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autorità, che Dio ha disposte a reggere l'uman genere, e come si esprime S. Paolo, a punire ogni disubbidienza e ad intimorire i malvagi dipenda dal solo danno che ne risente qualunque siasi società è lo stesso che voler loro accorciar quella spada, che non portano senza ragione, e volere spezzar quella verga che ha posto in mano de' Pastori per condurre per via di un timor salutare le Pecorelle di Gesù Cristo a salvamento, è un pensare in somma ed un discorrere al rovescio di quello che hanno fatto tutti i nostri Maggiori. Non erano ancora nati costoro, dice S. Agostino (a) dei Donatisti infetti di quest'errore, quando Mosè sopportò pazientemente le ingiurie fatte a se stesso, ma vendicò con gran severità e riputò delitto gravissimo l'oltraggio fatto alla Divinità; fraudata sunt tali magisterio tempora antiqua. Nondum eras natus, quando S. Moyses injurias suas lenissime pertulit Dei vero severissime vindicavit. E si ha da varj testi di leggi e civili e cononiche riportati da Lodovico Montalto (b), che si ea, de quibus Deus vehementer offenditur, insequi vel ulcisci differimus, ad iracundiam utique Divinitatis patientiam provocamus. Le quali parole non solo abbracciano la reità della quale parliamo, ma accennano anche il motivo di offesa divina inaestà, che abbiamo indicato per sostenerla, ed escludono la ridicola distinzione, che sulle traccie di varj Protestanti ed anche di varj Cattolici impugnatori del tribunale del S· Officio fa il Bartolotti (c), de' tempi di Mosè dai tempi nostri. Di questi parlano i canoni e S. Agostino: e se si ammette che Dio sia adesso, come lo fu ai tempi dell' antica alleanza, un sommo Bene che merita ogni culto è rispetto, fuor d'ogni ragione pretende costui, che allora solo fosse un delitto l'oltraggiarlo, e non lo sia al presente. Sogni son questi di chi ha una cattiva causa per le mani, e cerca pretesti e cavilli per sostenerla. Le addotte autorità non fanno distinzione alcuna tra questi tempi; ed io non dubito di ripeter con esse, che basta la sola gravissima ingiuria che fa l'Eretico alla divina maestà per annoverare la sua colpa tra i delitti maggiori.

Siccome però servir possono a confermare questa reità i loro

cont. Gaudentium lib. 1. cap. 19.

tom. 14. Tract. Illust. JCtor. art. 4. num. 29. & 30.
Esercit, sop. la toller. cap. 2.

stessi principi; tanto sono e vani nelle loro immaginazioni ed incoerenti nelle loro deduzioni; così io non ricuso di secondarli colla fondata speranza di farli cadere da quelle stesse balze e dirupi ai quali s'arrampicano per sostenersi. Si ricerchi pure, com' essi vogliono e pare che voi pretendiate, alla ragion di delitto il danno della società; ma se questo è inevitabile, non mi si neghi poi che sia delitto l'eresia, che in tante guise lo procura e cagiona. Non mi servirò per dimostrarlo del solo pericolo, cui resta esposta una società, nella quale si soffre un sì grande eccesso, e d'essere privata di que' beneficj maggiori, che la divina bontà tien riservati pe' suoi più cari, e d' essere colpita da que' castighi esemplari che incontra spesso anche tra noi chi colle colpe si scosta dalla sorgente d'ogni bene, da cui solo si possono aspettare se amica, favori e vantaggi, e si devono temere le più severe punizioni,se oltraggiata: chè ben m'avvedo quanto poco vagliono nel cuore de' miei contradditori le tremende bensì ma segrete ed invisibili disposizioni della divina provvidenza: ma que' soli danni accennerò in breve che offendono la società direttamente.

