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nostro ministero non essendo possibile che riesca bene il nostro governo se non perseguitiamo con santo zelo i seduttori, e non procuriamo di allontanare questa peste dai Fedeli, e d'impedire che si dilati di più (a) .

Come, viventi ancora gli Apostoli, l' obbedienza dovuta ai rispettivi Pastori non sottraeva i Fedeli, al dir dell' Angelico dall' obbligo di obbedire anche a quelli; per hoc quod subjiciebantur Episcopo civitatis non eximebantur a potestate Apostoli (b); e come l'autorità che allora esercitavano i Vescovi nelle diocesi loro assegnate, Tito in Candia, Timoteo in Efeso Evodio ed Ignazio in Antiochia e tant' altri in altre parti del mondo, non impediva che S. Paolo minacciasse quelli di Tessalonica, condannasse l'Incestuoso di Corinto, e sgridasse e riprendesse tant' altri benchè soggetti ad altre giurisdizioni, e che S. Pietro scrivesse alle floridissime Chiese dell' Asia, della Bitinia, della Galazia e del Ponto (c) lettere, al dire d' Erasmo e di Estio, piene d' apostolica autorità, e che S. Giovanni riprendesse i Vescovi stessi alquanto trascurati nel loro impiego, e che tutti gli Apostoli in fine tornassero più volte a visitare quelle Chiese che avevano erette, benchè fornite di rispettivi Pastori; così l'ordinaria podestà che usano adesso sopra i loro sudditi i Vescovi cattolici, castigando ogni dissubbidienza, non può impedire che la più vasta e plenaria podestà, che per divina disposizione godono i Romani Pontefici sopra tutti i Fedeli, si stenda sollecita a presidio e conforto delle altrui diocesi, ed oltre i Vescovi e Pastori ordinarj, che non possono ricevere che da lui la legittima missione, non ritenga egli presso di se l'amplissima podestà di provvedere per se stesso o per altri delegati da se in ispecial modo alle loro indigenze, conservazione e difesa. E' Ε questa Romanae Sedis praerogativa, come Socrate attesta (d) parlando del canone 7. Sardicense, che accorda al Papa l'autorità di delegare altri giudici oltre i Vescovi : ed è stata a lui giustamente accordata una tale incombenza, come soggiunge Sozomeno (e), quoniam propter Sedis dignitatem omnium cura ad ipsum spectat. Se i Vescovi succedono agli Apostoli nella podestà che godono ristretta tra

(a) Epist. 7. al. 2. (b) Opusc.cont. Impugnat.Relig.cap.4. (c) Calmet Proleg. in epist. 1. B. Petri Apost.

(d) Hist. lib. 2 cap. 11.

(e) Hist. lib. 3. cap. 8.

i confini delle proprie diocesi, succede il Papa a S. Pietro in quella vastissima podestà ch' ebbe sopra gli Apostoli stessi, e sola passar doveva illimitata e pienissima ne' successori : e se dei Vescovi si serve egli a miglior disimpegno delle sue cure, e per divina disposizione comunica loro gran parte delle sue incombenze, vices suas ita alis impertivit Ecclesiis, ut in partem sint vocatae sollicitudinis, non in plenitudinem potestatis. Così si spiega Gregorio IV. nella bellissima lettera scritta a tutti i Vescovi d'Europa, della quale non si può desiderare monumento più nobile a favore del primato del Papa e di quelle coazioni, delle quali discorriamo. Egli ripete, è vero, e non senza ragione questa facoltà, come S. Leone poc'anzi citato, dal suo primato di giurisdizione in generale, ma S. Bernardo la fa scaturire con maggior precisione dall' aver Gesù Cristo pregato in modo speciale perchè non mancasse la Fede in S.Pietro, e da questa appendice indivisibile dal suo primato, e dall' avere così comunicato a lui ed ai suoi successori il privilegio dell' innerranza, onde confermar potesse i vacillanti Fratelli, inferisce che a lui dunque conviene in modo particolare l'ingerirsi in questi affari, e che cosa non v'è che più di questa appartenga al primato medesimo: oportet ad vestrum referre apostolatum pericula quaeque et scandala emergentia in regnum Dei: dignum namque arbitror ibi potissimum resarciri damna Fidei, ubi non possit Fides sentire defectum; haec quippe hujus praerogativa Sedis : così egli (a).

