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sa, e colla divina rivelazione anche i comandamenti di lei non vilipenda e calpesti? Ma v'è anche di più; e dopo d'avere con culcato con piè villano sì ricchi doni del cielo s' inoltra, come v'ho detto, con gigantesca temerità, per servirmi dell' espressione di S. Atanasio (a), ad insultare Iddio stesso sul trono della maggiore sua gloria, e lo insulta non solo col disprezzare i suoi doni e precetti, ma collo sfigurarne la perfezione e grandezza, e di sommo bene qual'è ne fa un difforme impasto d' imperfezioni e difetti qual sa figurarlo l' alterata sua immaginazione e capriccio. Peccano contro Dio tutti i malvagi, come si nota ne' Maccabei (b); ma l' incredulo se la prende contro di lui con petulanza maggiore, e lo investe e combatte direttamente nel maggior pieno di sua maestà e splendore, e, come si esprime S. Gioanni (c), omnis, qui recedit & non permanet in doctrina Christi, Deum non habet. Scorrete le storie di tutti i tempi, e vedrete la Divinità resa bersaglio del furore e deliri di tutti gl' increduli. Avevano i Gentili confuso Iddio colle mondane cose; e sembrando loro d'averlo ovunque sott'occhio, lo andavano moltiplicando in tanti Dei, quanti aridi tronchi e pietre insensate capitavano loro tra le mani: ma dissipò un'errore così grossolano l'evangelica predicazione, e mostrando l' insussistenza e ripugnanza di quest' immaginazione, restituì la Divinità all' essenziale sua unità; ed ora o più non vive un vero e puro Idolatra dovunque penetrò questo raggio di celeste sapienza, o vive sepolto nel meritato disprezzo. Ma che fece egli mai a questa scossa l'irreconciliabile emulo insidioso della Divinità, che più non potè nascosto tra i sassi e delubri usurparne gli onori? Invece degl' idoli già troppo screditati e derisi moltiplicò, dice S. Agostino (d), le sette o settarj; e colle obbrobriose invenzioni di costoro recò ad essa un' ingiuria maggiore di quella, che le avesse fatto in addietro colla superstizione di tanti idolatri: videns Diabolus templa Daemonum deseri, & in manum liberantis Mediatoris currere genus humanum Haereticos movit qui sub vocabulo christiano doctrinae resisterent christianae . Negarono la Trinità delle divine Persone i Patripassiani, l' unità dell' essenza

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(a) Orat. 2. contr. Arianos n. 32. (b) Maccab. cap. 7. (c) 1r. Joan. v. 9. 10. (d) De Civit. Dei lib. 18. cap. 51.

Triteiti, e le sua spiritualità gli Antropomorfiti; ed ora l'uno. ora l'altro prendendo a combattere de' suoi divini attributi, chi ne impugnò la giustizia come i Marcioniti, chi la perfezione infinita come i Sociniani, chi l'immensità come i Manichei, chi

l'onnipotenza come i Seleuciani, chi per ultimo la provvidenza come i Marcioniti e Priscillianisti. E se gli Ariani, i Nestoriani, gli Apollinaristi ed Eutichiani non presero di mira che il mistero dell'incarnazione, negando i primi la divinità del Verbo divino per negar quella di Gesù Cristo, impugnando i secondi la sua umanità sagrosanta, gli altri l' ammirabile unione delle due nature; e se infiniti altri Eretici e settarj hanno combattuto ostilmente la grazia, la libertà, i sagramenti e la Chiesa, non furono costoro alla Divinità meno ingiuriosi ed infesti. Sono stati anch'essi furiosi giganti, ch' hanno alzato l'ardito capo contro l' Altissimo, non solo perchè hanno diffidato della veracità e del la fedeltà delle sue parole e promesse, ma anche perchè questi medesimi errori o sono nati o sono andati a parare per ultimo in molti altri, che lo ingiuriano e difformano ugualmente. Anche di questi si può dire con verità ciò che S. Agostino (a) dice di tutti gli Eretici in generale, che de Deo falsa sentiendo ipsam Fidem violant. Non possono essere nè corrotti nè posti in dubbio i misteri della Trinità, dell' Incarnazione e della Grazia, non può essere impugnata la necessità de' divini ajuti, l'umana libertà, le ricompense future e qualunque altra verità, che crede e professa la Fede cattolica, senza che Dio divenga crudele ed improvvido, senza che ne soffra la sua superiorità ed eminenza sopra tutto l'ordine intero delle create cose, e senza che vengano preferite alle sapientissime sue disposizioni le incerte provvidenze dell' uomo. Ed in vano distinguono alcuni gli articoli fondamentali, per dividerli dalla condizione degli altri che chiamano non fondamentali: chè oltre all' ingiurie certissime che recano alla rivelazione ed alla Chiesa coll' abbandono che fanno di qualunque verità che la Chiesa proponga come rivelata da Dio, strapazzano anch'essi in qualche niodo la Divinità; non essendo possibile che cada una sola delle divine parole senza che ne soffra la maestà di quel Dio, che l'ha proferita coerentemente alla sua perfezione e grandezza: ed a ben riflettere, tutto ridonda in

(a) De Fide & Symbolo cap. 10. num. 21.

