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giusto preposto ad amministrarla: dunque la miglior guarentigia della pubblica felicità risiede nella massima potenza del supremo imperante. E poichè tolta la cupidigia, nulla rimane d'ostacolo alla giustizia, il Monarca, il quale nulla abbia a desiderare, esser deve giustissimo per necessità. 1 Desso è causa utilissima, causa massima all'ottimo vivere delle genti: dunque a conseguire un tanto effetto è necessaria al mondo una tanta causa. Se non che a far pieno e inconcusso il suo teorema, Dante vuole un Monarca necessitato dal propostosi fine di dare e serbar sempre giustissime leggi; quindi Monarca afferma solamente colui, che disposto sia a reggere ottimamente, e così argomentando fa vedere che non il Popolo solo si uniforma alla volontà del Legislatore, mentre il Legislatore stesso, egualmente che il Popolo alle leggi obbedisce. Conchiude poi che sebbene il Monarca, riguardo ai mezzi, sembri il dominatore delle Nazioni, in quanto però al fine, altro egli non è che il loro Ministro, perciocchè non il Popolo pel Re ma il Re pel Popolo è creato: Non enim gens propter Regem, sed e converso Rex propter gentem (lib. 1).

Nel secondo libro, che s' aggira tutto in provare come l'Impero appartien di diritto all' Italia ed a Roma, fassi dapprima l'autore a

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« Il bello ideale che Platone dette alla sua Repubblica, l'Alighieri lo die al suo Monarca: con questa differenza però, che un uomo, sebbene investito del potere supremo, può sentire ed agire come Dante s'imagina, mentre una moltitudine d' uomini non potranno mai vivere col regime che loro ha proposto Platone. Dante ravvisa il Monarca universale, per la sua posizione, un'autorità tutelare ed inoffensiva: egli pensa essere nel naturale ordine delle cose, che un uomo, il quale ha eguale autorità sopra tutti, debba e possa essere eguale con tutti; lo che deve renderlo scevro d'ogni cupidigia, imparziale e giusto con tutti, e verso tutti amorevole: il qual concetto fu da Cassiodoro espresso come teoria comune a tutti gli uomini investiti di potere sovrano, dicendo: disciplina imperandi est amare quod omnibus expedit. Ammirabile sentenza, se chi dee praticarla non avesse mai dall' amor di se stesso, e dalla prestigiosa azion del potere, ottenebrati gli occhi per leggerla; o sivvero tal debolezza di mente da dimenticarla o spregiarla, avendola letta! Questo nobile e generoso amor del Monarca per gli uomini era, per così dire, il cardine sul quale aggiravasi la teorica politica dell'Alighieri; e questo supposto amore non era ne ghibellino nè guelfo, perchè abbracciava l'umanità, nell'interesse della quale egli si era proposto di scrivere. » (CARMIGNANI, loc cit.)

mettere in vista la serie de' prodigi operati dal Cielo per istabilire, promuovere e conservare la sovranità del popolo Romano. Dopo di che egli dice, che quello il quale alla sua perfezione è da' miracoli aiutato, è da Dio voluto, ed è perciò di diritto. Adunque l'Impero di Roma, che nella caduta dello scudo celeste, nel gridare delle Oche della Rocca Tarpeja, nella mala final riuscita delle vittorie d' Annibale, appare conservato e cresciuto per mezzo di soprannaturali prodigi, è certo essere e starsi di diritto, dappoichè Dio così volle e dispose. 1 Indi l' Alighieri in cotal guisa i suoi argomenti prosegue: Chi ha per iscopo il fine della Repubblica tende a conseguire il vero fine della giustizia. I Digesti non definirono la giustizia quale si è veramente in se stessa, ma quale appare nel suo pratico esercizio. Il giusto consiste nella reale e personale proporzione dell' uomo verso l'uomo, la quale conservata conserva, e corrotta corrompe la società. Ond'è che non sarà mai diritto quello che non tenda al comun bene de' soci, ed è per ciò che Tullio nella sua Rettorica afferma che le leggi si deggiono sempre interpretare secondo l' utilità della Repubblica. Ora il Romano popolo colle sue gesta dimostra come nel

