza annotazione dell' ab. Quadrio al Credo del poeta nostro. 147 Chiusi vale occulti.

148 Puccio Sciancato, altro cittadino Fiorentino, come avvisa Dante medesimo nel canto seg. v. 4. e 5.

149 De' tre compagni, cioè Agnel Brunelleschi, Buoso Abati, ed esso Puccio.

era

151 L'altro, cioè colui che sotto forma di serpente ferì Buoso nel bellico e, trasmutatolo in serpente, convertissi egli in uomo quel, che tu Gaville piagni, cioè mes er Francesco Guercio Cavalcante [ pur esso cittadino Fiorentino] ucciso dagli uomini di una terra di val d'Arno di sopra, detta Gaville, che per cagione di costui piangeva; essendo per vendetta stati morti la maggior parte degli abitanti di essa. Daniello. Del delitto di costui, di Puccio, e degli altri dopo Vanni Fucci motivati, vedi l'opinione del Vellutello riferita sotto il vers. 43.

Fine del canto ventesimoquinto

CANTO XXVI

ARGOMENTO

Vengono i poeti all' ottava bolgia, nella quale veggono infinite fiamme di fuoco ed intende Dante da Virgilio, che in quelle erano puniti i fraudolenti consiglieri, e che ciascuna conteneva un peccatore, fuor che una che, facendo di se due corna, ve ne conteneva due; e questi erano Diomede, ed Ulisse.

I

Godi Firenze, poi che se' sì grande

Che per mare e per terra batti l'ali, E per lo 'nferno il tuo nome si spande. 4 Tra gli ladron trovai cinque cotali

7

Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,
E tu in grande onranza non ne sali.
Ma se presso al mattin del ver si sogna,

1 Godi ec. ironica apostrofe.

2 Batti l'ali, voli colla tua fama.

4. 5 Cinque, già nominati nel canto precedente, cioè Cianfa, Agnel Brunelleschi, Buoso Donati, Puccio Sciancato, e Francesco Guercio Cavalcante -- cotali tuoi cittadini, onde ec. cittadini tuoi di condizione tale, ch' io me ne vergogno. Ad un modo simile adopera cotale anche il Boccaccio: O mani inique : voi ornatrici della mia bellezza. foste gran cagione di farmi cotale, ch'io fossi desiderata (a). E certamente, l'essere ladri i primari cittadini, reca alla città maggior disdoro; ed a quei massime che nella città stessa ebbero ugual grado, com'ebbelo Dante.

6 E tu in grande ec. Ironica maniera di parlare, che vale quanto, e tu ne riporti grandissimo disonore. Così noi pure diciam sovente. quest' azione non fa a colui troppo onore, in vece di dire, che gli fa gran disonore. Onranza, sincope d'onoranza, Vocab. della Cr.

7 Se presso al mattin ec. Accenna d'essersi delle cose, che è per dire, sognato circa il nascere dell' aurora; nel qual tempo, secondo sul' antica superstizione, avevansi i sogni per veritieri. Namque sub au

(a) Giorn. 5. nov. 9.

Tu sentirai di qua da picciol tempo,

Di quel che Prato, non ch' altri, ť agogna; 10 E se già fosse, non saria per tempo:

Così foss' ei, da che pur esser dee;

Che più mi graverà, com' più m' attempo.

rora [ scrive Ovidio ] iam dormitante lucerna ; Tempore quo cerni somnia vera solent (a). Somnium post somnum [ch' è appunto presso al mattino] efficax est, atque eveniet, sive bonum sit, sive malum, scrive anche Suida (b).

8.9 Di qua da ec Da per a : vedine altri esempi presso il Cinonio (c). Di quel, o vale quanto parte di quel, di quel danno, ovvero la di non vi sta che per mera grazia di lingua, t'agogna, avidamente ti desidera. Prato, non ch' altri. Ellissi, e come se detto fosse non che, non solamente (d), altri popoli, ma quelli stessi di Prato tuoi vicini, sudditi, ed in qualche modo partecipi de' tuoi danni .