E questa ampiezza di podestà e questa necessità di così universale ingerenza fu riconosciuta ed approvata così comunemente, che riportò da Giustiniano stesso. la più esatta ed autentica confessione, e fu esercitata mai sempre senza notabile contrasto dai più saggi e religiosi Pontefici. Giustiniano ne parla nella lettera che scrive ad Epifanio Arcivescovo e Patriarca di Costantinopoli, e dice che questa è stata la costumanza di tutti i tempi, e ch'egli non sarà mai per permettere che si rechi in questa parte alcun pregiudizio alla S. Sede: Neque enim, così egli (b), patimur, ut quicquam eorum, quae ad ecclesiasticum spectant statum, non etiam ad ejusdem referatur beatitudinem: quum ea sit Caput omnium sanctissimorum Dei sacerdotum: vel eo maxime, quod, quoties in eis locis Haeretici

(a) Tract. 11. al. epist. 290.

(b) L. Cognoscere 7. princ. C. de Summ. Trinit,

pullularunt, et sententia et recto judicio illius venerabilis Se. dis coerciti sunt. Non aspettate da me una lunga serie di fatti a rinforzo di sì autentica testimonianza; chè pochi bastano a sua maggiore dilucidazione e conferma. Basta ciò che fece S. Clemente con quelli di Corinto, il quale non contento d'avere scritta quella sua lettera (a) piena di zelo veramente apostolico, ci assicura S. Ireneo che a miglior sostegno e difesa della Fede cattolica, che era in pericolo, spedì colà Claudio, Efeso, Valente, Bittone e Fortunato, perchè coll'opera e colla voce recar potessero quegli ulteriori vantaggi, che si sarebbero sperati in vano dalle sole scritte istruzioni e minaccie. S. Pelagio fece lo stesso nel sesto secolo contro gli scismatici Tracio e Massimiliano, mandando Pietro e Projetto l'uno Prete e l'altro Notaro, e raccomandandoli a Narsete perchè nulla mancar potesse alla più facile spedizione della causa (b). E furono nel secolo stesso deputati da S. Gregorio alcuni de' suoi ministri a Costantinopoli con ordine di ultimare in sua vece le cause di minor conto, e di spedire a Roma quelle che apparivano di maggior considerazione (c). Il rimprovero stesso fatto da Gelasio Papa al sopra citato Vescovo di Dalmazia per le sue meraviglie non conformi all'idea, che aver doveva dell' autorità della S. Sede, ed alla pratica di tutti i tempi dimostra ad evidenza quanto v'ho insinuato sin qui. Miramur, rescrisse egli ad Onorato, dilectionem tuam fuisse miratam, curam Sedis Apostolicae, quae more Majorum cunctis per mundum debetur Ecclesiis, pro vestrae quoque regionis Fide fuisse sollicitam; cumque ad eam perlatum esset, quod quidam per Dalmatiam integritatem catholicam vitiare niterentur .... non putaverimus ullatenus differendum, quominus haec diligentius inquirentes, ut aut si fortasse irrepserant, de proximo sanarentur, aut anxietatem nostram, si falso probarentur jactata, relevarent. E questo sia detto in verificazione di ciò che ha accennato Giustiniano nella sua lettera ed a sufficiente prova di quella pratica che non è mai mancata nella Chiesa di Dio.

Altro io non aggiungerò a scanso delle imposture de'nostri contraddittori, che attribuir sogliono ad usurpazione e vio

(a) To.1.Concil.Labb.p.123. (b) T.6.Concil.Lab.Epist.3.p.467. (c) Lib. 6. al. 5. epist. 3. pag. 793.

