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poterit, ne corpus reliquum sua labe corrumpat, ferro ampu
tat quod nocebat, quo reliquum integrum servat & intactum.
Eppure, ch' il crederebbe? dopo tante prove e conferme
mentre non mancano Accattolici, i quali se non colla penna,
coi fatti almeno perseguitano chiunque da loro dissente in affa-
ri di Religione, pochi non sono i Cattolici, che vorrebbero
accogliere gli Eretici tutti fra i più cordiali amplessi della più
tenera corrispondenza, e risparmiare a tutti gl' increduli il meri-
tato castigo. Così restano ai dì nostri sconvolte tutte le cose
e tale crisi soffrono fra tanta luce funesta le idee più coerenti
e più giuste. Voi guardatevi dagli influssi di sì maligni splendori;
ed a scanso d'infinite contraddizioni procurate di tenervi lon-
tano da quegli estremi viziosi, che o con soverchio rigore tut-
ti comprendono ne' medesimi trattamenti i colpevoli, o tutti li
involgono nella medesima tolleranza. In medio stat virtus: e
questo è ciò che io ho procurato di indicarvi colla presente, mo-
strandovi quando ha luogo il castigo, e quando è conveniente
usare la moderazione e dolcezza; e persuaso che voi non sare-
te per allontanarvi punto da sì giusti e ben fondati ammaestra-
menti, mi dico al solito

R

Se

LETTERA UNDECIMA.

Non le sole spirituali, ma anche le pene temporali
sono proporzionate ed oppurtune nella

punizione degli eretici.

De il delitto di chi abbandona la Fede è dell' enormità, pericolo e danno, che vi ho dimostrato ; e se in molti casi niuna concorre di quelle circostanze, che rendono nelle civili e religiose società in qualche modo tollerabili i più gravi misfatti; ne viene per legittima conseguenza, che chi si mostra disprezzatore della Fede deve essere per lo più punito, come si è dimostrato : e sarebbe un non curarsi e del loro ravvedimento e della pubblica, sagra e civile tranquillità e salvezza il trascurarlo. Ma quali pene, dite voi, saranno proporzionate a così grave scelleratezza, che tutta va a scompaginare la vasta mole dell'uno e dell'altro edificio e fa crollare con un sol colpo il trono non meno che l'altare? Quest' è la nuova ricerca che mi fate; per soddisfare alla quale colla dovuta precisione e chiarezza devo avvertirvi in primo luogo, che non è mia intenzione di fissare in questa lettera l' individua qualità e quantità della pena dovuta ad ognuno di quei delitti, ch' hanno connessione coll' abbandono della Fede. Deve questa esser commensurata non alla sola deformità della colpa, ma anche alla condizione e disposizioni del delinquente, alle pro. ve ed indizj, che la precedono, alle circostanze che la accompagnano; ed il determinarla con esattezza ne' casi particolari è piuttosto incombenza del giudice, il quale condanna, che di uno scrittore, che intraprende a difendere in generale l'equità e la condotta de' suoi giudizj. I prudenziali riflessi, che si possono avere in ogni condanna particolare, quanto ai delitti comuni li troverete raccolti nell' istituzioni criminali dell' Ursaja (a); e quanto a quelli di Fede ne parlano con molta proprietà l'Eimerico, il Farinaccio, il Dal Bene e molti altri. Io non m'incarico di si pesante incombenza.

(a) Lib. 4. tit. 7.

V'avverto in secondo luogo che neppur è mia intenzione di giustificare ogni specie di pena temporale dalle leggi prescrit ta ai delitti di Fede Lo hanno fatto con molta esattezza ne' lo

ro trattati ed opuscoli tra i Domenicani l'Eimerico, Adriano Valentico ed Ambrogio Catterino; e sarebbe cosa da non finirla mai più, se tutto volessi qui addurre ciò, che in loro approvazione e conferma hanno aggiunto Alfonso di Castro, il Pegna il Simanca, l'Albizi, il Pignatelli e cent' altri eccellenti giuristi e teologi: e le carceri, gli ergastoli, gli esilj, le flagellazioni, le multe, le confische, l' infamia e simili altre pene temporali, e la morte istessa se non disdicono all' apostasia, alle bestemmie ai sortilegj, all' eresia formale e all' altre specie di delitti spet tanti al S. Officio per la loro qualità temporale, non v'è ragione di crederle improprie per altro motivo. A me basta solo di dimostrare, che al bisogno della cristiana società ed all'onor della Fede non provvede abbastanza lo spirituale castigo delle censure, ma convien dar di piglio talvolta anche al materiale e sensibile. Per farlo poi con quell'efficacia, che conviene ad un argomento di tanta importanza, presuppongo con S. Tommaso (a), che la pena allora soltanto è capace d'impedire i disordini e distorre gli uomini dalle perverse loro intraprese, quando priva il colpevole di que' beni che ha molto a cuore; e secondo che riesce a lui più o meno molesta la privazione di questi, riesce altresì più o meno vantaggioso il castigo. Ed avvertite, che la molestia non è da rilevarsi dalla sola qualità del bene considerato in se stesso, ma dalla stima che ne fa chi ha motivo di temerne lo spoglio: potendo accader di leggieri che per privata indisposizione non risenta taluno noja e rammarico dalla perdita d' un bene grandissimo, solo perchè o non lo conosce o non la apprezza abastanza. Nulla poena, dice Quintiliano (b), est nisi invitis; e non può dispiacere la perdita di un bene, che non si stima; anzi a far sì che tutta eserciti la pena quell' attività, che si ricerca all' intento, non solo è necessario che la privazione riesca molesta, ma, al dire del Pufendorfio (c), la perdita ed il dolore deve preponderare al lucro e piacere per modo, che vi sia sempre più da temere di male incontrando il castigo, di quello che

(a) 2.2. quaest. 108. art.5. (b) Declam. 11. (c) De Jur. Nat. & Gent. lib. 7. cap. 9. §. 7.

