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sa una volta dall' originale della natura, quanto ritraendosi per varie menti trapassa, tanto più si va dileguando e più gradi va perdendo di verità e d'energia. E questa è la cagione, perchè i primi imitatori e ritrovatori sono sempre i più naturali, come più vicini al fonte. e congiunti alla realità. Onde chi più legge meno talora impara, se quel che è scritto non riscontra con quel che nasce sotto i nostri sensi ogni momento. Vorrebbero anche questi uomini molesti e tetri, che il Tasso trattato avesse non solo que' costumi e quelle passioni e fatti, che colla frase ornata e col numero rimbombante si possono esprimere ; ma ogni altro affetto o bueno o cattivo, ed ogn' altro genio umano per rappre sentare interamente il mondo civile; e che non si fosse contentato di quella sola parte, che rendesse di lontano maggior prospetto. Ma di questa mancanza ci dobbiamo consolare, per l' utile che la nostra Religione e la Cristiana onestà indi raccoglie. E forse il Tasso, che delle Platoniche: dottrine si pascea, vedendo, che Platone scacciava Omero della sua repubblica, per la ragione medesima per la quale lo stimava ottimo poeta, cioè per la viva rassomiglianza d' ogni passione ecostume; volle egli fuggire ogni riprension del suo maestro, e rendersi sicuro dall' esilio che a lui Platone minacciava. Vorebbero in fine, che si trattenesse meno sul generale, e si assicurasse

più spesso di scendere al particolare ove si discerne più il fino dell' espressione, e si conosce la necessità ed il buon' uso delle voci proprie, e l'opportunità del numero non tanto rimbombaute quanto soave e gentile. Comunque sia, questi uomini sì difficili sono assai pochi, e pochi seguaci trovano o curano di trovare, Perciò non lascerà mai la maggior parte di concorrer nel Tasso e d'acquetare, senza cercare più oltre, in questo poema, come nel fonte d'ogni eloquenza; e nel circolo di tutte le dottrine, ogni suo sentimento.

XIX. Oltre a' mentovati poemi ed Del Morgante di Luigi Pulci. altri che, o come di minor dignità o come versioni di straniere lingue, tralasciamo, come sono l' Amadigi di Bernardo Tasso e 'l Girone dell' Alamanni, merita particolar considerazione il Morgante, del Pulci, il quale ha molto del raro e del singolare per la grazia, urbanità, er piacevolezza dello stile, che si può dir l' originale, donde il Berni poi trasse il suo. Ha il Pulci (benchè a qualche buona gente si faccia credere per serio) voluto ridurre in beffa tutte l'invenzioni romanzesche, sì Provenzali come Spagnuole, con applicare opere e maniere buffonesche a que' Paladini, e con disprezzare nelle imprese, che finge, ogni ordine ragionevole e naturale sì di tempo come di luogo, tragittando a Parigi dalla Persia e dall' Egitto i suoi Eroi, come da Tolosa

o da Lione, e comprendendo nel giro di giorni opere di più lustri, ed in ridicolo rivolgendo quanto di grande e di eroico gli viene all' incontro; schernendo ancora i pubblici dicitori, le di cui affettate figure e colori rettorici lepidamente suol contraffare. Non lascia però sotto il ridicolo, sì dell' invenzione come dello stile, di rassomigliare costumi veri e naturali nella volubilità e vanità delle donne, e nell' avarizia ed ambizione degli uomini, suggerendo anche a' Principi il pericolo, al quale il regno e se stessi espongono, con obbliare i saggi e valorosi, e dar l'orecchio e l' animo agli adulatori e fraudolenti, de' quali in maggior danno proprio contra gli altri si vagliono; come figura nella persona di Carlo Magno da lui in vero troppo malignamente trasformato: fingendo il poeta, che quegli si compiaccia del solo Gano architetto di tradimenti e frodi, e che ne dissimuli la conoscenza per allargargli occultamente il freno ad opprimere Orlando, Rinaldo, ed altri Paladini, la di cui virtù, come superiore alla sua, era a Carlo odiosa. Sicchè non abbandona Gano, se non quando il pericolo da quello ordito gli pone avanti la necessità di quegli eroi, che poi di nuovo nella calma odia e disprezza. Finchè poi per tradimento del suo caro Gano vede le sue genti rotte in Roncisvalle, e con la maggior parte de' campioni ancor Orlando usciti di vita, e't

suo imperio ridotto all' estremo. Si potrebbe per la grazia del suo dire perdonare a sì bell' umore volentieri ogni scempio, ch' egli fa delle opere e personaggi grandi, se si fusse contentato di volgere in derisione i fatti umani, e non avesse ardito di stendere l'empio suo scherno anche alle cose divine, delle quali così sacrilegamente si abusa che, in vece di riso, muove indignazione ed orrore, innestando di passo in passo i sentimenti più salutari della sagra Scrittura, ed i precetti e dogmi più gravi di morale e di teologia Cristiana a' profani vili e bassi esempj, e collocandoli in quelle parti ove possono servire agli scellerati di ludibrio e di pericolo a' semplici, che con quella lettura potrebbero senza accorgersene avvezzarsi a perder la stima, e colla stima la credenza ancora delle cose più sante e più vere. Onde non posso persuadermi, che in tal' opera mai avesse potuto aver parte, come alcuni scrivono, Marsilio Ficino, il quale, come filosofo Platonico, tirava alla venerazione de' nostri misterj anche la forza della ragion naturale. Nè i sensi di teologia quivi profanati son sì riposti, che bisognasse dalla profonda dottrina del Ficino andarli a rintracciare. Consento sì bene, che gran parte di quel poema debbasi ascrivere all' ajuto del Poliziano, non solo per quel che da Merlin Coccajo si trova scritto, ma da quello ancora che dal medesimo

Pulci, per gratitudine verso il suo maestro, sì nel canto xxv. come nell' ultimo vien palesato. XX. Da' poeti epici e narrativi pasDelle Tragedie. seremo a' drammatici ed operanti, cominciando dalle tragedie, nelle quali la lingua Italiana, siccome cede alla Greca, a cui cedevano anche i Latini, così vince ogni altro idioma vivente. Imperocchè le nostre tragedie sono ad imitazion delle greche inventate, ed espresse con simil simplicità di stile, gravità di sentenze, e movimento d'affetti o miserabili o atroci, come nelle più principali si può riconoscere, le quali al comune de' nostri dotti sono la Sofonisba del Trissino, la Canace dello Speroni, la Rosmunda del Ruccellai, e tra molte altre del Giraldi l' Orbecche, la Tullia del Martelli, e il Torismondo del Tasso. Ma quantunque gli autori

parer

queste ed altre simili tragedie Italiane abbiano raccolto il lume non da lingue incolte, come molti novelli, tanto nostrali quanto stranieri, han fatto, ma dal greco cielo; nulladimeno perchè la greca lingua, oltre le altre sue felicità, poggia in alto colla semplice niente meno che colla traslata locuzione, non perdendo colla grandezza della frase e del numero parte alcuna del naturale; della qual facoltà non è tanto dotata l' Italiana favella, tutto che, come rotonda e sonora, sia molto più maestosa che l' altre figlie della Latina; percio non è maraviglia, se i nostri

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