Voi non potete negare alla Chiesa il carattere della miglio re tra tutte le società. Le poche cose, le quali vi ho accennate finora, ed il solo riflettere ch'ella è stata in ispecial modo istituita da Dio, e che i fortunati suoi membri per le vie da lui segnate e disposte aspirano non ad una temporale e terrena ma ad un' immortale felicità, bastano a farne concepire l'idea più vantaggiosa. Dio è capo di questo popolo in una maniera assai più perfetta e magnifica di quello lo fosse ai tempi di Mosè del popolo eletto più sagri e preziosi sono quei nodi che uniscono le membra a questo capo, e più copiosi e sublimi i benefici influssi che in loro derivano: e tant' egli si compiace di questo nuovo suo popolo, che ne fa la sua delizia, e si è protestato di voler restare con esso in eterno. Merita dunque quest' ammirabile società il riguardo almeno, che dai contradditori s' accorda ad ogni altra che non aspira che alla mondana felicità, non è istituita e regolata che da umane disposizioni, e non ha che la general provvidenza che la spalleggi ed assista. Nolle, diceva S. Agostino (a), Ecclesiae primas dare, vel summae impieta

(a) de Util. Cred. lib. 17.

tis est, vel praecipitis arrogantiae. Ma qual riguardo ha mai l'Eretico per questa nobile società, se non pago d'ingiuriarla con disprezzare, come v'ho detto nell' altra mia, le celesti sue istruzioni e comandi, in mille altre guise l'oltraggia, e ne' suoi figli ancora e nella sua giurisdizione, e nella mirabile sua economia e struttura l'insulta e danneggia assaissimo? La fatale ruina che reca a se stesso riesce a lei di non piccolo pregiudizio; chè basta in una società, al dire di Seneca, il danno di un solo, perchè resti offesa: Nefas est, dic'egli (a), nocere patriae; ergo civi quoque; nam hic pars patriae est. Sanctae partes sunt universum venerabile est . Ma che sarà poi, se tant' oltre s'avanza il suo ardire, che dopo d'averle in tal guisa trafitto il seno furibondo s'avventa contro gli altri suoi figli, e con nuovi danni irreparabili ne fa rio scempio e governo, e la Chiesa tutta, dice S. Girolamo (b), quasi orribil tempesta devasta e saccheggia : Quis enim Haereticorum, quorum princeps Diabolus est, non quasi tempestas venit contra Ecclesiam, & nube verborum suorum simplices quosque credentium opprimere, & operire non festinat?

si

Ossia che gli Eretici cerchino nella moltiplicità dei sedotti compagni qualche alleviamento a quei contrasti, che soffrono nella coscienza pel già fatto abbandono, o che la loro superbia, la quale, al dire anche di S. Pietro (c), è la compagna indivisibile dell' empietà e dell'errore, non sia mai sazia, se non si vede intorno una folta schiera d'adulatori e seguaci; certa cosa è, che tutti gli Eretici in eo se lucrum, sono parole di S. Girolamo (d), putant consequuti, si alios decipiant, & ipsi perditi coeteros perdant. Qualunque errore in materia di Religione misto alla pura farina delle cattoliche verità, che sta rinchiusa come in una fedelissima arca nel cuore dei veri credenti, è un fermento, che tutta l'altera e corrompe, come scrisse S. Paolo ai Galati (e); è una schifosa cancrena, come soggiunge lo stesso a Timoteo (f), che tutte guasta e corrode le vive carni che le stanno d' intorno, e scorre e serpeggia insidiosa, e porta ad ogni parte del corpo l'infezione; è una peste in somma, un contagioso malore, un fuoco desolatore, che involge nelle voraci sue

(a) De Ira lib. 2. cap. 31. (b) in Ezechielem cap. 38.
(c) Epist. 2. cap. 2. vers. 18.
(d) in Isa. cap. 19.
(e) cap 5. vers. 9. (f) 2. ad Timoth. vers. 17.

F

fiamme quanto gli si para dinanzi, e tutto incenerisce e consuma. Potrei mostrarvelo con esempj presi dalle storie degli antichi Eresiarchi, di Ario specialmente e di Nestorio, gli errori dei quali tanto si dilatarono nei primi secoli del cristianesimo colle a noi più vicine de' Protestanti in Germania; ma lo credo inutile e perchè sono troppo notì i funesti avvenimenti, e perchè abbiamo tuttora sotto degli occhj la dolorosa tragedia.