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vi sia da sperare di bene operando malamente: si scopum suum, dic' egli, debent obtinere poenae, adparet eas eousque esse intendendas, ut acerbitas earundem praeponderet lucro et delectationi, quae ex facto legibus veiito redundare potest. Anche per quella parte che la vendetta risguarda i torti altrui la pena esser deve dello stesso carattere, e questo non s'ottiene per altra strada che per privationem eorum, quae peccans diligit, come insegna S. Tommaso (a).

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Posto ciò io m' accingo a scoprirvi in ogni sua parte la verità, della mia asserzione, e vi confesso in primo luogo, che non vi può esser pena, che considerata in se stessa sia più proporzionata al delitto di eresia della spirituale, o sia della scomunica, la quale priva il colpevole della participazione ed amministrazione dei sagramenti, dell' ecclesiastica sepoltura e di varj altri beni spirituali comuni a tutti i Fedeli Siccome il delitto di eresia è diretto per se stesso contro i beni dell' anima ę combatte l'unità della Fede e l'unione dei Fedeli ; così è troppo dicevol cosa e giustissima, che venga privato di quella medesima comunione e società ch' egli perseguita ed offende. Ma questa pena medesima, quantunque giusta per se stessa, e riuscir possa di qualche compenso al commesso delitto, e di sodo riparo per preservare dalla seduzion quei Fedeli, che hanno in pregio l'essere stati ammessi ed il conservarsi nel grembo di Santa Chiesa, e sia inevitabile per chiunque si scosta dal seno di questa madre amorosa, fugge i suoi ammaestramenti e rompe i legami della sua ammirabile unità, è però assai debole ove trattasi di arrestare il corso a' disordini, che fa temere un' Eretico pertinace, e di umiliarlo sotto il peso del meritato castigo. Egli ha già fatto getto della Fede, che è la prima base dello spirituale edificio; e tanto è lungi dall' apprezzare la comunion dei Fedeli, che anzi la detesta e l'abbomina, e dopo essersi appartato di buona voglia da chi la stima e coltiva, fa ogni sforzo per isminuirne i seguaci. Non soffre dunque costui la scomunica contro sua voglia; nè ha per conseguenza ragione di pena per lui, nè può arrestarlo dal mal' intrapreso cammino. Essa è pena, giusta il detto dell' Ab. Fleury (b) per chi la teme, e per chi non la teme è un giuoco. Giuoco adunque e non pena è

(a) 2. 2. quaest. 108. a. 3. (b) Discours 3. n. 17.

da credersi per un'Eretico, che non solo non la teme, ma la deride e disprezza. O dovrà dunque il suo delitto andare impunito, ció che si è dimostrato contrario al buon' ordine e alla pubblica e sagra e temporale tranquillità, o converrà dar di mano a quei castighi, che riescono più pesanti ai colpevoli; e sono appunto le pene corporali, delle quali parliamo E rechino pure codeste pene, qualora si usano in difesa della Religione, quel terrore, che esagera il Montesquieu (a), per provare che sono da evitarsi; ch' io ben lungi dal dedurne una conseguenza sì irragionevole e strana, lo riputerò sempre un terror salutare e necessario per impedire il corso a quella miscredenza, che non cede alla persuasione e preghiera. Con questo ripiego i più saggi legislatori hanno procurato di ridurre alla sequela della virtù coloro, che non erano allettati abbastanza dalle soavi attrattive delle divine sue bellezze; ed io lo giudico d' egual forza per ricondurre alla cognizione della verità tutti coloro, che l' hanno abbandonata vilinente dopo d' averla scoperta. Il timore di perdere i beni di natura e di fortuna compenserà l'indolenza, che mostrano nella perdita di quelli di Grazia, e sarà in loro tanto più efficace il castigo, quanto è maggiore l'adesione, che acquistano ai beni di quaggiù scostandosi dai superiori e divini. Divenga l'infamia ricompensa di quella diabolica superbia, che per oblique strade li guida in cerca della riputazione e gloria mondana. Sia lo spoglio della robba loro in vece di quelle rapine, che vanno ideando e sperano di fare a danno della Chiesa e de' santuarj. Trovino il carcere per quella strada medesima per la quale vanno in traccia di una libertà senza limiti: e l'insaziabile desiderio, che mostrano de' sensuali piaceri e comodi di questa vita, abbia nei digiuni, negli esilj e nelle flagellazioni il meritato ristoro, e divengano per tal modo le stesse loro passioni pena della loro empietà: poena noxiae par esto, dice al nostro proposito Cicerone (b), ut suo vitio quisque plectavis capite, avaritia mulcta, honoris cupiditas ignominia sarciatur Da così utili provvidenze uno de' seguenti vantaggi forz' è che risulti; o dalle pene medicinali e discrete scossi e compressi confesseranno e detesteranno in fine il loro errore, e godremo nel ricondurli pentiti al sagro ovile; o s'indureranno

tur,

(a) Espr. des loix lib. 25. cap. 12. (b) de Leg. 2. 20,

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