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mente parlare si studiavano, per incitare meglio colle lor voci, ed avvivare nelle pubbliche e private adunanze le faville dell' odio e del livore, ch'a loro pro voleano tener sempre deste e vive, per sollevare l'invidia e l'avarizia del loro partito contra la dignità e beni dell' altro. Come a noi fanno fede le sediziose e maligne concioni d' uomini ́anche plebei, de' quali la Fiorentina istoria è ripiena. Nè senza bene esercitarsi nella favella avrebbe quel popolo potuto esercitarsi in tante stragi, violenze, e rapine che coll' infiammate lingue moveano e mossero lungo tempo; finchè un'aura salutare di prisca virtù, dal germe de' Medici felicemente uscita, spirasse tranquilla calma in quell' agitato pelago di sedizioni e discordie, che cominciarono a cedere; dappoichè ascendendo più in alto quell'antica ed inclita famiglia, (col senno di Giovanni de' Medici, e dilatando l'autorità sua colla magnificenza e costanza di Cosimo, e con la gentilezza e mansuetudine di Pietro) sostenne nel suo tronco, ed in più larghi rami distese, il partito migliore : il quale col gran senno e valor di Lorenzo venne a superare e coprire non solo di credito, ma di numero e di forze, ogni tumultuoso ed inquieto seme; che spegnendosi, poi tuttavia dal ben regolato governo de' successori ha recato a tal repubblica sotto l'amministrazione di un solo quella pace che non si gusto mai, nè si poteva sperare dall' arbitrio di molti,

de' quali ciascuno credea egli solo per tutti gli altri insieme valere. Or questa lingua comune, che il nostro Dante prese, per così dire, sin dalle fasce ad allevare e nutrire, sarebbe molto più abbondante e varia, se 'l Petrarca e 'l Boccaccio ed altri di que' tempi, a' quali fu da Dante lasciata in braccio, l'avessero del medesimo sugo e col medesimo artifizio educata; e non l'avessero dall' ampio giro, che per opera di Dante occupava, in molto minore spazio ridotta. Poichè essendo la lingua prole ed immagine della mente, e nunzia degli umani concetti, quanto più largamente il concetto si distende più la lingua liberamente cresce ed abbonda. Onde perchè Dante abbracciò tutta l'università delle cose tanto in generale quanto in particolare, tanto scientifiche quanto comuni, fu costretto a pigliar parole dalla matrice lingua latina e da altri più ascosi fonti; le quali si sarebbero rese comuni e piacevoli coll' uso domator delle parole, se il Petrarca e 'l Boccaccio avessero preso a volgarmente scrivere di cose alla grandezza del loro ingegno ed alla Dantesca materia somiglianti. Ed avrebbe l' Italiana favella la medesima sorte avuta che la Greca, la quale riuscì sopra ogn' altra copiosa e felice, perchè le parole e formole, o novamente prodotte o dall' antico risvegliate o da altre lingue trasportate nel poema d' Omero, abbracciate poi furono da' seguenti scrittori che tragedie, storie, scienze ed

altre materie grandi s' applicarono a scrivere in lingua natìa. Ma perchè il Petrarca e'l Boccaccio ed altri tutti le scienze e le materie gravi scrissero in Latino, e la volgar lingua non applicarono se non che alle materie amorose; così portati sì dall' imitazione de' Provenzali, sì dalla necessità di aprire il suo sentimento alle lor dame, che sola gli fe' la volgar lingua adoperare, volendo il Petrarca la sua Laura ed il Boccaccio la figliuola del re di Napoli intenerire; perciò le parole introdotte da Dante, le quali sono le più proprie e più espressive rimasero abbandonate dall'uso, con danno della nostra lingua e con oscurità di quel poema; nel quale era lecito a Dante, sì per la grandezza del suo ingegno, sì per l'infanzia della nostra lingua di cui egli è padre, sì per ampiezza e novità della materia, inventar parole nuove, usar dell'antiche, ed introdurre delle forestiere, siccome Omero veggiamo aver fatto.

Della Dan

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IX. Considerata la lingua del poeta, tesca frase. e quel che ha comune con gli altri nel fraseggiare, degna è di special riflessione la foggia del fraseggiar particolare dalla comune degl' Italiani poeti distinta. Questa egli trasse non solo dall'imitazion de' Greci, e de' Latini a' Greci più simiglianti, ma spezialmente dagli Ebrei e da' profeti; a cui siccome simile nella materia e nella fantasia, così volle ancor nella favella andar vicino. Lungo sarebbe rincontrar❜ i luoghi

tutti alla poetica frase corrispondenti, de' quali è il suo poema non solo sparso, ma strettamente tessuto; come tela che si dilata e si spande dentro una fantasia commossa, se non da sopranaturale, pur da straordinario furore e quasi divino, il quale fervendo ne' sublimi poeti acquistava loro appo i gentili l'opinione di profezia, dalla quale traevano il nome. Oltre questa selva di locuzioni dal proprio fondo prodotte, vengono incontro molte le quali egli ha voluto a bello studio nella nostra lingua trasportare, come per tacer d' innumerabili, può in esempio addursi quella di Geremia: Ne taceat pupilla oculi tui ; dal poeta imitata e trasferita nella descrizion di un luogo oscuro dicendo,

ed altrove,

Mi ripingevà là, dove il Sol tace;

Venimmo in luogo d' ogni luce muto.

E siccome il parlar figurato e sublime de' Profeti non tolse loro la libertà d' usare il proprio, e d' esprimere con esso tanto le grandi quanto l'umili e minute cose, quando il bisogno di loro veniva ; così Dante volle le parole alle cose sottoporre, e queste, quantunque minime, si studiò co' proprj lor vocaboli d' esprimere, quando la ragione e la necessità ed il fine suo il richiedea; donde il suo poema divenne per tutte le grandi mediocri e picciole idee di locuzioni, tanto figurate quanto

proprie, abbondante e fecondo. E perchè ambì egli per suoi ascoltanti solo gli studiosi e non il volgo, al quale Omero volle anche farsi comune col sentimento esteriore, benchè l' interiore a' soli saggi dirizzasse; quindi avviene che Dante, simile ad Omero con la vivezza della rappresen tazione, si è reso però dissimile collo stile suo contorto acuto e penetrante; quando l' Omerico è aperto ondeggiante e spazioso, qual convenne a chi dietro di se tirar dovea l' applauso e gli onori di tutte le città di Grecia, dove la plebe, per la parte che avea nel governo civile, non era meno arbitra degli onori che gli ottimati. Per qual parte Dante rimane, se non d' altro, di felicità e di concorso inferiore ad Omero; benchè non si possa d' oscurità riprendere chi non è oscuro, se non a coloro co' quali non ha voluto favellare. Perciò non si è astenuto da' vocaboli proprj delle scienze e di locuzioni astratte, come colui che ha voluto fabbricar poema più da scuola che da teatro.

Del titolo

X. E per contemplare più oltre la dato al Poema di Dante. forma esteriore di quest' opera, non sono ignaro delle dispute e contese, delle quali son pieni i volumi interi degli eruditi nostrali, sopra il titolo di Commedia, dato dall' autore al suo poema. Sul che senza l'ardire di decidere sarò contento d' esporre ingenuamente il mio parere. Chiunque imita e rappresenta gli uomini

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