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La pena di morte contro gl' increduli e profanatori del vero culto la fissò Dio stesso in più occasioni nell'antica alleanza : l'abbiamo espressa nel Levitico (a), nei Numeri (b), nel 4. de' Re (c) ed altrove in più luoghi; ed è poi così interessante il testo del Deuteronomio (d), che voglio tutto trascriverlo benchè alquanto diffuso: Si tibi voluerit persuadere frater tuus filius matris tuae, aut filius tuus, vel filia, sive uxor, quae est in sinu tuo, aut amicus, quem diligis ut animam tuam, clam dicens: Eamus, & serviamus Diis alienis ; quos ignoras tu, & patres tui cunctarum in circuitu gentium, quae juxta, vel procul sunt ab initio usque ad finem terrae, non acquiescas ei, nec audias, neque parcat ei oculus tuus, ut miserearis, & occul tes eum; sed statim interficies. Sit primum manus tua super eum, & postea omnis Populus mittat manum: lapidibus obrutus necabitur, quia voluit te abstrahere a Domino Deo tuo qui eduxit te de terra Aegypti, de domo servitutis ; ut omnis Israel audiens timeat, & nequaquam ultra faciat quidpiam hujus rei simile. Poteva prefiggersi con maggior distinzione e premura la pena di morte al delitto d' Infedeltà, o meglio esprimersi ogni parte di que' giudizj, coi quali si vendicano anche adesso gli oltraggi della Divinità? Non si approva in questo luogo, come osserva il Cardinal Gaetano, la privata vendetta, ma si prescrive la pubblica, che l'ordine osserva della giudicatura legale. Si vuole che si pratichi non per sola correzione de' delinquenti, ma ancora per esempio agli altri. Si ammette l'obbligo delle delazioni anche nei più stretti parenti ed amici; nulla si dice di preventiva ammonizione fraterna; e tutto va a terminare nella morte dell' Infedele e tutto è da credersi ragionevole e giu sto, perchè proveniente da Dio che è d'ogni vera giustizia la sorgente inesauribile, ed è stato da lui stesso encomiato altamente in que' prodi campioni, che se ne resero fedeli esecutori .

Le risposte che dar si sogliono a questa invincibile dimostrazione presa dal vecchio Testamento sono quelle stesse che io ho recate nella 10. mia lettera, ed ho dileguate in più maniere e coi più sodi riflessi e colle più autorevoli interpretazioni di S. Paolo e di S. Cipriano, e colla non autorevole ma però assai efficace confessione di un Protestante: nè io starò qui à ripeterle inutilmente.

(a) cap. 20. & 24. (b) cap.25. (c) cap. 10. (d) cap.13.

E che bisogno abbiamo noi di stancarci in dimostrare che non è dissimile il nostro dal sistema dell' antica alleanza, e che i rigori d'allora sono praticabili anche ai giorni nostri, quando ne abbiamo anche nel nuovo Testamento prove manifeste e palmari? Non ha minacciato S. Paolo solamente a quei di Corinto e di Tessalonica il rigor della verga e le asprezze del pastorale suo sdegno, nè solo ha spogliato Gesù Cristo de' suoi talenti chi fu trascurato nel trafficarli (a), ma il primo ha esternato ai Galati il desiderio ardentissimo che nudriva di vedere da più pesante mano percossi tutti coloro che cercavano di pervertirli; utinam exscindantur qui vos perturbant (b); e l'altro ha ordinato agli Apostoli di provvedersi di spada materiale anche a costo di doverla cambiare colla tonaca ; vendat tunicam suam, & emat gladium (c). E gli sterili tralci della vite meritevoli d'essere recisi e gettati nel fuoco, e gli scandalosi degni d'essere precipitati nel mare, ed i perfidi vignajuoli destinati a peggiore scempio, de' quali parlano S. Luca (d), S. Gioanni (e), S. Matteo (f), S. Marco (g), non provano ad evidenza che non sono inconvenienti per noi le vendette di Mosè, d' Elia, di Finees e di tant' altri che nel vecchio Testamento zelarono l'onore di Dio, e scaricarono i più severi castighi contro coloro che l'oltraggiavano ? Misteriosi velami di figure e parabole coprono, è vero, adesso quei rigori che erano allora espressi con più chiarezza e fulminati con più frequenza e terrore; ma esigeva un tal contegno la maggiore soa vità e clemenza della legge di Grazia, non l'incompetenza della pena : e non sono sì densi codesti velami che nulla lascino trapellare al di fuori di quella verità che annunciano e le figure istesse e le parabole aggiunte alle letterali espressioni di S.Paolo e di S. Luca, che parlano di mutilazione, di morte e di spada materiale; ed unite molto più all'uso, che ne hanno fatto a detta delle Scritture istesse e S. Pietro e S. Paolo col bugiardo Anania, colla finta Zafira, col seduttore Elima e col padre di tutti gli Eretici Simon mago, tale acquistano robustezza e vigore, che nulla si può esiger di più per restare convinto; e sarà sempre presso un giusto estimator delle cose un meschino rifugio quello, al quale

