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che non senza cagione ha posto Iddio in mano di chi presiede alle civili società, l'ha da temere maggiormente l'incredulo, che, come vi dissi, tutta disturba la pubblica pace e tranquillità, qualora i fondamenti abbandona d'ogni Religione, o ne rovescia almeno il più sodo riparo e cagiona sconcerti gravissimi, se in qualche maniera si scosta dalle cattoliche verità. Quindi è, che S. Agostino non sapeva perdonare ai Donatisti l'incoerenza del loro procedere, i quali facili ad accordare ogni autorità ai sovrani trattandosi di omicidi, di adulteri e di altri facinorosi nemici aperti della pubblica sicurezza e tranquillità, che per altro non disturbano per lo più che coll' usurpare ed offendere beni privati, movevano poi tante querele e lamenti ove sentivano pubbli cate savie leggi utilissime contro i sagrileghi, che colla Fede offendono un bene pubblico: Clamate, egli diceva (a) contro le lettere di Gaudenzio, clamate, si audetis, puniuntur homicidae puniuntur adulteri, puniuntur caetera quantalibet sceleris, sive libidinis facinora, seu flagitia; sola sacrilegia volumus a Regnantium legibus impunita. In questo aspetto la giustizia del loro castigo è così evidente che la maggior parte de' medesimi nostri contraddittori non ricusa di riconoscerla; ed anche la Storia dell' Inquisizione, che contro la mente espressa di S. Agostino suppone negli Eretici possibile la moderazione e dolcezza, non ricusa di abbandonarli al rigor delle leggi allorchè divenissero per disgrazia facinorosi e superbi disturbatori della pubblica tranquillità.

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Non è però, come vi ho già detto, il disturbo della civil società la sola sorgente della reità dell' Eretico; ond'è che esser non può il solo motivo del suo castigo. Egli è punibile anche perchè disturba la religiosa società de' Fedeli, la quale nè è, come già udiste dalla V. mia lettera, di minor pregio della civile; anzi è tanto più valutabile, quant'è più nobile la sua origine più sublime il fime cui è diretta, più pregevole il vincolo che la unisce, più grande la sua estensione ed ampiezza; e sarebbe una vera pazzia l'immaginarsi che ogni sovrano ed ogni Ordine della politica società vegliar dovessero instancabili per la custodia e difesa de' loro Stati, e tutto il mondo poi starsene indolente ed ozioso al sorgere delle più fiere persecuzioni contro il vasto re

(a) lib. 1. contr. Gaudent. Donatist.cap. 19.

gno sublime di Gesù Cristo. Anche da questo mistico corpo, diceva S. Girolamo (a), che è d'ogni altro il più perfetto e pregevole, anche da questo ovile, che è d'ogni altro il più geloso e più sacro, secandae putridae carnes, & scabiosum animal a caulis ovium repellendum, ne tota domus, massa, corpus, & pecora ardeat, corrumpatur, putrescat, intereat. E Pelagio Papa (b) animando la timidità di Narsete a castigare gli Scismatici non tocca altro che questo motivo: ecce domine quod animus vester forte timidus, ne persequi videaris de Patrum vobis auctoritate haec breviter dirigenda curavi, cum mille alia exempla & constitutiones sint, quibus evidenter agnoscitur, ut facientes scissuras in S. Ecclesia non solum exiliis, sed etiam proscriptione rerum & dura custodia per publicas potestates debeant coerceri ..... Hoc enim divinae & humanae leges statuerunt ut ab Ecclesiae unitate divisi & ejus pacem iniquissime perturbantes saecularibus etiam Potestatibus comprimantur. Nec quidquam majus est, unde Deo sacrificium possitis offerre, quam si id ordinetis ut hi, qui in suam & aliorum perniciem debacchantur, competenti debeant rigore compesci .

