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moto regolato dell' animo, vedranno che il suo uffizio è tutto rivolto al buon uso de' beni umani, come l'uffizio della liberalità al buon' uso delle ricchezze; l' uffizio della fortezza al buon' uso del vigore; l' uffizio della prudenza al buon' uso della cognizione; l' uffizio della temperanza al buon' uso de' piaceri ; alla qual temperanza e participazione onesta di piacere si riduce questo amore, il di cui uffizio è intorno all' uso della bellezza, traendo da lei il diletto non del senso ma della ragione ; a cui la bellezza serve per occasione e porta da entrar nell' animo della cosa amata, e come chiave a disserrare a lei il suo per comunicazione di scambievole amicizia da somiglianza di onesti costumi alimentata. Imperocchè la bellezza è virtù del corpo, come la virtù è bellezza dell' animo; la quale con quella del corpo conviene in una medesima idea sotto materia diversa, e da simile armonia vien costituita e regolata. Onde incontrandosi l'esterno coll' interno, viene l' animo nobile rapito dalla bellezza, come dalla sua immagine esteriore, e desidera trasfondersi nella cosa amata per mezzo dell' amore scambievole, il quale s'arma d' oneste operazioni, per impetrare dalla ragione l' ingresso nel cuore altrui. E tra questi tentamenti ed agitazioni nascon più calde voglie, e più fine gelosie per il possesso dell' animo che sentano i volgari amatori per il

possesso del corpo. Anzi perchè a proporzion dell' ingegno crescono le passioni quindi avviene che l'ammirazione, la stima, e 'l desiderio del Petrarca sopra la sua donna sormontano ogni credere, e sembran di trapassare il naturale, perchè alla cosa amata non tanta bellezza e virtù contribuisce la natura quanta l'opinion dell' amante, che a proporzion della sua mente e passione l'accresce, e l'innalza sin presso il confine della divinità. Onde affina il suo culto secondo la sottigliezza de' desiderj e pensieri, che men dell' esterno si pascono più indentro lavorano, e più penetranti divengono, come quelli che hanno tutto il commerzio loro coll' anima, e con quella parte del corpo che più dell' incorporeo partecipa, la quale è l'armonia esteriore, cioè la bellezza che in tal maniera governata diventa madre d' oneste voglie e nobili e generose, tutto che non senza pericolo nè libere affatto dagli assalti del senso, al quale colla difesa della ragione si va resistendo. Perciò nel Petrarca osserviamo tante guerre e tante varietà, anzi contrarietà d'affetti e sentimenti che tra di loro combattono, li quali egli sì vivamente espone, che tra di loro combattono, li quali egli sì vivamente espone che sembra scolpire i pensieri, e l' incorporea natura render visibile: tanto in ciò più fino de' Latini, quanto che a coloro da volgar' amore occupati di tai sentimenti la conoscenza o

mancava affatto, o da' Platonici discorsi, come filosofica favola, compariva. E perchè nel Platonico, ovvero Pittagorico, sistema il Petrarca tutto il suo amore stabilì, perciò volle, anche Pittagoricamente secondo la dottrina della trasformazion dell' anime favoleggiare sul nascimento della sua donna: la di cui anima egli trasse dalla medesima Dafne, della quale si accese Apollo, nel cui luogo se stesso pose. Quindi egli non freddamente, come il più de' moderni, ma con sensata allusione scherza non di rado sopra il nome di Laura dal lauro, che Dafne in greca lingua s'appella, col quale significa la persona di quella ninfa nella vita della sua donna risorta. Di Giusto d XXIX. Vicino al Petrarca nell' Conti Roma. no Senatore. espressione fu Giusto de' Conti Romano Senatore; le di cui rime liriche, le quali portano il titolo della Bella mano, son così dolci, sì gentili, sì piene di teneri affetti e leggiadri pensieri, che per ragion ereditaria par' egli entrato in possesso del Petrarchesco candore.

Del Montemagno.

XXX. In simili note, nella medesima età del Petrarca, risonò la lira del Montemagno. E questi ambidue, benchè non spandano sì largamente l' ali, nè puggino a tanta altezza quanto il Petrarca, nè tal dottrina abbraccino e tanta varietà di passioni; pure nella lor linea di gentilezza e tenerezza son tali, che'

non molto in loro si desidera di quello, onde in questa parte più il Petrarca fiorisce.

Di Franco
Sacchetti

XXXI. Ornò ancora il suo secolo non Fiorentino. solo colle sceltissime novelle, ma colle candidissime rime liriche Franco Sacchetti Fiorentino, il quale a' sublimi onori, che 'l suo antico legnaggio godeva, tanto civili nella sua repubblica, quanto militari sotto i re di Napoli, volle anche innestare la gloria della più culta letteratura, la quale poi, coll' acquisto delle dignità, è in Roma ne' suoi posteri sino all' età nostra discesa.

D'Agostino

XXXII. Nè leggiera è la lode che Staccoli da nel medesimo genere di poesia si me

Urbino, e

del Sanazza- ritò Agostino Staccoli da Urbino, il ro, Polizia

no, Bembo quale sostenne le forze dell' Italiana e Casa. lira, che a i suoi tempi cominciavano a languire, e che furon poi ristorate interamente in Napoli dal Sanazzaro ; finchè sotto la genero、 sità di Lorenzo de' Medici, nobile egli ancor nella lirica, sotto la scuola del Poliziano, autor di quelle maravigliose ottave, risorgendo tutte le belle arti, potè questo genere di poesia ripigliar colle mani del Bembo la cetra del Petrarca, imitata poi degnamente da stuolo sì numeroso, che non trova quì luogo per se capace, e così noto che niun' oltraggio riceve dal nostro silenzio. Conciossiache niuno di loro per propria invenzione richieda da noi giudizio distinto, se non che

il Casa; il quale guidato ancor dalla traccia del medesimo Petrarca nel sonetto,

Mentre che 'l cor dagli amorosi vermiş

ed in quello,

Fera stella se'l cielo ha forza in noi;

ed in un' altro,

Giunto m' ha Amor tra belle e crude braccia ; tentò coll' esempio del nostro Galeazzo di Tarsia, che poggiò al più sublime grado di magnificenza, nuovo stile più degli altri ad Orazio somigliante, per il maestoso giro delle parole, ondeggiamento di numero, e fervor d' espressione ; benchè di copia, varietà, fantasia, e sentimento ad Orazio ed all' istesso Petrarca inferiore. Il quale non sarebbe, se le sue rime le faville di quella scienza comprendessero che Gregorio Caloprese, mio cugino e maestro, ne' suoi dottissimi comentarj, fatti sopra venti di que' sonetti, ha voluto dalla profondità della sua cognizione verso di loro derivare: non per ascrivere al Casa i sentimenti di quella filosofia chi egli professa, ma per render la filosofica ragione di quegli affetti che il Casa commove. Dell'uso di XXXIII. Sin qui si è brevemente detto intorno alla vera idea della poesia, ed intorno alla ragione donde le poetiche regole e le opere de' migliori autori provennero, parendo ciò lume bastante a condurre spedita

questa ope

ra.

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