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questa ingerenza quella conformità colle terrene cose e mondane, che chiama S. Tommaso propria delle spirituali cose e cele sti: spiritualia comformitatem quamdam habent cum temporalibus (a). Nè si può credere che o sia la Chiesa meno gelosa dell' onore e gloria del celeste suo Sposo che il sovrano dell' onor del suo trono, o sia ella meno premurosa della santificazione de' suoi Figli di quello sia il sovrano della pubblica tranquillità e salvezza: e sarebbe una vera empietà il sospettare che fosse stata meno sollecita la sovrannatural provvidenza di fornir lei di que' mezzi e sussidj che sono necessarj alla sua conservazione e difesa, di quello si sia mostrata premurosa la provvidenza ordinaria nel disporre le cose per modo che nulla mancasse al buon regolamento e governo delle civili repubbliche. Di tutte le podestà ha detto in generale S. Paolo, che vi si deve restar soggetto non per timor soltanto ma anche per coscienza, e che turba l'ordine da Dio voluto chi vi resiste (b). Le quali cose dice S. Basilio (c), se si verificano delle podestà temporali, quanto più è da credersi che debbano verificarsi delle spirituali; qui defendi potest eum non Dei ordinationi resistere, qui antistiti resistit suo? E se una delle principali incombenze della temporale podestà è il far leggi e castigare con ogni maniera di severità i trasgressori, chi potrà non riconoscere una consimile podestà nella Chiesa, cui ha dato Gesù Cristo medesimo in persona degli Apostoli la podestà di sciogliere e legare, di pascere e governare il suo Gregge (d)? Consiste anche in questo la robustezza invincibile di quella base sodissima, che fu piantata a presidio e sostegno del celeste edificio, e la sovrana virtù di quelle chiavi celesti, che furono poste in mano del suo Vicario per aprire e chiudere il regno de' Cieli (e), e quel diritto in fine di pascere e governare tutto il divin Gregge che Gesù Cristo ha accordato in special modo a S. Pietro: nè da altre fonti e principj hanno derivata giammai i SS. Padri quella verità che ora ho presa a dimostrare: ed il sagrosanto Concilio Lateranense IV. l'ha resa anche più solenne ed autentica, allorchè vietò ai Laici, ne ipsi de hoc crimine (cum mere sit ecclesiasticum) quoquo modo cognoscant; e accordò loro soltanto, anzi comandò espressamen

(a) 3. part. quaest. 5.art. 1. (b) ad Rom. cap. 1. ver. ad 8. (c) in Const.Monac.c.23. (d) Matth.18.Joa.21. (e) Matth.16.

te, ut de haeresi a diaecesano Episcopo vel Inquisitore seu Inquisitoribus condemnatos sibi relictos statim recipiant indilate animadversione debita puniendos (a) : e n'aveva già da gran tempo conosciuta la ragionevolezza Giustiniano istesso, che dichiara, che se il delitto è ecclesiastico, debbano giudicarne i Vescovi senza che se ne impaccino i giudici secolari. Non vi voleva meno per abbandonare un sentimento così giusto e plausibile dell' apostasia di Giuliano, che prima d'ogni altro, al dir di Sozomeno (b), richiamò a se le cause di Religione; e dell' empietà di Lutero e di Brenzio, che rinnovarono lo stesso errore, quello nella lettera ad christianam Nobilitatem Germaniae, questi ne' Prolegomeni; e della libidine finalmente d'Enrico VIIIe mal talento di Marcantonio de Dominis, il primo de' quali nelle sagrileghe sue ordinanze, ed il secondo nella sua opera de Republica ecclesiastica se ne fecero accerrimi sostenitori. Per altro la verità cattolica è così manifesta, e nelle sagre Scritture e nella costante tradizione di tutti i Padri così bene e sodamente appoggiata, che moltissimi degli stessi nostri contraddittori non hanno avuto l'ardire di negarla in tutta la sua estensione, e solo si sono appigliati, come portava il loro mal'animo, al cattivo partito di restringerla e debilitarla in modo, che divenisse inutile affatto, o non restasse di lei che il solo nome ed un difforme fantasma. Pensa Fr. Paolo con varj altri suoi copisti e discepoli, che all'ecclesiastica podestà appartenga solo il decidere in che consista l'errore, vale a dire, quale sia la massima dalla quale scostandosi un Fedele divien colpevole di questo delitto; ma vuole poi che il giudicare del fatto, vale a dire , come, quando e da chi sia stato commesso appartenga ai sovrani. Nella quale supposizione voi ben ve dete, che alla Chiesa viene accordato il solo diritto di dichia rare l'errore, e non quello di giudicar dell' Eretico; ed il suo giudizio diviene piuttosto un magistero il quale istruisce, che un tribunale che condanna. Trovo io in questa cabala non che il mal' animo, che ha sempre nudrito costui contro la podestà della Chiesa, ma l' impura sorgente altresì di quel rifugio, al quale, come vi dissi nella seconda mia lettera, si sono appigliati i Giansenisti per debilitare la condanna de' loro errori, distinguen

