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Vedi chi spinse balenando all' etra
Da Tebana faretra

I suoi strali sonanti all' alme elette ;
E quei che in leggiadrette

Rime, scherzando tra mirteti e rose,
Alle Ninfe vezzose

Sciolse bocca ridente in suon benigno
Di Cipro ebbrifestoso allegro Cigno.

Ve' chi lume dal ciel portò su scena Primiero, del coturno il Prometéo ; Ve' chi'n Tebe e Colon tanto potéo, Aprendo larga e maestosa vena,

D' Atene lo splendor divino e grande ;

e

E quei che di ghirlande

Cinto, con grazie allettatrici al fianco,

Saggio soave e franco,

Pianse pietoso d' Argo e di Micenc

L'abbandonata spene,f

a Pindaro. b Anacreonte. c Eschilo.

d Sofocle. e Euripide.

f Ifigenia

a

A cui fausti natai rise Nettuno

Di stragi Perse rosseggiante e bruno.

Senti sul Tebro poi l' amabil aura

b

Del Cantor di Venosa almo e possente,

Che tra valli Sabine dolcemente

Con molli fiati il gentil cuor ristaura;

O pur che acqueti sdegni innamorati
Protervi sì, ma grati;

O con alteri e-trionfali modi

Più nobil canto snodi,

Allor che d'armi travagliato seco

Augusto al sacro speco

Depose, in grembo alle sorelle amiche,
Le superbe di Roma alte fatiche.

Ma s' avanza da ciel lo stuol divino, Che per nuova di Pindo alpestre balza L'insegna luminosa all' Arno innalza Impressa del valor Greco e Latino.

a Euripide nacque il giorno della battaglia di Salamina. b Orazio.

Ve' chi' na superni giri, o per sue bolge,

Da sovrano si volge;

Il bel Toscan; l'Omero Ferrarese;

E l'ardito & Pavese

Di Tebani color raggioso il manto,

Or del Tamigi il vanto,

E, se pur lice ai miei stranieri inchiostri, Convien che ognor tra noi maggior si mostri.

Deh mira d' Eloquenza il frutto e'l fiore, E i rivi d'armonia vaghi e beanti Che, larghi dal natìo lor fonte erranti,

Danno scorrendo ai versi e vita e odore!

Febo dal caos tolse e in luce pose

De' gran regni le cose,

E le piaghe sanò del mondo afflitto

Or da Marte trafitto;

Tinte d' ambrosia pel fragor dell' armi

Volàr parole e carmi,

E dall' almo poter vinti o placati

Piegarsi poi la Morte, il Tempo, e i Fati.

a Dante. b Petrarca. & Ariosto. d Guidi.

CANZON, negli orti regia va sicura,

U' dell' arti Febee maestra e duce

L'alta Donna riluce,

E dimanda cortese,

Se forma ancor più belle e grandi imprese,
O, sdegnosetta pur ch' altri la segua,
Si cela fra i laureti, e si dilegua.

a Del Palazzo di Hampton Court.

Londra
Maggio 1806.

T. J. MATHIAS.

AGLI ERUDITI

LETTORI INGLESI

AMATORI DELLE BELLE ARTI

E

DELLA POESIA.

NoN si trova tra i critici emulatore più giusto e severo degli antichi Greci e Romani, nè conoscitore più fino d'ogni materia rettorica e poetica, e più sicuro di stima e di gloria del Gravina. Era di costume, di talento, e di senno singolare e pellegrino; e tralucono per tutto i lampi della più profonda scienza e del giudizio più maturo, senza pompa e senza ozioso lusso di parole. Grave, maestoso, facondo, venne a sedersi tra la dotta e filosofica famiglia presso il Tullio e il Fabio; e seppe non meno ottimamente comporre che perfettamente giudicare, come critico degnissimo d' essere studiato ed onorato in tutti i secoli.

Di questo fa luminosa testimonianza l' insigne

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