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Quello però che sopra d'ogni altra cosa deve animare il comune zelo alle più severe vendette contro gli Eretici e miscredenti, è l' oltraggiata Divinità, la quale siccome è la più copiosa sorgente della gravità del delitto, di cui parliamo, così è la più forte ragione che approva le nostre coazioni e vendette. Per questo motivo il peccato divien sì grande, che il Card. Albici (c) ha preteso che abbracci anche il delitto di lesa umana maestà, la quale della divina è una participazione ed immagine, e lo crede anche per questo meritevole della comune esecrazione. Ma io penso, che la divina grandezza non abbia bisogno di mendicare dalle create cose le ragioni ond' essere rispettata e venerata da tutti come conviene. Basta per se sola a far crescere in infinito la reità di chi osa oltraggiarla ed offenderla opponendosi alla stessa sua verità e grandezza; e deve bastar per se sola ad impegnare tutto il nostro zelo per vendicarla: eď io

(a) Lib. 3. Commentar. in cap. 5. Epist. ad Galat. num. 4.
(b) Epist. 3. Narse. tom. 6. Conc. Labbae pag. 467.
(c) De Inconstantia in fide part. 2. cop. 2. n. 77.

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son tanto lontano dal ricercare dalle ingiurie di minor conto, che alle creature si fanno, i motivi, pei quali debba essere vendicata la maestà di quel Dio, che l' Eretico oltraggia, che anzi credo con S. Tommaso che non d'altronde risulti meglio la giustizia di quelle vendette, che si praticano a riparo dell' ingiurie degli uomini, che da Dio medesimo, di cui l'uomo è immagine, ed in disdoro del quale vanno poi sempre a terminare le nostre colpe, sebbene non con uguale temerità e malizia : Deum decet se vindicare: quia ex hoc est aliquid malum, quod est contra Deum, sed homo non debet punire quasi se vindicans, sed Deum, si habet hoc ex officio (a). Così la pensa anche S. Agostino (b); e dalla pena, che merita chi oltrag gia la maestà del sovrano, argomenta la maggior pena, che merita chi offende l'infinita divina maestà: Cum probrum jacitur in principem patriae bonum atque utilem, nonne tanto est indignius quanto a veritate remotius? Quae igitur supplicia sufficiunt, cum Deo fit ista tam nefaria tam horrenda injuria?

S. Tommaso cerca se la vendetta sia lecita (c), e dopo aver commendata la moderazione di quelli che rimettono le proprie ingiurie per ispirito di cristiana dolcezza e pazienza, non vuole che si soffrano con ugual' indolenza le ingiurie, nelle quali la Divinità ritrae offesa speciale; ed il suo parere è appoggiato all'insegnamento di S. Gioanni Grisostomo (d), il quale stabilisce, che in propriis injuriis esse quemquam patientem, laudabile est; injurias autem Lei dissimulare nimis est impium. Ne aveva anche con maggior precisione indicato il motivo S. Leone (e), dicendo che quando in nos peccant homines, si poenitentibus veniam non indulgemus, peccatum incurrimus. Quando aliquis in Deum peccaverit, si sine grandi distrinctione indulgere voluerimus, participes peccatis eorum efficimur. E questo è an che il sentimento di S. Cirillo (f) e di S. Girolamo (g), anzi di Giosuè stesso, che per alto divin consilio sterminò l'intera città di Gerico infetta d'idolatria, e preservò la sola casa di Raab

(a) 3.d. 1.q.1.a.2.ad 4. (b) de Civ. Deilib. 2. cap. 9. (c) 2.2.quaest.108.art.1. (d) in cap.3. Isa.n.7.tom.3. Oper, (e) Serm. de Martyribus. (f) lib. 6. in Evang. Joann. cap. 9. (g) Ep.35.al. 75. Vigilan.

la quale tra i disordini dell' umana fragilità non aveva abbandonato il culto del vero Dio (a). Leggete il libro di Lucifero Ca laritano de non parcendo delinquentibus in Deum, e vedrete se l'eresia per questo conto ha ragione di delitto d'essere trattata con moderazione e dolcezza.

