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LETTERA DUODECIMA.

Niuno de' Padri e degli antichi dottori ecclesiastici
si è mai opposto a quella discreta coazione
temporale che difendiamo.

Non era credibile che trasportati come sono i nostri Tolleran

tisti indiscreti a favore degli Éretici volessero poi lasciare d'imitarli nel costume che hanno di confermare gli errori con ogni maniera di cavillazioni e sofismi. Lo fanno pur troppo, e con tanta insistenza e premura che in questo solo rassembrano superiori ai loro clienti: ed io non posso che approvare moltissimo il desiderio vostro, che non pago d'aver' apprese da me le più efficaci prove che mostrano la convenienza della coazion temporale allorchè viene impiegata a punizione degli Eretici, mi stimolate adesso a farmi carico di quelle difficoltà che adducono per escluderla. Senza di questo resterebbe troppo imperfetto il nostro carteggio ed io tanto più volontieri secondo il vostro genio, quanto più credo d'aver già colle passate lettere abbreviato di molto il cammino. Imperciocchè avendo io esclusa la sognata indifferenza dell' ereticale perfidia, e quell' indole innocente e pacifica, che piace di accordarle ai moderni settarj, ed avendo dimostrato ad evidenza che a frenare i suoi trasporti non bastano i castighi spirituali, nè vagliono ad escludere il rigor temporale le disapprovazioni che fece Gesù Cristo dei rigori de' quali volevano far uso gli Apostoli in mal punto, altro più non mi rimane che di spiegare alcune oscure ed inesatte espressioni d'alcuni Padri ed antichi scrittori, delle quali non meno che della filosofia e Scrittura abusano costoro per sostenere il loro sistema: chè questo è appunto, al dire del Lirinense (a), il far degli Eretici. S appigliano perlopiù ai detti di qualche antico scrittore, che per la sua oscurità adombra in qualche modo i loro errori, per non comparire nè i primi nè i soli imbevuti

(a) Commonit. 1. cap. 11.

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di simili sentimenti. Ma tutto indarno, come vedrete fra poco Perchè però la soverchia abbondanza di cert' espressioni che trascrivono a nostro aggravio non rechi confusione e molestia, ridurrò a tre classi tutti que' Padri ed antichi scrittori che i nemici del tribunale del S. Officio chiamano favorevoli al loro partito. Comprende la prima varj apologisti della cattolica Religione, che rimproverando agli idolatri la crudeltà che usavano coi martiri cristiani ripetono sovente con S. Giustino, Tertulliano e Lattanzio, che la Religione è libera, e si deve insinuare colla persuasione e non colla forza. Abbraccia l'altra la disapprovazione di quelle violenze, che soffrivano i Cattolici dagli Ariani, ed i Priscilianisti dall'imprudente procedere del Vescovo Idacio, de' quali i primi furono ripresi aspramente da S. Atanasio, da S. Ilario e da S. Gregorio e l'ultimo non che ripreso ma abbominato pur' anche da S. Martino, da Teognosto e da tutti i Vescovi di quel tempo. Ed è composta finalmente la terza dell' espressioni di moltissimi SS. PP. e dottori, che non mai si stancano di raccomandare a tutti la cristiana moderazione e dolcezza, tra i quali S. Ireneo, Origene e S. Ambrogio non hanno l' ultimo luogo. Delle testimonianze di quest'ultima classe non mi darò carico, perchè è troppo chiara l'ingiustizia che si usa opponendole, ed è un'evidente abuso che si fa delle giustissime espressioni, colle quali raccomandano i Padri la cristiana moderazione e dolcezza, volgendole a danno di quella discreta e caritatevole coazione, che noi colle stesse loro parole abbiamo sostenuta sinora e come non posso io essere tradotto per favorevole a quella tolleranza indiscreta, ch'essi defiderano, dopo di averla disapprovata moltissimo, solo perchè ho scritto, che è con veniente talvolta, che siano risparmiati i colpevoli, e che si de ve usar sempre moderazione e dolcezza; così non si possono tradurre i SS. PP. per tollerantisti indiscreti per avere raccomandata anch'essi la cristiana moderazione e clemenza dopo che hanno approvata la coazione in tante guise. Quindi è che lasciate a parte tutte le testimonianze di questa classe, mi occuperò piutto, sto nell'esame di quelle che alle prime due appartengono, le qua li ed hanno recato a voi a prima vista un qualche arresto e sono più famigliari e gradite ai nostri avversarj. Si desumono queste per lo più dai Padri nell'ultima mia citati, ai quali si possono aggiungere Origene, S. Atanasio e S. Gio. Grisostomo : ma tutto succede con aperta impostura e violenza. Ecco ciò che dice Tertul T

