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Fama il disnor di sobrj affini, e il danno?

E il censo biscazzar per una putta,

Mentre mi sto di Criside al tiranno

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Bagnato limitar, già spenti i lumi,
Ebbro cantando l'amoroso affanno?
Coraggio, figliuol mio, fa senno ai Numi
Depellenti a ferir corri un' agnella.

Ma la relitta, o Davo, e non presumi
Che piangerà? Tu beffi, e la pianella

Rossa in testa vuoi pur. Via, putto in frega, Non tremar, non smagliar rete sì bella. Or fai l'aspro e il crudel: ma se la strega Ti richiama, dirai: che far degg' io? Or che spontanea mi rappella e prega, Resterò, non v'andrò? Ma, padron mio, Se a colei ti toglievi intero e netto, No, non v' andresti nè pur or per dio. Questi, si questi è l'uom ch'io cerco, Libero; non colui che da bacchetta Vile è percosso di littore inetto. Quel palpator, cui parmi non permetta La candidata ambizíon mai posa, Vive ei donno di se? Veglia, t'affretta,

Di ceci ingozza la plebe rissosa,

il petto

Onde il nostro Floral sedenti al sole
Membrino i vecchi. Che più dolce cosa?

D' Erode ecco le feste. Di víole

Inghirlandate, ed in bell' ordin messe
Su finestra unta, dalle pingui gole

pinguem nebulam vomuere lucernæ Portantes violas, rubrumque amplexa catinum Cauda natat thynni, tumet alba fidelia vino;

Labra moves tacitus, recutitaque sabbata palles. Tunc nigri lemures, ovoque pericula rupto : 185

Hinc grandes Galli, et cum sistro lusca sacerdos, Incussere deos inflantes corpora, si non Prædictum ter mane caput gustaveris allí.

C. Dixeris hæc inter varicosos centuriones,
Continuo crassum ridet Pulfenius ingens,
Et centum Græcos curto centusse licetur.

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Pingue dan nebbia le lucerne spesse:

Coda di tonno in rosso catin nuota; Spuman bianchi boccali; e tu sommesse Preci borbotti, e pallida la gota

Il sabbato ti fa dei circoncisi.

Negre larve allor van di notte a ruota,
E minaccia il crepato ovo improvvisi
Pericoli; ma guai se non manuchi
D'aglio tre spicchi a' primi albór precisi.
Opreran di Cibele i lunghi Eunuchi,

E la losca che d' Isi in guardia ha l' are,
Che a farti un' otre un Dio dall' Orco sbuchi.

C. Tra varicosi armati a predicare

Va tai cose; e bestion beffardo e gajo
Pulfenio griderà: chi vuol comprare

Filosofi? Tre lire il centinajo.

SATYRA VI

ADMOT

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DMOFIT jam bruma foco te, Basse, Sabino? Jamne lyra, et tetrico vivunt tibi pectine chorde? Mire opifex numeris veterum primordia rerum, Atque marem strepitum fidis intendisse latinæ, Mox juvenes agitare jocos, et pollice honesto Egregios lusisse senes? Mihi nunc Ligus ora Intepet, hybernatque meum mare, qua latus ingens Dant scopuli, et multa littus se valle receptat. Lunai portum est operæ cognoscere, cives. Cor jubet hoc Enní, postquam destertuit esse 10 Meonides Quintus, pavone ex Pythagoræo. Hic ego securus vulgi, et quid præparet Auster Infelix pecori; securus et angulus ille Vicini, nostro quia pinguior: et si adeo omnes Ditescant orti pejoribus, usque recusem Curvus ob id minui senio, aut cœnare sine uncto, Et signum in vapida naso tetigisse lagena. Discrepet his alius. Geminos, horoscope, varo Producis genio. Solis natalibus, est qui Tingat olus siccum muria vafer in calice empta, Ipse sacrum inrorans patince piper. Hic bona dente

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SATIRA VI

CHE?

A Cesio Basso, poeta Lirico.

? già il verno t'appressa al Sabin foco,
Basso, e le corde a grave plettro avvivi?
Cantor mirando dell'antiche e prime
Cose al suon maschio di latina cetra,
Poi d'amor giovanili, e vecchj egregi
Con istil casto. A me tepe la Ligure
Spiaggia, e sverna il mio mar, là dove sporgono
Scogli immensi, e in gran seno il lido avvallasi.
Uopo è veder di Luni il porto, amici;
Ennio il vuol, dacchè in sogno ei Quinto Omero
Non è più da pavon pittagoreo.

Qui nè calmi del volgo, nè dell' Austro
Dannoso al gregge; nè il vicino campo
Del mio più pingue invidio, e s'anco tutti
Arricchiscano i vili, io non vo' curvo
Invecchiarmi per questo, e cenar magro,
Nè in boccal muffo dar nel bollo il naso.
Altri altro pensi: un astro crea gemelli
D'umor vario. L'un furbo, il natal solo,
Compro un dito di salsa, unge erbe secche
Rorandole di sacro pepe; e l'altro

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