e se merita

So che avrete incontrate nel Montesquieu massime assai diverse, ed avrete letto (b), che la Divinità dev'essere da noi onorata, non vendicata; il qual sentimento fu poi adottato da tutti coloro, i quali hanno preteso, che allora solo possano gli Eretici essere da noi castigati, quando non contenti d'oltraggiare la divina maestà riescono coi loro errori di grave danno anche agli altri. Ma non meritano costoro di essere ascoltati; sì perchè non è la loro massima coerente a se stessa, come ancora perchè si oppongono per tal modo ai più giusti sentimenti dei nostri antichi e più accreditati maestri. Non è la massima coerente a se stessa; poichè appunto per questo devono essere castigati gli Eretici, perchè Iddio merita il nostro culto ed onore; e risparmiati, ne soffre l'onor di Dio, e castigati, diviene la stessa vendetta, un giusto tributo di culto, che alto ascende al divin trono, e ritorna a noi ripieno di celesti benedizioni. Così fu onorato Iddio da Mosè nell'antica alleanza, quando scannò ai piedi di quel sacrilego altare, che avevano eretto per oltraggiare il grande Iddio d'Abramo, più di ventimila Ebrei idolatri. Così prestò al medesimo il dovuto servizio Ezechia incendiando i boschi superstiziosi, e Giosia similmente abbruciando e boschi ed altari, e Finees che fu lodato e rinunerato (c), perchè zelatus est pro Deo suo, & expiavit scelus filiorum Israel. Non è poi la massima coerente ai sentimenti dei più accreditati maestri, i quali insieme alla reità che accompagna l' ereticale perfidia accennano chiaramente le pene gravissime colle quali dev'essere castigata anche tra noi. Non istarò io qui a ripetere quelle testimonianze che avete già lette in un' altra mia lettera; chè voglio risparmiare al possibile il tempo per impiegarlo più utilmente aggiugnerò piuttosto qualch'altra loro sentenza a maggior rinforzo della verità ed a meglio dileguar quel sospetto, che i nemici del S. Officio tentano di spar gere negli animi de' meno esercitati e circospetti, spacciando a

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piena bocca che i SS. PP. hanno per la maggior parte creduto essere coll' antica alleanza cessato in noi l'obbligo d' onorare la Divinità con castigare i bestemmiatori ed increduli, e che altro non ispirano i loro scritti che tolleranza e dolcezza. E' questa una delle solite imposture, per ismentire la quale vengo ora a mostrarvi ch'essi hanno sempre creduto ed insegnato il contrario, e che del molto zelo, che nudrivano in seno e li animava a combattere per la gloria dell'Altissimo e cancellare col castigo degli empj i suoi oltraggi, hanno dato in ogni tempo le più chiare ed autentiche testimonianze. Anche adesso, dice per tutti S. Agostino (a), è lodevole una tale pratica, nè hanno i Re di questa più acconcia maniera di prestare ossequio e di servire al Signore: Quomo do Reges Domino serviunt in timore, nisi ea, quae contra jura Domini fiunt, religiosa severitate prohibendo, atque plectendo sicut servivit Ezechias, lucos et templa Idolorum, & illa excelsa, quae contra praecepta Domini fuerunt constituta, destruendo (b)? sicut servivit Josias, talia et ipse faciendo (c) E S. Girolamo (d) nella lettera a Ripario epilogando i maggiori castighi dati da uomini piissimi ai bestemmiatori ed increduli nell'una e nell' altra alleanza, tutti li approva, e li dichiara coerenti alle prescrizioni divine: Legi seiromasten Phinees', austeritatem Eliae, zelum Simonis Cananaei, Petri severitatem Ananiam & Saphiram trucidantis, Paulique constantiam, qui Elymmam magum viis Domini resistentem aeterna caecitate damnavit. Non est crudelitas, pro Deo pietas ; unde & in lege dicitur: Si frater tuus & amicus & uxor, quae est in sinu tuo depravare te voluerit a veritate, sit manus tua super eos, & ef. fundes sanguinem corum, & auferes malum de medio Israel. Così S. Girolamo lo stesso scrive Ottato Millevitano (e), e ripetono gli altri tutti. Ma a che andar mendicando dalle opere degli antichi dottori la verità, quando chiara ci vien proposta dalla Chiesa, che n'è il fondamento e sostegno? Parlò ella ad alta voce dalle sue cattedre infallibili, e col fulminare gli errori e col decretare contro gli Eretici ogni sorte di correzione anche più rigorosa dimostrò chiaramente non che lo zelo invincibile che

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(a) Ep. 185. ad Bonifac. cap.5. n.19. (b) 4. Reg. 81. (c) 4. Reg. 23. (d) tom. 1. pag. 719. edit. Vallars. lib.3.cont.Parmenianum.tom.4.Bibl.PP.edit.Lugdun.p.355•

(e)

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