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e

Nè mi dite, che consimili funeste tragedie sono da temersi se si tratta di Eretici illuminati e colti, che sanno col loro sublime talento vestire delle divise di verità le più screditate menzogne, e possono insinuarle con efficacia negli animi almeno inconsiderati e men colti; ma che non ha da temer la Chiesa alcun danno da semplici donnicciuole e gente plebea, qualora venisse loro in capo di spargere qualch'errore contrario alle cattoliche verità, e che le massime di queste restano screditate dalla loro stessa viltà, e l'ignoranza in cui vivono fa sì che non possano inventare che sistemi incoerenti, nè addur prove che affatto insussistenti e ridicole. Non lo dite di grazia, che troppo digiuno vi mostrereste di tutta la storia. Ella è cosa per verità assai umiliante per l' umana superbia, e sarebbe forse anche incredibile, se non provassimo in mill'altre guise i tristi effetti di quelle perdite, che ci sono derivate pur troppo dal fallo del primo padre; ma pure è verissima, e ce ne assicurano le più veridiche storie, che non bastano i difetti e la viltà delle persone, che hanno o inventato o adottato gli errori, per renderli meno plausibili; e la sciocchezza istessa dell' Eresie più ripugnanti e spregevoli non è stata bastevole ad impedirne lo spaccio. Simon mago padre di tutti gli Eretici non fu al dire di S. Luca (a) che un vilissimo prestigiatore; eppure unito ad un' infame prostituta potè sovvertire gran parte della Samaria, della Fenicia e del Lazio, e stendere la seduzione sino al quarto secolo. Fu incostante Cerdone, e lo attesta S. Ireneo (b), il quale ciò non ostante seppe sì bene ravvivare le già più volte abbiurate eresie, che non vi volle di meno della vittoriosa penna del Vescovo S. Apollonio per atterrarle. Barbaro di Ponte Eusino fu Marcione, immo et bestiis illius barbariae importunior, come lo chiama Tertulliano (c); ma che non fece di sor

(a) act. 8. ver. 9. (b) lib. 3. cont. Haeres. cap. 4. n. 2. (c) lib. 1. cont. Marc. cap. 1.

prendente, esiziale e durevole a danno della cattolica Religione, se rivive anche ai dì nostri il suo primario errore in molti filosofi incre duli? Montano o le lascive sue profetesse, a detta di Eusebio (a), non ispiravano che mollezza, lusso e vanità; eppure fra quest' apparato d' inezie nemiche implacabili della fortuna e del buon concetto alzò ardita la fronte il loro errore e si dilatò ampiamente. Teodoto non fu che un vile cuojajo, ed un' ingordo cambiator di moneta il suo compagno, come leggesi presso S. Epifanio (b); ma non fu per questo meno felice l'incontro ch' ebbero i loro errori nell' Egitto, nella Palestina e nella Siria. E Filumena, Margherita e Figebrida non furono vilissime prostitute? eppure a queste non meno che agli autori è da attribuirsi la propagazione delle infami sette degli Apelliani in Roma, de' Beguini in Lombardia, de' Luterani in Danimarca. Fu vile d'estrazione Giovanni Hus, e più vile di lui il mendico Roquesan suo fido discepolo, che sparsero tanta seduzione, e fecero sì grandi rumori in Boemia. E quel Besoldo, ch' ebbe l'abilità di farsi riputare uno de' capi principali degli Anabattisti corrompitori indegni di sì gran parte dell' Alemagna, che altro fu egli che un rattoppatore olandese? E quello, che il primo portò la calvinistica cena in Ginevra, non fu Guerino, uomo anch'egli vilissimo, come uno scardasciere di lana l'aveva già introdotta in Francia? Si veda Tertulliano (c), Selvaggio Canturano (d), Battaglini (e), il Varil las (f) e Renato Rapini (g), che ne riportano le obbrobriose memorie; e non si tema, se è possibile, la seduzion di costoro da qualunque fecciosa sorgente derivi ed in qualunque infame tugu

rio si asconda.

Succede lo stesso per rapporto alla qualità degli errori, che anche nauseanti e ridicoli non cessano d' ottenere talvolta favorevole incontro. Non si poteva ideare cosa più laida ed abbominevole dell' Eresia dei Gnostici e Nicolaiti; eppure questo pessimo fermento guastò gran parte del Mondo, e non mai estinto del tutto sotto mill' altre forme e divise di Manichei, di Valde.

(a) lib. 5. Hist. cap. 17. (b) Haer, 54. (c) Praescript. cap. 36.

& 55.

(d) Storia de' primi tre secoli §. 4. (e) Storia univ. de' Conc. di Vienna numero 5. (f) Hist. des Revolutions pag. 88.

(g) Artifizi degli Eretici edit. Paris. 1681.

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