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Vulgare sibi famam præ aliis asciscere: eo quod quicquid poetantur Itali Sicilianum vocatur, et eo quod perplures doctores indigenas invenimus graviter cecinisse, puta in cantionibus illis :

Et

<< Ancor che l'aigua per lo foco lassi. >>

« Amor, che longamente m'hai menato. »

Sed hæc fama Trinacriæ terræ, si recte signum ad quod tendit inspiciamus, videtur tantum in opprobrium Italorum Principum remansisse, qui non heroico more, sed plebeo sequuntur superbiam. Si quidem illustres heroes Federicus. Cæsar, et benè genitus ejus Manfredus, nobilitatem ac rectitudinem suæ formæ pandentes, donec fortuna permansit, bumana secuti sunt, brutalia dedignantes: propter quod corde nobiles, atque gratiarum dotati, inhærere tantorum Principum majestati conati sunt: ita quod eorum tempore quicquid excellentes Latinorum enitebantur, primitus in tantorum Coronatorum aula prodibat. Et quia regale solium erat Sicilia, factum est, ut quicquid nostri prædecessores vulgariter protulerunt, Sicilianum vocetur: quod quidem retinemus et nos, nec posteri nostri permutare valebunt. Racha, Racha.* Quid nunc personat tuba novissimi Federici ? quid tintinnabulum II Caroli? quid cornua Johannis et Azzonis Marchionum potentum? quid aliorum Magnatum

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L'aigua, cioè l'acqua.

ficat, ut pleræque interjectiones: sunt È il principio d'una Canzone di qui sputum ea voce designari putent. Guido Giudice dalle Colonne.

3 Fu chiamato siciliano, forse con la medesima ragione (nota il Corbinelli), colla quale gl' Italiani furono chiamati Lombardi, i cristiani Franchi, i Greci romei.

Racha, voce o interiezione ebraica, che trovasi nell'Evangelio di San Matteo, cap. V, 22, e che pur dal contesto deducesi suonare oltraggio. Di essa dice il Du Hamel: quæ vox commoli tantum animi affectum signi

Federigo era re di Sicilia, Carlo II di Puglia. Federigo e Carlo II son dal poeta biasimati anche nel Poema:

Iacopo e Federigo hanno i reami,
Ma'l retaggio miglior nessun possiede.
Purg. VII, 119-120.
Onde Puglia e Provenza già si duole.
Ivi, 126.

E qui intende di Carlo II.

Questi due potenti Marchesi sono Giovanni I di Monferrato, ed Azzone VIII da Este.

ciliano abbia assunto la fama sopra gli altri; con ciò sia che tutti i Poemi, che fanno gl' Italiani, si chiamino Siciliani, e conciò sia che troviamo molti dottori di costà aver gravemente cantato, come in quelle Canzoni :

Ed

<< Ancor che l'aigua per lo foco lassi. »

<< Amor, che longamente m' hai menato. >>

Ma questa fama della terra di Sicilia, se dirittamente risguardiamo, appare, che solamente per opprobrio de' Principi Italiani sia rimasa; i quali non con modo eroico, ma con plebeo seguono la superbia. Ma quelli illustri eroi, Federico Cesare, ed il ben nato suo figliuolo Manfredi, dimostrando la nobiltà e drittezza della sua forma, mentre che la fortuna fu favorevole, seguirono le cose umane, e le bestiali sdegnarono. Il perchè coloro, che erano di alto cuore e di grazie dotati, si sforzavano di aderirsi alla maestà di si grandi Principi; talche in quel tempo tutto quello, che gli eccellenti Italiani componevano, nella Corte di si grandi Re primamente usciva. E perchè il loro seggio regale era in Sicilia, è avvenuto che tutto quello, che i nostri precessori composero in vulgare, si chiama Siciliano; il che ritenemo ancora noi; ed i posteri nostri non lo potranno mutare. Racha, Racha. Che suona ora la tromba dell' ultimo Federico? che il sonaglio del secondo Carlo? che i corni di Giovanni e di Azzo Marchesi potenti? che le tibie degli altri Magnati? se non, Ve

tibiæ? nisi, Venite, carnifices, Venite, altriplices, Venite, avaritiæ sectatores. Sed præstat ad propositum repedare, quam frustra loqui: et dicimus, quod si vulgare Sicilianum accipere volumus, scilicet quod proditur a terrigenis mediocribus, ex ore quorum judicium elicendum videtur, prælationis minime dignum est; quia non sine quodam tempore profertur, ut puta ibi:

« Traggemi d'este focora se t'este a bolontate.' »

Si autem ipsum accipere nolumus, sed quod ab ore primorum Siculorum emanat, ut in præallegatis cantionibus perpendi potest, nihil differt ab illo, quod laudabilissimum est, sicut inferius ostendemus. Apuli quoque, vel a sui acerbitate, vel finitimorum suorum contiguitate, qui Romani, et Marchiani sunt, turpiter barbarizant; dicunt enim :

<< Volzera che chiangesse lo quatraro. »

Sed quamvis terrigenæ Apuli loquantur obscene communiter, præfulgentes eorum quidam polite loquuti sunt, vocabula curialiora in suis cantionibus compilantes, ut manifeste apparet eorum dicta prospicientibus, ut puta:

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Quapropter superiora notantibus innotescere debet, neque Siculum, neque Apulum esse illud, quod in Italia pulcerrimum est Vulgare: cum eloquentes indigenas ostenderimus a proprio divertisse.

