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sopra quella provincia e sopra i Guelfi che in lei prima fiorivano: i quali perciò contro i Ghibellini concepirono quell' odio, le cui faville sì largamente colla partecipazion de' nomi e division de' cuori per l' Italia si sparsero. Duravano adunque in Italia con gran fervore queste due fazioni a tempo di Dante, il quale prima la parte Guelfa con tal zelo seguitava, che vedendola divisa, e perciò inficvolita in due altri partiti de' Bianchi e de' Neri, volle egli benchè con vano studio ridurla in concordia. Ma poi mandato in esilio da Corso Donati, uno de' capi della parte Nera, già ritornato in patria, donde Dante cacciato l' avea, con grande amarezza il poeta si vide dal partito suo medesimo ingiuriosamente travagliato. E perchè, dopo replicati sforzi fatti per lo suo ritorno, sempre fu dall' ingrata patria rifiutato ed escluso, alla fine si voltò al partito Ghibellino ed Arrigo Imperadore seguito nelle imprese contra i Fiorentini, sperando conseguir colla forza quel che non preghiera ed artifizio non potea impetrare. Il qual disegno anche vano gli riuscì; perchè Arrigo quell'impresa fu costretto abbandonare, e 'l poeta ridotto a macchinar coll' ingegno e colla dottrina e coll' eloquenza, la guerra a' Guelfi in vendetta dell' offesa ricevuta. Onde, per debilitar la parte Guelfa e rinforzar la Ghibellina, oltre gli altri suoi scritti, volle ancor coll' orditura di questo poema, e colle frequenti sue orazioni or' a se or❜

ad altri attribuite e sparse per entro di esso, insegnare a' Guelfi ed all' Italia, esser vana la speranza di mantener ciascuna città la libertà propria, senza convenire in un capo, ed in un comune regolatore armato; per mezzo del quale l' Italia lungo tempo a tutto il mondo signoreggiato avea: insinuando che per mezzo della universale autorità e forza sua, tanto militare quanto civile, poteva e dalla invasione straniera e dalla divisione interna esser sicura; in modo che, le sue forze e 'l talento non contra di se ma contra le nemiche nazioni rivolgendo, sperasse l' antico imperio sopra tutte le nazioni ricuperare. Nè lasciò coll' esempio allor presente di persuadere, che la voglia di mantener ciascun paese la sua libertà, senza la dipendenza da una potestà superiore a tutti, commettea discordia tra le città e le urtava in perpetua guerra, la quale gl' Italiani colle

stesse lor forze consumava. Sicchè non volendo soffrire una somma potenza regolatrice, alla quale era lecito ad ognuno di pervenire, e che non altronde se non da Roma il titolo e l'autorità, come dalla sua sorgente, traeva; verrebbero poi a cadere sotto il dominio di più potenze straniere, alle quali che il legnaggio dominante non potesse aspirare. Donde si sarebbe sotto nazioni lungo tempo a lei soggette in varie provincie divisa quella, che il mondo intero avea per sua provincia nel corso di mille anni tenuto; ed

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avrebbe tollerato barbaro giogo quella, che coll' armi e leggi sue avea di dentro gli acquistati popoli la barbarie discacciato. Con tai forze d'ingegno sperava Dante accrescer concorso al suo partito, e scemarlo al Guelfo per potersi con la caduta di questo vendicare. Quindi egli pigliando occasione dagli abusi de' suoi tempi nell' età nostra felicemente rimossi, morde lividamente la fama di quei Pontefici, che più al suo disegno si opponevano. Conserva però sempre intera l'autorità e rispetto verso il Ponteficato, significando in più luoghi che dall' Italia, per legge di Dio e merto della Romana virtù, nasceano, a scorta e regolamento comune della religione delle leggi e dell' armi, due luminari Ponteficato ed Imperio. Della Morale, XIII. Ma tempo è già d'entrare nel e Teologia di sentimento morale e teologico di questo poema; qual sentimento se io per le sue parti volessi esporre, verrei sopra il solo Dante a consumar interamente l'opera mia. Onde intorno al tutto ed al fine generale unicamente ci volgeremo. E, come ognun sa, diviso questo poema in tre cantiche, cioè dell' Inferno, del Purgatorio, e del Paradiso, i quali sono i tre stati spirituali dopo morte corrispondenti a' tre stati spirituali della mortal vita, che il poeta anche ha voluto figurare, sotto i tre stati spirituali, i quali in questo poema fanno l' uffizio di verità e d'immagine, cioè di significato e signi

Dante.

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ficante; volendo Dante, che dalla dottrina teor logica de' tre stati spirituali, fusse significatą ancora la scienza morale de' tre stati temporali, Poichè, secondo la sua specie e proporzione, la pena o premio che avviene all' uomo dopo morte dalla giustizia di Dio, avviene ancora per qualche parte, anche in vita, dal proprio vizio o dalla virtù. Onde simile insegnamento si dà dalla filosofia nella vita temporale, che ci porge la teologia nella vita spirituale. Per lo che Dante nell' Inferno entrato, dopo conosciute le pene d'ogni vizio, passa nel Purgatorio, ed osserva de' medesimi vizi il rimedio; donde poi già purgato e mondo poggia alla beatitudine eterna ed al Paradiso. Col qual corso misterioso ci ha voluto anche svelare il viaggio d' ogni anima in questa mortal vita, ove ciascuno nascendo entra nell' Inferno, cioè nelle tenebre del vizio, sì per lo peccato originale d' ognuno che poi per il battesimo si lava, sì per le reliquie della concupiscenza che dopo il battesimo rimangono; le quali propagandosi e distendendosi nella vita civile ci assorbiscono e ci raggirano per entro un turbine di libidine, d'ambizione, d' avarizia, e d'altri vizj, da' quali il nostro mondo è in temporale inferno cangiato. Imperocchè siccome nell' Inferno è ad ogni vizio stabilita la sua pena, così nel mondo ogni vizioso porta entro la propria natura il suo supplicio; essendo la miseria e 'l travaglio dell'

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animo compagnia indivisibile d' ogni passione, la quale è dalla miseria seguitata come il corpo dall' ombra, ed assistita da lei anche in mezzo delle ricchezze, e delle vittorie, e de' trionfi, ed acquisti di provincie e regni interi. Di tai pene il deforme aspetto da Dante nel suo Inferno scoperto spira timore e spavento, dal quale mosso l'animo può disporsi alla fuga de' vizj, e passare allo stato di purgazione ed emenda, che il poeta ci rappresenta nel Purgatorio; dove possiamo il rimedio trovare coll' operazioni nuove opposte all' antiche viziose, e colla speranza della tranquillità ch' entra nell' animo, quando parte il vizio e cede il luogo alla virtù. Onde le pene figurate da Dante nell' Inferno tendono a recarci timore; quelle figurate nel Purgatorio vengono a porgerci il rimedio del male; poichè coll' operazione opposta alla viziosa possiamo l'abito della virtù felicemente acquistare. A questo abito di virtù succede la tranquillità, quando è congiunta con la cognizion di Dio, da Dante sotto il Paradiso figurata. Poichè sorgendo noi alla contemplazione dell' infinità divina svelliamo l'anima da' sensi, ch' a' vizj ed a' travagli loro ci legano, e'con astrarla da' sensi escludiamo da lei l'idee particolari e finite; le quali, perchè non tiran l'esser loro che dalla nostra fantasia, sono l'occasione di tutti gli errori e radici delle passioni, alle quali van sempre maggiori molestie congiunte

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