(a) Labb. Act.Concil. tom. 7. pag. 19. edit. Paris. 1714., cap. 18. de Haeret. in 6. (b) Novella 83. (c) lib. 5. cap. 5.

do nelle condanne de' libri il diritto dal fatto. Anche Fr. Paolo ha fatto una consimile distinzione nella condanna degli Eretici, ed aveva anch'esso avuto in mira il pregiudizio dell' ecclesiastica podestà non meno di costoro, che l'hanno imitato dappoi. Evvi, non v' ha dubbio, qualche divario tra l'una e l'altra distinzione; e vedo anch' io da che più alti principj deriva la sua certezza il giudizio del fatto dommatico giansenistico, che chiamerò letterario da quello del fatto dommatico personale di Fr. Paolo: la distinzione però, che non cambia che la mente della persona in quella del libro, mostra abbastanza d'onde possa essser nato l'error di coloro che con questa maligna invenzione hanno recato sì gran disturbo alla Chiesa, e non cessano di compiacersi, e si gloriano con tant' ingiustizia di sì meschina invenzione. Ma non è questo il luogo di trattare la gran questione del fatto dommatico, di cui hanno trattato con molta precisione e chiarezza il Billuard (a), il Bolgeni (b) e tant' altri: e non v'è oggi più luogo di questionare dopo l'accennata Bolla del regnante Pontefice.

Più di questo c'interessa presentemente l'error di Fr. Paolo il quale sembra a me che non dovesse aver luogo ne' scritti di alcun teologo cattolico dopo che fu condannato dal Pontefice Gioanni XXII. il libro di Marsiglio da Padova, che l'aveva preaccennato, e dopo che tra l'altre pessime proposizioni fu condannato in lui e nel Perugino Gianduno il dire, che Papa vel tota Ecclesia simul sumpta nullum hominem quantumcumque sceleratum potest punire punitione coercitiva, nisi Imperator daret eis auctoritatem (c). Fu l'opinione di Fr. Paolo riprovata nella proibizione del suo discorso sopra l'Inquisizione e chi sa quanto Marsiglio e Fr. Paolo fossero versati nell' ecclesiastica storia, e quanto frequenti s'incontrino negli annali della Chiesa le condanne fatte dalla podestà ecclesiastica non che degli errori ma anche de' libri e degli Eretici, di Cerdone dal Papa Igino, di Montano e Noeto dai Vescovi dell'Asia, di Paolo Samosateno dal Concilio d' Antiochia, d' Ario dal Concilio Niceno, e di infiniti altri da altri Papi e Concilj, non può

(a) Summ. S.Thom.Tract. de Fide & Reg.Fid. diss.3. a. 7. (b) Fatti Dogmatici. (c) Argentré tom. 1. pag. 364.