È il terzo verso del Serventese di Ciullo d'Alcamo, che comincia: Rosa fresca aulentissima, che appari inver l'estate. Focora, fuochi, fiamme, è fatto alla foggia di corpora, campora, borgora ec. Se t'esle, se ti è, si

tibi est. Bolontate, volontate, cambiato il v in b, come in boc", bebbe ec.

Cioè vorrei che piangesse il figliuolo, o com' altri dice, il fanciullo. Son versi di Iacopo da Lenti

no.

nite, carnefici, Venite, altriplici1, Venite, settatori di avarizia. Ma meglio è tornare al proposito, che parlare indarno. Or dicemo, che se vogliamo pigliare il volgare Siciliano, cioè quello, che vien dai mediocri paesani, dalla bocca dei quali è da cavare il giudizio, appare, che 'l non sia degno di essere preposto agli altri; perciò che 'l non si proferisce senza qualche tempo, come è in

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Traggemi d' este focora se t'este a bolontate. >>

Se questo poi non vogliamo pigliare, ma quello che esce della bocca dei principali Siciliani, come nelle preallegate Canzoni si può vedere, non è in nulla differente da quello, che è laudabilissimo, come di sotto dimostreremo. I Pugliesi poi ovvero per la acerbità loro, ovvero per la propinquità dei loro vicini, fanno brutti barbarismi. E' dicono:

2

<< Volzera che chiangesse lo quatraro. »

Ma quantunque comunemente i paesani Pugliesi parlino bruttamente, alcuni però eccellenti tra loro hanno politamente parlato, e posto nelle loro Canzoni vocaboli molto cortigiani, come manifestamente appare a chi i loro scritti considera, come è :

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3

Il perchè a quelli, che noteranno ciò, che si è detto di sopra, dee essere manifesto, che nè il Siciliano, nè il Pugliese è quel Volgare, che in Italia è bellissimo; conciò sia che abbiamo mostrato, che gli eloquenti nativi di quel Paese sieno da esso partiti.

Il vocabolo italiano altriplici nulla significa. Dal Glossario del Du Cange si ha che altriplex vale animo dup'ex, dolosus; onde dee tradursi ingannatori

Acerbità qui vale asperità, asprezza di linguaggio.

Il vocabolo curialis è sempre tradotto dal Trissino, come avremo luogo di notare in seguito, corligia

no. Ma questo italiano corrisponde all' aulicus di Dante, mentre a curialis deve corrisponder curiale. Per vocabula curialiora, vocaboli molto curiali, intende Dante vocaboli molto esatti, molto conformi alle regole grammaticali, molto prossimi a quel volgare illustre, cardinale, cortigiano e curiale, ch'è il subbietto di questa sua operetta.

CAPUT XIII.

De idiomate Tuscorum et Januensium.

Post hos veniamus ad Tuscos; qui propter amentiam suam infruniti, titulum sibi Vulgaris Illustris arrogare videntur, et in hoc non solum plebeorum dementat intentio, sed famosos quamplures viros hoc tenuisse comperimus: puta Guittonem Aretinum, qui nunquam se ad Curiale Vulgare direxit; Bonagiuntam Lucensem, Gallum Pisanum, Minum Mocatum Senensem, et Brunetum Florentinum; quorum dicta si rimari vacaverit, non curialia, sed municipalia tantum invenientur. Et quoniam Tusci præ aliis in hac ebrietate bacchantur; dignum, utileque videtur municipalia Vulgaria Tuscanorum singulatim in aliquo depompare. Loquuntur Florentini, et dicunt:

« Manuchiamo introcque: '

Non facciamo altro. >>

Pisani :

Lucenses:

«Bene andonno li fanti di Fioransa per Pisa. >>

« Fo voto a Dio, che in gassara eie lo comuno de Luca. »

Senenses:

« Onche rinegata avesse io Siena. >>

Arretini :

« Vo' tu venire ovelle. >>

De Perusio, Urbe Veteri, Viterbio, nec non de Civitate Ca

'Cioè mangiamo frattanto. Introcque è da inter hoc.

In gassara eie, vale è in gazzarra. Comuno per comune, come ottono, costumo, interesso ec. Fo voto a Dio, ha tra gli altri significati quello di grazie a Dio. Onde tutta la frase varrà grazie a Dio, il Co

mune di Lucca è in allegria, in festa. Onche, cioè unque, dal lat. un

quam.

Ovelle, dice il Corbinelli esser fatto da ovec elle, dagli antichi francesi trovandosi detto ovec per avec. La frase dunque varrebbe: vuoi tu venire con lei?

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