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1 << L'idea di Dante era classica: ella era quella di veder restaurato l'Impero romano colla costituzione, che buoni imperatori conservarono e rispettarono sempre, dicendosi i generali d'una Repubblica obbligata dalla sua posizione e da' suoi precedenti a mantenersi colle armi il dominio del mondo. Egli avea davanti agli occhi la lunga pace del regno d'Augusto, e compiacevasi a ripetere con Virgilio: Jam redit et virgo, redeunt Saturnia regna..... Questo desiderio di veder restaurato l'Impero romano non era a' tempi dell'Alighieri nuovo in Italia: stava sempre l'ombra del gran nome di Roma antica e gloriosa, rappresentante dell'italiano primato tra le antiche nazioni. Gl'Imperatori, che aveano capitanato le vittoriose sue armi, nati in Roma nel principio, vennero in seguito da straniere nazioni; ma divenuti imperatori, si dichiararono romani, e fino a Costantino stabilirono in Roma la permanente lor sede. Era questo sistema, che da non pochi in Italia invocavasi, sebbene i desiderii fossero rivolti a Imperatori germanici, ed era fra questi desiderii pur quello di riveder Roma sede e centro dell'Impero del mondo, e l'Italia tornata ad essere la regina delle nazioni. » (CARMIGNANI, loc. cit.)

<< Le idee dell' Alighieri sulla nozione del diritto razionalmente considerato, sulla libertà, sulla giustizia, sulla legge come espressione della mente e della volontà sociale, sono d'una maravigliosa esattezza, e d'una più maravigliosa originalità. Gli Scolastici non seppero immaginare un diritto, che dalla volontà d'un superiore e da una legge preesistente non

conquistare l'intero mondo, pose in non cale gli agi propri e solo provvide alla salute dell' uman genere. L'Impero della Romana Re

derivasse. Dante lo ravvisa nella ragione e nelle sue leggi, perchè per queste sole leggi son conosciute ed esistono le proporzioni, definendolo una personale o reale proporzione da uomo a uomo, osservata la quale havvi relazione sociale tra loro. Nella quale definizione cinque grandi verità si ravvisano. La prima è, che non potendo la definizione convenire al principio morale, per cui un'azione è buona o cattiva in se stessa, senza relazione ai diritti d'alcuno, bisogna concludere che l'Alighieri concepi la differenza razionale tra la morale e il diritto. La seconda è, che, nel sistema suo, il diritto non è una facoltà, la quale è forza inerente alla volontà, ma è una nozione, la quale spetta all'ufficio dell'intelletto. La terza, e segnalabile, è che il diritto, come nozione, ha un' esistenza propria, indipendente da quella d'una obbligazione che vi corrisponda; ed infatti egli d'obbligazione non parla. La quarta consiste nel dare al diritto per origine e titolo l'eguaglianza di ragione, la quale si converte in eguaglianza in faccia alla legge, in quanto che non potrebbero i diritti stare in proporzione tra loro se eguali non fossero. La quinta finalmente è, che il diritto non può concepirsi tra gli uomini che nel loro stato di società, il quale solo gli pone in relazione gli uni cogli altri.

» Dante sagacemente soggiunge, essere una vanità il cercare il fine del diritto senza conoscerlo, essendo il diritto il vero e solido fondamento dell' ordine; e giustamente gloriasi della originalità della nozione del diritto posta da lui, ed osserva che ne' Digesti filosofica nozione del diritto non vi è, nè altra notizia ve ne ha che quella che ne fornisce il suo uso.

>> È osservabile che Dante, a differenza della comune de'moderni scrittori di filosofia del diritto, e delle più celebri politiche epigrafi, pone il diritto avanti la libertà, non la libertà avanti il diritto; e, come alcuni filosofi praticarono, non definì il diritto per la libertà. Egli la considera al diritto inerente; diguisachè senza diritto parlar non si possa di libertà. Egli distingue sagacemente la libertà giuridica dal libero arbitrio, distinzione non avvertita dai parteggiatori del principio della utilità, tutto il sistema de' quali riposa su questo gravissimo errore. La libertà giuridica è, nel sistema dell'Alighieri, la facoltà che compete ad ogni uomo di giudicare della rettitudine delle sue azioni: il libero arbitrio è dagli appetiti determinabile; dai quali appetiti la libertà giuridica non dee mai, per esser tale, prendere il proprio carattere. Definita per tal modo la libertà, egli la considera lo stato ottimo del genere umano.