attribuire un' errore così manifesto, che al mal' animo contro la podestà della Chiesa, che ha fatto loro dissimulare le verità più palmari per diminuirne l'estensione e la forza. Ogni fatto particolare, qualora sia dedotto a qualche tribunale, porta seco per se stesso l'uno e l'altro giudizio: Quisquis enim judicat, lo confessa anche Grozio (a), debet de utroque judicare: e quest' in dispensabile necessità come prova ad evidenza, che nelle cause di Fede alla Chiesa, la quale sola a giudizio degli stessi nostri contraddittori può giudicare del diritto, appartiene il giudicare anche del fatto, così esclude del tutto la podestà secolare, che senza contrasto è inabile al primo, dall' ingerirsi nell' uno e nell' altro giudizio. Nè io credo che si sia punto scostato da sentimenti sì giusti l'Ab. Gauchat, che tanto ha scritto e così bene contro alcuni libri de' moderni increduli. Vorrei però che avesse usata maggior' esattezza in quell' espressioni, che leggo riportate dal valoroso confutatore degli errori e calunnie più volte citato, dove dell'Inquisizione parlando e ricercando con quale autorità vengano puniti gli Eretici, chiama i principi depositarj di quest' autorità, è dice che ad essi è stata consegnata la spada, e che gl'Inquisitori se ne servono per ordine loro, e ben lontani dall'usurpare i diritti del principe altro non fanno che esercitarli a suo nome, e i loro editti non sono pregiudicevoli all' autotità reale niente più di quello lo siano i decreti del Parlamento, che decidono della vita e della sorte de' sudditi (b). Prese a rigore tutte quest' espressioni ci presentano il tribunal della Fede più che della Chiesa tribunale de' sovrani, e gl' Inquisitori più che dell' ecclesiastica armati di podestà temporale, e più che da quella mossi da questa allorchè assoggettano gli Eretici al meritato castigo; lo che sarebbe per certo tanto alieno dai sentimenti poc'anzi accennati de' buoni Fedeli quanto più conformi a quei di Fr. Paolo, se di un' autore trattandosi così benemerito della cattolica Religione non si dovesse fare ogni sforzo per piegare le accennate troppo inesatte espressioni in buon senso.

Ma interniamoci anche più in quest' interessante ricerca ; e dopo aver veduto con quanta ragione si attribuisca alla podestà della Chiesa la cognizione anche del fatto, esaminiamo se oltre

(a) de Imper. Summ. Potest. circa sacra cap. 11.num. 15. (b) Confutazione degli errori e calunnie cap. 14. pag. 461,

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agli scritti ed alle persone meritevoli di condanna abbia ella diritto di stendere l'autorevole sua giurisdizione anche a quelle pene che sono state giudicate necessarie non che opportune al buon regolamento e governo del divin Gregge. Scoprirete in quest'esame nuovi sforzi dei nostri nemici per restringere la sagra podestà tra i più angusti confini; ma avrete altresì la consolazione di vedere quanto siano stati dalla Chiesa stessa rintuzzati a tempo, e fin dove si stenda la vera e reale sua autorità e potere.

Se della scomunica e di altre pene spirituali parliamo, è cosa per se stessa notissima, e dalla Chiesa definita più volte che alla sola ecclesiastica podestà appartiene il decretarle ed infligerle e non solo è stato condannato in Marsiglio da Padova il dire, che questa pena è d' originaria ispezione de' Sovrani, ma dal Concilio di Trento (a) e da Clemente XI. (b) è stato condannato nei Protestanti ed in Quesnello il credere, che nel fulminarla debba dipendere in qualche modo dai Sovrani o dal ceto di tutti i Fedeli. Ma se si parla di pene temporali, qui è dove con premura maggiore si è impegnata la più raffinata industria di chi troppo avaro colla podestà della Chiesa ha cercato di spiritualizzarla per modo da non lasciarle alcun' ingerenza e diritto su quanto v' ha di temporale e sensibile. I beni di quaggiù sono l'unico scopo de' moderni Tollerantisti, e posti questi in sicuro, poco è loro importato di restar privi de' soli spirituali e celesti. Quindi è che niente solleciti delle spirituali, che ridotte specialmente come si fa al presente alla sola privazione d'ogni bene che giovi all' anima non recano loro alcun fastidio, si sono contentati di togliere alla Chiesa il solo diritto d' infliger pene temporali, che sole possono riuscir loro di grave noja e molestia. E questo appunto è quel solenne sproposito che io non debbo lasciare senza la dovuta confutazione, come quello che non meno degli altri va a ferire i diritti incontrastabili della celeste Sposa del divin Redentore, e troppo si avvicina alle proscritte massime de' Protestanti, che nella loro Confessione augustana all' articolo intitolato de Potestate Ecclesiae hanno dichiarato che secundum Evangelium, seu, ut loquuntur, de

(a) Sess. 25. cap. 3.

de Reformat.

(b) Const. Unigenitus prop. 90. Bull.Rom. tom. 10.pag.340.

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