Le disgrazie seguite già quando il Poeta scriveva, ma col fingere ad esse anteriormente fatto questo suo viaggio rese future, furono: la rovina del ponte alla Carraia, mentre era pieno zeppo di popolo concorsovi a godere di uno spettacolo, che si faceva in Arno nel 1304.: l'incendio pur nello stesso anno di più di 1700. case, consumando le fiamme un tesoro infinito e le discordie civili tra i Bianchi e i Neri. Vedi Gio. Villani Cron. lib.8. cap.70. e 71. Ma ciò che dice Dante in seguito, Che più mi graverà, com' più m'attempo, accenna principalmente il danno di Firenze nell' esilio della propria e di moltissime altre cospicue famiglie di parte Bianca, come ora dimostrerò .

10 Se già fosse, il memorato danno - non saria per tempo, non saria di buon ora, non saria troppo presto.

11 Da che pur esser dee, significa lo stesso che dapoichè certamente dee avvenire Delle particelle da che per dapoichè, e pur per certamente, vedi 'l Cinonio (e).

12 Più mi graverà, com' più ec. Mostrasi l'autore desideroso di questo male, non per ruina della patria, la qual gli era carissima, ma per punizion de' cattivi cittadini, che iniquamente l'amministravano; e però desidera che sia presto, acciocchè siano puniti quelli, che hanno errato. Così il Landino. Il Vellutello chiosa, che parli Dante a questo modo, perchè quanto più l'uomo si attempa ed invecchia, tanto più s'accende in lui l'amor de la patria: e conseguentemente tanto più gli grava e pesa se ella incorre in qualche miseria. Lo stesso pare che voglia dire anche il Venturi chiosando col divenire più attempato,

(a) Ep 5. (6) Art. dvespov. (c) Partic. 70. 2. (d) Cinon. Partic. 184. 1. (e) Partic. 73.5, e 106. 3.

13 Noi ci partimino, e su per le scalee,
Che n' avean fatte i borni a scender pria,
Rimontò 'l duca mio, e trasse mee.

16 E proseguendo la solinga via

Tra le schegge, e tra' rocchi dello scoglia,
Lo piè senza la man non si spedia .

diverrò io per l'età men sofferente di questi guai, e di quei disordini di cattivo governo, che tirano addosso alla mia patria tali calamità. Il Daniello trascorre questo luogo senza farvi riflessione alcuna. Quanto però al Landino, qual cagione ne dica egli, per cui cotal punizione fosse per riuscire al Poeta più grave quanto più si attempasse, io non intendo: ed il crescere colla età l'amor della patria, che dice il Vellutello, solo mi pare da ammettersi quando non sia la patria al cittadino ingiusta ed ingrata, come sperimentata aveva già Dante la sua patria quando queste cose scriveva.

Direi io adunque in vece, che il suo esilio e degli altri Bianchi bramasse egli in più fresca età, per aver seco nella disgrazia meno figliuoli (a), e per non essere costretto a cercarsi paese, casa, e pane, mentre incominciava ad aver bisogno di quiete e riposo.

13 Scalee per ordine di gradi, e scale, adoperato da buoni scrittori, anche in prosa, vedi 'I Vocab. della Cr.

14 Borni appella Dante i rocchi prominenti da quell' erto scoglioso argine; pe' quali rocchi erano i due poeti dal medesimo argine discesi per avvicinarsi al fondo di quella ottava bolgia (b). Bornes des murailles s'appellano in Francese quelle pietre che s'impiantano vicine a' muri per ripararli dagli urti delle ruote de' carri e carrozze e sporgendo da' muri la grossezza di questi ripari in maniera simile a quella che sporgono i rocchi fuor di una ronchiosa ripa, giudiziosamente dona a cotai rocchi Dante il Francese nome di borni e furono certamente poco avveduti i compilatori del Vocabolario della Cr. ponendo questo verso in prova che bornio significhi cieco.

15 Mee in vece di me, paragoge a causa della rima, come al bisogno anche i Latini poeti scrissero dominarier, dicier ec. per dominari, dici ec.

18 Lo pie senza la man ec. vuol dire che convenivagli adoprar piedi e mani per rimontare.

(a) L'autore delle Memorie per la vita di Dante S4. dice: Ebbe, Dante, da sua moglie Gemma Donati più figliuoli, fra' quali Pietro, Iacopo, Gabriello, Aligero, Eliseo, e Beatrice. (b) Inf. xxiv. 74. e segg.

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