>> La società civile è considerata dall Alighieri, nel suo vero filosofico punto di vista, il mezzo necessario a promuovere la civiltà umana, che egli fa consistere nel maggiore sviluppamento possibile dell' umano intelletto. La legge ne è il comento, e se tale non è, non merita il nome di legge la quale proposizione, riferendola alla definizione da lui data al diritto e alla libertà, significa che la legge è la espressione delle proporzioni o personali o reali tra gli uomini conviventi in società civile tra loro. >> (CARMIGNANI, loc. cit.)

pubblica era il refugio ed il porto de' Re, de' Popoli e delle Nazioni. I Magistrati e Imperatori Romani in questo massime si sforzavano di conseguir lode, nel difendere cioè le provincie, nel proteggere gli alleati con fede ed equità, e gli esempi di Cincinnato, di Fabrizio, di Cammillo, di Bruto, di Muzio, de' Decii e de' Catoni sono di cotanta virtute e specchi e riprove. È dunque a conchiudersi che come il romano popolo soggiogando l'intiero mondo intese al fine della giustizia, e provvide al pubblico bene, a buon diritto arrogossi la suprema dignità dell' Impero.

Io non dirò che queste opinioni del ghibellino scrittore siano del tutto vere e inconcusse, nè che la sua teoria, quantunque sembri in astratto probabile, possa nel fatto realizzarsi. Troppo smisurate cose appare manifestamente aver egli dette per istudio di parte, e per l'amor della causa Imperiale: dover cioè tutto il mondo appartener di diritto all' Impero de' Romani, e sola l' universal Monarchia esser quella, all'ombra di cui le nazioni goder possano pace e felicità; mentre, per un lato, quel preteso diritto de' Romani, come quello di tutti i popoli conquistatori, non consisteva che nella violenza e nella fortuna delle armi loro; e per l'altro, ogniqualunque forma governativa può esser atta a procurare la felicità de' governati, quando coloro che siedono al timon dello Stato si sforzino, con tutti i mezzi che sono in loro potere, di conseguire quell' altissimo fine. Ma se la tesi del ghibellino scrittore del comprendere in un sol corpo politico la terra intiera, mentre pure l'Italia, la di lui patria, si stava sotto a' suoi occhi tutta sminuzzata, divisa ed in se stessa discorde, è da riporsi nel numero delle utopie, ella non potrà a meno di dirsi grande e magnifica, e degna dell'alta mente di Dante.

Se oggi adunque che la nostra civil condizione è affatto cambiata, non possiamo ammettere in tutte le parti la teorica dell' Alighieri e le pratiche conseguenze che da essa derivano, potremo in questo libro ammirare l'ingegno, la dottrina e la probità dell' autore, e dovremo studiarvi le sue opinioni politiche affine d'intender meglio alcune particolarità della Divina Commedia.

Otto o nove edizioni di questa operetta hanno finora veduta la luce, la prima delle quali fu fatta nel 1559 in Basilea per Gio. Opo

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DISSERTAZIONE SULLA MONARCHIA.

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rino: ma la lezione per colpa de' secoli e degli editori n' era così scorretta e malconcia, che più di cento strafalcioni m'è venuto fatto d' emendare nel darne al pubblico la presente ristampa; 1 come, a cagion d'esempio, correggendo dicentes ipsum recepisse in dicentes Cristum recepisse (lib. III); facere tamen ascendere in facere terram ascendere (ivi); gestis humanis in gestis romanis (ivi); non enim Decius in non enim dicimus (ivi); divinæ prudentiæ in divina providentiæ (ivi), ec. ec.

La traduzione italiana, che per me vide la prima volta la luce nel 1839, e che è opera del celebre Marsilio Ficino, il quale volle intitolarla a due suoi amici Bernardo Del Nero ed Antonio Manetti, è tratta dal Codice 1173, Classe VII, della Magliabechiana. Ed abbenchè io l'abbia collazionata sopra altro esemplare, di cui mi fu cortese il chiarissimo signor Marchese Gino Capponi, essa sarebbe rimasa in più luoghi o guasta o mutila o inintelligibile per colpa più degli amanuensi che di lui che dettolla, se io con un po' di critica e col soccorso del testo latino non l'avessi raddrizzata e corretta. Nel che fare ho usato tal parsimonia e tal diligenza, che io sono per credere non sia per esservi alcuno, che vorrà farmene rimprovero, anzi sapermene qualche grado. *

Dal novero di queste edizioni scorrette va eccettuata l'accuratissima stampa fattane dal chiarissimo signor dottor Alessandro Torri in Livorno, sei anni appresso la mia prima edizione.

Tali correzioni furono infatti approvate, e nella massima parte adottate nella succitata stampa del Torri, ove in apposite note sono state tutte riportate, ed ove potrà riscontrarle chi avesse di vederle vaghezza.

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