T

lenza de' Romani Pontefici tutto ciò che hanno intrapreso nelle altrui diocesi, che la pietà somma e la modestia incomparabile di quei gran Pontefici, de' quali vi ho accennate le gesta, ed il frutto ammirabile che riportarono le gloriose loro intraprese, che presso un giusto estimator delle cose deve contribuir moltissimo a farle comparir tutte legittime e giuste, se non andarono disgiunte dalle più copiose e parziali benedizioni del Cielo. Sono stati per la maggior parte meritevoli dell' onor degli altari que' Sommi Pontefici che si affaticavano in altre diocesi nelle accennate maniere; e furono tanto gradite le premure di S. Clemente, e riuscirono così vantaggiose alla Chiesa di Corinto, che dal solo applauso ch' ebbe colà la sua lettera prese motivo il Faverdenzio d'argomentare la sussistenza di quella giurisdizione, che sin d'allora competeva alla Chiesa Romana negli affari della Chiesa Greca: Romanam Ecclesiam, dic' egli (a), etiam ab initio auctoritatem suam interposuisse in moderandis quoque Graecorum Ecclesiis quod adeo gratum fuit eorum Episcopis, ut hic commemoratam epistolam non tam Clementis quam Ecclesiae Romanae nomine publice lectam scribat Eusebius. Nulla dirò del frutto, che riportò la spedizione di Pelagio; chè il guito ch' ebbero gl' indicati scismatici e l'oscurità in cui sono restati involti i loro nomi negli annali ecclesiastici bastano a far vedere che riuscì utilissima. Lo stesso dir si può di quella di S. Gregorio, che ha potuto contener con tal mezzo la Chiesa orientale per lungo tempo nella professione della vera Fede, e conservarla costante nell' unità della Chiesa. Ed è così manifesto e sensibile il gran vantaggio che reca la provvida cura de' Romani Pontefici nelle altrui diocesi, dovunque può stendersi liberamente, che Giannone medesimo non sa che attribuire a lei l'essere stato preservato il regno di Napoli dall' eresia di Ario e Pelagio (b). Ma a chi mai non è stata proficua una tal cura? o a qual traversia e disordine non ha ella somministrato opportuno riparo? Non v'è una diocesi tuttora cattolica che non sia debitrice della sua Fede alle premure di questo Padre amoroso. Non v'è un sovrano cattolico che non vegga attorniato il suo trono d'immensi doni e favori ricevuti dal comun Padre. Non catte

(a) ad cap. 3, lib. 3. S. Irenaei. (b) Tom. 1. lib. 2. cap. ult.

poco se

dra vescovile finalmente che nella lunga serie de' suoi Pastori molti non ne conti difesi, protetti ed assistiti nelle più difficili urgenze dalle amorose cure del supremo Gerarca del cristianesimo: e quelle sole, al dire d' Onorio III. (a), sono restate esposte al furore de' barbari ed all' empietà degli Eretici, alle quali è mancata la libera immediata assistenza di lui, che ebbe in cura da Gesù Cristo e gli Agnelli e le Pecore e le Greggie e i Pastori. Le quali cose mentre io considero sciolto da ogni prevenzione e partito, quanto ainmiro ossequioso i tratti sublimi della provvidenza divina, che a governo e cura d' ogni Chiesa particolare ha destinati i sagri Pastori che s' affaticano instancabili nella coltura del campo evangelico, tanto umile adoro quella speciale premura, che a sostegno e rinforzo della necessaria unità ha vopremu luto aggiungere un soprintendente e Pastore universale, che veglia alla coltura, istruzione e difesa di tutti. E non so comprendere come vi siano tra i Pastori particolari alcuni così sconoscenti ed improvvidi, che dimentichi d'essere anch'essi pecore del divin Gregge in paragone del supremo Pastore, e posto in non cale ogni vantaggio che dalle paterne sue cure hanno riportato, dichiarino aspra guerra al divino suo trono, e facciano ogni sforzo per ruinarlo. Miseri, che non s'avvedono di non poter' agire utilmente la propria causa senza sostenere quella del Romano Pontefice, e che prima d'ogni altra vacilla la loro, se cade l'universale giurisdizione del Papa. Glielo ha detto assai chiaro Benedetto XIV. (b), allorchè scrisse che suam causam agunt, cum supremi Pastoris auctoritatem propugnant & sustinent; quoniam si hujus jura evertuntur, paullatim pariter inferiorum Praesulum jurisdictio nutabit & corruet. E molto prima di lui lo aveva lasciato scritto S. Pier Damiano in quelle `memorande parole (c) degne d' essere scolpite a caratteri d'oro sopra ogni cattedra vescovile, nelle quali assicura che, Hac stante, reliquae stant: sin autem haec, quae omnium fundamentum est & basis, obruitur, caeterarum quoque status necesse est collabatur. Un'occhiata sola che gettassero su que' paesi infelici, che si sono già da gran tempo scostati dagli ainorosi amplessi del

(a) Lett. a Ruggiero Arcivesc. di Pisa presso l' Ughelli Ist. sacr. tom. 3.col.382. (b) De Syn. Dioec. lib. 9. cap. 1. num. 4. (c) Opusc. 4. pag. 22. tom. 4. Oper. edit. Paris. ann. 1663.

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