liano contro i persecutori idolatri (a): Sed nec Religionis est cogere Religionem, quae sponte suscipi debet, non vi, cum et hostiae ab animo libenti expostulentur. Non sono molto dissimili a queste le espressioni, che usano i due altri apologisti, Lattanzio ed Atenagora; se non che il primo esorta inoltre i Gentili a lasciare la cura agl' Idoli di vendicarsi dell' ingiurie, che ricevono dai Cristiani, e cur illis, soggiunge (cioè agl' Idoli), non relinquunt ulciscendi sui locum, si eos posse aliquid arbitrantur? L'altro domanda (b); Cur istis ( agli idolatri ) impune de Deo dicere quod libuerit, & scribere liceat & scribere liceat, nobis autem posita sit lex, qui quod et intelligimus & credimus, unum Deum esse, id veritatis signis & rationibus demonstrare possumus ? Taccio quelle degli altri per non ripetere lo stesso: e solo riflet to, che ad eludere queste ed altre consimili espressioni bastar potrebbe quella generale eccezione, che si suol dare ad alcuni Padri, che trasportati dallo zelo contro l'errore che combattevano hanno talvolta con non troppo misurate espressioni fatto sospettare d'essere caduti nell'errore contrario; e si potrebbe rispondere che sono comparsi disapprovatori della discreta, quando non hanno avuto in mente che di combattere la coazione ingiuriosa ed ingiusta si potrebbe ancora aggiugnere la riflessione, della quale si serve il Muzzarelli per iscansare le espressioni alquanto dure di S. Ilario e dire, che nati alcuni degli antichi Padri e scrittori in tempo in cui infieriva tuttora o la crudele persecuzion de' Gentili o la non meno barbara ed ingiusta degli Ariani, che a quella è succeduta, e non consapevoli per anche de' sommi vantaggi, che recar poteva alla Chiesa la temporal coazione, esperimentati poi poco dopo da S. Agostino, si deve supporre che non altro abbiano voluto impugnare che l'opportunità e convenienza d'usarne allora, non la loro equità e giustizia. Nè pare che S. Tommaso sia stato alieno dall'adottare l'una e l'altra risposta dove tratta di questa questione espressamente, e si dichiara del nostro medesimo sentimento (c). Io però non mi contento di generali eccezioni, e voglio rilevare in ognuno degli accennati scrittori il preciso sentimento, come voi pure desiderate ch'io faccia. Per questo neppure dirò ciò che con Vincenzo Lirinense (d) dicono

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(a) Divinar. Instit. lib. 2. c.4. (b) Legat.pro Christ. n.7. (c) 2.2.quaest.10. art.8.ad 1. (d) Cont. Haeres. cap. 39. 2.2.quaest.10.art.8.adi.