fine a suo avvilimento e disdoro; ed è verissimo ciò che inse gna S. Tommaso (a), che quicumque non est firmus in fide Dei, quantum in se est derogat gloriae Dei, vel quantum ad ejus veritatem, vel quantum ad ejus potentiam. Da queste premesse hanno sempre dedotto i nostri Maggiori la sorprendente reità dell' Eretico, la quale, come in ogni altro misfatto, così in questo non può non essere proporzionata agli oggetti che va a ferire. Non mancano molte altre sorgenti di reità capaci di renderla sempre più grave e detestabile: siccome però niuna ve n'ha che superi l'energia e la forza dell'oltraggio fatto alla divina maestà, e in lei va a finire per ultimo ogni altr'ingiuria e strapazzo; così non mi credo in dovere di diffondermi di più su questo argomento, ben persuaso che il solo detto sin qui possa basta re a rendervi convinto che l'eresia è un delitto gravissimo, e che somma esser deve in tutti la premura di tenersi ben lontani da un mostro sì orribile. Continuatemi il piacere de'vostri comandi, ch' io sono

(a) ad Rom. cap. 4. lect. 3.

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LETTERA QUARTA

L'Eretico riesce assai pernicioso alla religiosa
società de' Fedeli.

Sempre più chiaro si mostra, amico carissimo, il grave pre

giudizio che vi ha recato la lettura de' libri cattivi. Prima di questa a farvi confessare che l'Eresia è un gran delitto sarebbe bastata la sola serie di quelle leggi civili, che vi ho accennata nell'altra mia, le quali l'hanno per tale riconosciuta. Ora più non basta; e niente commosso neppur da quelle molte e gravissime reità, che alla suddetta serie ho aggiunte nella stessa lettera, prima di confessarla tale desiderate sapere se reca o no alcun danno alla società. Avete letto su varj libri che questo solo diffonde a larga mano la ragione di reità nelle azioni umane; e pare a voi di non potervi scostare da questi principj senza far torto a gravissimi autori che li hanno adottati, e tutti non sono protestanti ed increduli. Io però credo che questi autori medesimi non si sarebbono mostrati giammai, almeno tutti, così facili nell' adottare siffatti principj, e molto meno sarebbono stati da voi approvati, se aveste riflettuto un pò meglio quanto poco si scostino dalle inassime de' perfidi Donatisti. Anch'essi hanno mostrato talvolta d'avere il vostro scrupolo; e per puro amore della pubblica tranquillità e salute accordavano a S. Agostino che fosse lodevole cosa che gli adulterj, i furti e gli omicidj non andassero impuniti tra noi, ma non volevano che si occupasse l'umana giustizia in castigare gli Eretici; si sacrilegus sum, a te occidi non debeo, quest' era il loro generale principio; e distinguendo per tal modo dai delitti i peccati, a quelli soli estendevano l'umane coazioni, perchè infesti alla società, non a questi che riuscivano solo ingiuriosi all' Altissimo Volete voi delirar con costoro. E perchè qualch' altro meno cauto scrittore non è stato sì facile a scoprire, o si è mostrato meno pronto a scansare insidie tanto pericolose e sospette, volete ammettere anche voi una tale distinzione, e volete di più abusarne a segno da non riconoscere alcuna colpevole reità in quelle azioni che non offendono che l'infinita "mae

stà del Nume supremo. So che anche i dottori cattolici hanno distinto talvolta dai delitti i peccati, ed hanno assoggettati i soli delitti al foro umano esteriore, riservando i peccati alla sola severità del foro interiore e divino: ma sono assai diversi i principj, dai quali derivano essi le loro giuste massime, da quelli dai quali partono gli ereticali deliramenti. Distinguono gli Eretici dai delitti i peccati, perchè nulla valutano l'offesa di Dio e della Chiesa, ed hanno per nullo ogni disordine quando non va a ferir la civil società. Li distinguono i SS. Padri, perchè sanno che non tutti i peccati sono della medesima gravità e capaci d'essere scoperti da occhio umano e senza lasciare impuniti i minori, che non cancellati in vita incontrano dopo la morte il proporzionato castigo, e senza trascurare i puri interni ed occulti, che soffrono anche tra noi i rigori di quel sagro tribunale interiore che è destinato a punirli, riservano il nome di delitto e l'azione de' tribunali esteriori per que' soli più gravi e sensibili, che meritano e le divine e le umane animavversioni e vendette. In questo senso ha detto S. Agostino nel definire il delitto, crimen est peccatum grave accusatione & damnatione dignissimum, (a) e S. Tommaso ha soggiunto, che aliud est crimen, aliud est peccatum. Peccatum dicitur quodcumque sive magnum sive parvum sive occultum. Crimen autem magnum est & infame infame (b). Niuno però di loro ha preteso di spogliare qualunque peccato della competente reità punibile, almeno dalla divina vendetta quando o è nascosta o mal corrisponde alle forze ed abilità dell'umana legislazione, e tutti li hanno creduti punibili da questa istessa, anche senza riguardo ai danni della società, quando o per la natia loro gravità o per la loro notorietà o per altre visibili circostanze che li accompagnano esser possono di sua ispezione e diritto. Ogni altro motivo di distinzione tra delitto e peccato è vizioso e niuno vi ha tra i SS. PP. e dottori cattolici, il quale, prescindendo ancora dai danni della società, non abbia annoverato tra le colpe meritevoli de' più gravi castighi quelle che portano seco grave scompiglio e disordine, e quelle in modo speciale che la maestà offendono del sommo Bene. Ed il volere che il diritto di quelle

(a) In Joann. Evang. tract. 41.

(b) Lect. 2. comm. in epist. ad Tit.

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