(a) Matth. 25. vers. 18.
(c) Luc. 22. vers. 36.
(f) Matth. 18. ver. 6.

(b) ad Galat.cap. 5. vers. 12.
(d) Luc. 3. ver. 9. (e) Joann. 15.
(g) Marc.12. ver. 8.& 9.

si è appigliato il Fleury per eludere la forza di esempi così corvincenti, il crederli di niun valore perchè procurati per mezzo d'ajuti superiori. Se i miracoli non sono sempre indizj sicuri di quella podestà ordinaria che Gesù Cristo ha conferita ai Pastori del divin Gregge, lo sono però talvolta, come riflette assai bene il P. Bianchi (a), e se non questa, provano però sempre la giustizia di ciò che per loro mezzo si è ottenuto; e delle pene parlando imposte prodigiosamente ai colpevoli poc' anzi accennati, io credo tanto meglio indicata la loro ragionevolezza e giustizia, quanto è più sublime e perfetta la mano da cui sono discese, e maggiore la santità di quelli che le hanno impetrate.

A convincere però anche i più ostinati ai detti e fatti delle Scritture le testimonianze si uniscono e le interpretazioni degli antichi Padri e scrittori, che hanno tramandata a noi non che la loro ma l'antica credenza di tutti i Fedeli. Parla Lucifero Calaritano dell' esterminio di Gerico, e volgendo il discorso a Costan zo protettore degli Ariani dice questi degnissimi di trattamenti peggiori; plus tuos dignos esse anathema quam illi fuerint animadverteremus; e niente atterrito dall' imperiale sua maestà lui stesso dichiara meritevole di maggiore scempio di quello che incontrò la perfidia di Giuda; tu pro magnitudine maleficii tui majori mereris plecti supplicio (b). Confessò nel Sinodo Calcedonese il Vescovo d'Alessandria senz' incontrare opposizione e rimprovero che Eutiche meritava d'essere abbruciato se si scostava dai sentimenti della Chiesa; si Euthyches praeter dogmata Ecclesiae sapit, non solum poena dignus est, sed & igne (c). E nel riferire le violenze e minaccie che in un Conciliabolo antecedente erano state praticate con loro dagli Eutichiani, che esclamavano furibondi in duos facite eos, qui dicunt duas naturas, qui dicunt duas dividite, interficite, ejicite (d), non della qua lità della pena si lagnarono i Vescovi Orientali nel Sinodo di Ĉal cedonia, ma solo dell' essere stati così violentati ingiustamente e minacciati di quel castigo ch' era dovuto agli Eretici; ut Haeretici damnaremur. Che se codeste testimonianze sembrassero a

(a) della Podestà della Chiesa tom. 4. lib.2.cap. 4. §.9. (b) De non conveniendo &c.1.9.Bib.PP.p.1045.edit.Paris.1644. (c) Sanctarellus de Haeretic. cap. 27.num. 4.

(d) Coll. Concil. Harduin, tom. 2. pag. 82.