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moltissimi, che nelle cose di Religione quelli soli meritino d'essere ascoltati, qui in Fide & communione catholica sancte, sapienter, constanter viventes, docentes et permanentes vel mori in Christo fideliter,vel occidi pro Christo feliciter meruerunt. Nè darò a Tertulliano la taccia di non esser' uomo della cattolica comunione nè dirò ciò che dice di Origene Cassiodoro (a), che niuno ha scritto meglio di lui dove ha scritto bene, e niuno peggio dove ha scritto male; e che Lattanzio in fine è stato più felice nel distruggere la superstizione che nello stabilire le cattoliche verità, come dice S. Girolamo (b). Niente dirò di questo, si perchè la risposta sarebbe troppo generale, come an cora perchè avendo anche da questi scrittori antichissimi un qualche appoggio le cattoliche verità e volendomi io servire anche di questi nelle mie lettere, non voglio debilitare le loro testimonianze in alcun modo. Li ammetto adunque e accetto tutti per legittimi testimonj anche nella causa di cui trattiamo, e pretendo che punto non giovino al contrario partito. Per verità Tertulliano nel luogo citato non ha avuto altro in mira che di esclu dere e la coazione che piega al male e quella stessa che al bene dirigge, quando non è preceduta da necessaria istruzione e da prove evidenti. A questo mirano le sue apologie, anzi quelle di tutti gli altri che hanno scritto contro le idolatriche idolatriche persecuzioni. Chi ne può dubitare dopo che ha sentito da Tertulliano che i Cristiani sarebbero stati castigati giustamente se gl' Idoli che disprezzavano fossero stati veri Dei, e fosse stata dimostrabile la loro divinità, e dopo che ha richiesta l'istruzione qui sopra indicata? Atenagora, e Lattanzio non altro rinfacciano ai barbari persecutori che l'innocenza de' poveri Cristiani e la crudeltà de' foro tormenti. Bastar dovrebbe questo scopo per limitare le loro espressioni alle sole persecuzioni ingiuste, quand'anche mancassero espressioni chiarissime: chè lo scopo appunto, giusta la regola prescritta da S. Ilario (c), è quello che sopra d'ogni altra cosa la mente degli autori ci addita: inteligentia dictorum ex causis est assumenda dicendi, quia non sermoni res, sed rei debet esse sermo subjectus Ma per fortuna le più chiare espressioni non mancano; ed altra non essere la mente di Tertul

(a) Divin.Instit.Lect. (b) Catalog.Script.Ecclesiast.c.80. (c) De Trinit. lib. 4.

liano che di escludere, l'intolleranza indiscreta, si scopre ad evidenza non solo nell' Apologetico citato altrove da me, ma anche nello Scorpiade, dove dopo le parole testè citate soggiunge; ad officium Haereticos compelli non allici dignum est: duritia vincenda est, non suadenda haeresis: e perchè non restasse alcun dubbio sul genere di coazione, del quale intendeva egli di ragionare, indica ed approva poco dopo le pene capitali, che furono fissate da Dio contro gl' Idolatri ed increduli nel Deuteronomio nel Levitico ed in tant' altri luoghi della sagra Scrittura.

Ad espressioni consimili a quelle di Tertulliano, e però suscettibili di egual' interpretazione aggiunge Lattanzio, come si è detto, l'esortazione ai Gentili di abbandonar la vendetta ai loro Idoli e move Atenagora alcune querele pel diverso trattamento, che usavano i Gentili con quelli, che tante e sì obbrobriose cose spargevano de' loro Dei, riservando poi pe' soli Cristiani il castigo. Ma sono queste ingegnose frasi e maniere atte ad indurli a meglio considerare la vanità de' loro Idoli e l'irregolarità della loro condotta, non sentimenti diversi da quelli del testè accennato dottor' Africano. Una più seria riflessione sull' irregolare maniera del loro procedere poteva bastare a farli pentire delle crudeltà già intraprese, ed a restituire ai Cristiani quella libertà che cercava Atenagora. Un sol pensiere gettato sopra la vanità di quegl' Idoli, che adoravano, era più che bastevole non che a far cessare quelle persecuzioni, che impugnava, ma a ridurre gli stessi Idolatri a miglior senno, come bramava Lattanzio. Impedì con quest'arte il padre di Gedeone quelle vendette, che macchinavano gli Effraiti contro il figlio, che aveva distrutto il bosco e l'altare di Baal, e li richiamò in gran parte a quel culto del vero Dio, ch'egli stesso colla sua famiglia prese poi a venerar fedelmente. Si Deus est, vindicet se de eo, qui suf fodit aram ejus: così Gioas (a). E non ebbe forse altro in men te Gamaliele allorchè procurò di distorre gli Ebrei dal macchinare la ruina del nome cristiano, esortandoli a lasciare al tempo la decisione della sua qualità ed origine. Checchè ne sia però di questi esempj, niuno potrà mai dubitare della mente di Lattanzio e di Atenagora, il primo de' quali coll' esempio del servo che nel maggior rischio abbandona il padrone, e del figlio

(a) Jud. cap. 6. v. 32.

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