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voi di poco peso per l'eccessivo trasporto che il primo mostrò contro gli Ariani e per l'incostanza e pregiudizj degli altri, udite chi non ammette alcun' eccezione e riserva. Già vi dissi nell' altra mia di qual pena furono giudicati meritevoli da S. Atanasio ed Ario e gli Ariani, che sempre costante ne' medesimi sentimenti nel libro del Sinodo di Rimino dice di loro espressamente, che per le tante e così indegne cose che avevano scritte contro il figlio di Dio non che il suo sdegno, ma avevano meritato quel castigo medesimo, col quale Gesù Cristo minaccia gli scandalosi. Vide S. Agostino in quelle fiamme, tra le quali arder dovevano i libri infami di un mago penitente, quelle stesse fiamme dalle quali egli stesso aveva meritato d' esser consunto; portat secum codices incendendos, per quos ipse fuerat incendendus (a). Ed abbiamo già altrove notato con S. Cipriano quanto dicevole cosa sia e profittevole che anche nel tempo di Grazia sussista in questa parte il rigor della legge. Non furono da questi discordi i sentimenti del Patriarca Niceforo e di varj altri zelanti e savj Fedeli, che sul principiare del nono secolo stimolarono il buon' Imperatore Michele Curopalata a fulminare pena di morte contrò i perfidi Manichei: e sebbene fossero contraddetti, e non mancasse neppur' allora chi spacciasse contraria allo spirito del cristianesimo una tale pratica, non isfuggi però i rimproveri del dotto Teofane e di varj altri illuminati Fedeli, che dissero contrarie alle sagre Scritture le importune querele, e come riporta il Na tale (b), presero a sostenere, che si Petrus Apostolorum princeps Ananiam & Zaphiram unius mendacii reos morti addixit & Paulus praedicat dignos esse morte qui talia perpetrant, Apostolis repugnare convincuntur, qui impurissimos & obstinatissimos Haereticos gladio principum ad vindictam malefactorum divina auctoritate districto eripiendos censent.

Era così costante nel principiare del secolo decimosesto una tal massima, che non paga la venerabile Facoltà di Parigi d'averla adottata, si mostrò sdegnata contro l'errore contrario, e non permise che restasse inemendato nell' opere d' Erasmo a danno della Fede e de' buoni Credenti. Aveva egli chiamato in dubbio se dovessero o no i principi ammazzare gli Eretici, e si era ri

(a) Enarrat. in Psal. 61. num. 23.

(b) Hist. Eccles. Saec. IX. & X. cap. 6. art, 1.

stretto a decidere che non doveva eccitarli alle stragi la pietà della Chiesa; principes ad trucidandos Haereticos nec hortor nec dehortor, quid sacerdotalis sit officii demonstro. Neppure con questa restrizione volle soffrire l'accennata Facoltà gli scandalosi suoi detti, e nel 1527. li fulminò colla seguente censura; propositio quatenus praetendit nunquam sacerdotalis aut episcopalis esse officii principes inducere ad extirpationem Haereticorum, impie nec utiliter profectui consulit “Christianorum, vere fortitudinis robur in adversarios Fidei enervat (a) . E ben si risente a ragione; chè non è questa un'opinione abbandonata all'arbitrio de' privati scrittori, ma un domma prescritto e dalla più saggia legislazione, che, come v'ho detto più volte, non ha mai creduto mal' impiegato il suo sdegno sterminatore contro simili delinquenti, e stabilito dalla Chiesa istessa, che non la sola giustizia delle pene temporali in genere, ma quella approvò altresì della morte e colla voce e coi fatti ora radunata in Concilio ora assisa sul sovrano suo trono, e quando condannò l'errore contrario de' Valdesi, degli Ussiti, di Lutero e Quesnello, e quando approvò le vendette di sangue stabilite in ogni tempo dai pietosi sovrani, e quando in più incontri abbandonò i colpevoli al loro foro perchè fossero eseguite. Delle quali cose abbiamo e ne' Concilj e nelle Bolle pontificie e nell' una e nell' altra storia autentici monumenti; e basta scorrere l'articolo 14. condannato in Gioanni Hus dal Sinodo di Costanza e la proposizione 33. condannata in Lutero da Leone X. per restarne convinto.

Non è però la sola autorità e sagra e profana, che unita alla pratica ci obbliga a pensar così. La ragione istessa ed un più serio riflesso alla qualità e gravità del delitto ce lo persuadono. Qual cosa evvi mai ne' delitti comuni che li renda meritevoli dell' estremo supplicio, la quale non s'incontri moltiplicata a più doppj ne' delitti di Fede? E' la natia orribilità della colpa che guida tra le fiamme un'infame operatore di azioni nefande? e qual deformità si trova in costui, che non abbondi nell' Eretico, il quale, giusta la frase delle Scritture, abbandona i casti amplessi della Sposa di Gesù Cristo per darsi in braccio alla vile e laida prostituta di Babilonia? Insegna S. Massimo (a), che gravius est Religionis adulterum esse, quam

(a) Inter Erasmi Operat. 9.edit.Leid-1706.p.815. (b) Homil.47.edit. Rom. 1784.

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