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intraprendere una tale carriera, piuttosto che scegliere una professione, cui non sono chiamati, che per sola ambizione! E quanti altri dell' infima classe ricusando di seguire le vie dei padri loro perdono tempo e danaro per riportare una laurea, che ad essi non arreca verun profitto! E cosa avviene di questi aborti della società! Condotti dalla imperiosa necessità respingono l'istruzione ricevuta dalla società contro la società medesima: e commettendo azioni basse, vili, disonoranti diventano istromento di delitto, per cui sotto la forza imperiosa delle passioni esaltandosi le facoltà intellettuali finiscono per darsi a volontaria morte, e divenire in tal modo carnefici di se stessi.

(126) Esquirol ha saggiamente cercato di far conoscere e persuadere a' Francesi la cattiva influenza derivante dal rendere pubblici i suicidj per mezzo dei fogli periodici (Oper. cit.). Ma la premura di lui rimaneva senz' effetto, anzi fatta inutile dalla libertà della stampa, la quale non dovrebbe giammai prevalere ai veri interessi dell'umanità.

(127) Scrivendo Bozzelli intorno la tragedia asserisce, che il suicidio dell' insensato mosso da stolti e falsi motivi, quello del colpevole agitato da rimorsi, lasciano freddo l'animo degli spettatori; laddove il suicidio dell' infelice oppresso da accidentali sventure desta nei medesimi vive commozioni di pietà (Biblioteca Italiana 1837 Novembre). Ma giova riflettere che nell' uno e nell' altro caso è sempre riprovevole, che costituisce un traviamento della ragione, e che il convertire questo traviamento in magnanimità, e farne una specie di eroismo, un punto di onore, un sentimento di compassione egli è lo stesso che gettare sul teatro massime deplorabili senza pensare che queste hanno grande influenza nel corrompere la morale dei popoli. Per questa ragione Esquirol non ha mancato di rappresentare ai Francesi i danni risultanti dal mettere sulla scena tragici avvenimenti (Oper. cit.). Più volte i nostri foglj periodici, i giornali scientifici, morali hanno declamato contro l'uso moderno di rappresentare continuamente sul teatro fatti tragici, giunti ormai alla noja ed al disprezzo. Ma che giovano i lamenti degli amici dell'umanità, del pubblico bene,

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se questi non vengono ascoltati, e sostenuti dalla sapienza governativa, come la sola e l'unica la quale può prevenire o scemare cotanto disordine!

(128) La religione cattolica è il solo mezzo capace di far sopportare tutti li mali della vita, ed il considerare la morte come il rifugio, il termine dei mali con procurarsi volontariamente la medesima, non è che la conseguenza funesta delle dottrine del materialismo. Perciò non evvi migliore preservativo contro la disperazione ed il suicidio fuorchè la speranza, e le credenze religiose della nostra fede, la quale non si dà che in grembo della chiesa cattolica. Quante persone si sarebbero date a volontaria morte, se la religione non avesse loro trattenuto il braccio e la mano! I medici a preferenza degli altri sono in grado di presentarne gli esempj. Il virtuoso Silvio Pellico descrivendo la sua trista situazione, e gli affanni che provava, soggiunge qualche tentazione di suicidio mi prese: ma grazie al Cielo le smanie non erano durevoli, e la religione continuava a sostenermi (Le mie prigioni Cap. xvin). Quale esempio per tanti individui, i quali contro la noja della vita, i dispiaceri dell' anima, il bollore delle passioni, l'eccesso di prosperità, l'estremo della miseria ecc. non trovano altro rimedio che il suicidio, quale trista ed unica risorsa di quest' epoca di intolleranza e di materialismo! Ma la scienza di sopportare la vita, e gli accidenti d'onde è accompagnata è più difficile e più sublime, che quella di abbandonare la medesima. La filosofia dice al suicida ch' egli è un vile, un infame: ma il suicida disprezza la stessa filosofia, perchè crede di sentire nel suo cuore che dessa mentisce.

(129) Napoleone il quale conosceva a fondo gli uomini, senza il soccorso della scienza frenologica cui non prestava credenza veruna, aveva riconosciuta necessaria l'esistenza di un certo numero di conventi per servire di asilo nelle grandi disgrazie agli uomini collocati in istraordinaria posizione, e di rifugio alle immaginazioni esaltate, che non convengono più col Mondo, ed alle quali lo stesso Mondo è divenuto oggetto di pena e di disgusto (Dubreyne Oper. cit.). Quando con siffatto mezzo venisse conseguito il solo vantaggio di prevenire

un certo numero di suicidj, il pensiero di Napoleone stesso merita tutta l'attenzione dei moralisti, dei politici, dei legislatori, e dei filantropi Governi (*).

(*) Niuno negherà la giustezza di questo pensiero di Napoleone: ma niuno lo accetterà per compito, ove ponga mente che per un uomo il quale in grandi disgrazie, ed in circostanze straordinarie cerca un rifugio nei conventi e anela ad una vita di espiazione, cento vi recano la pace della coscienza e della virtù, nè vi sono condotti da altra passione fuorchè lo zelo del bene altrui, e il desiderio della propria perfezione morale: bisogno delle anime pie e delle nazioni cristiane, che sotto ogni ben ordinato governo deve trovar modo di essere protetto e soddisfatto.

(I Compilatori)

ELOGIO STORICO

DI MONS. CARLO MARIA FABI

VESCOVO DI AMELIA

SCRITTO

DA FRANCESCO FABI MONTANI

La morte di monsignor Carlo Maria Fabi, vescovo di

Amelia, avvenuta in Roma nel convento delle Convertite sul cominciare del delirio repubblicano, doveasi alla posterità tramandare. Imperocchè se da una parte fu essa apertissima prova di quell'animo forte e di quello zelo, che ne' travagliosi tempi della chiesa spiegarono mai sempre i pastori a tutela delle anime alla loro cura affidate, nulla dall' altra si pretermise, acciocchè tale notizia, se non da tutti (cosa per verità impossibile) dal minor numero almeno fosse conosciuta. Pertanto non solo ho divisato di fedelmente descriverla, ma di narrare eziandio la vita di questo prelato: essendo ben vero, che la grazia di santamente terminarla in sostegno della religione addimostri, che dovett' essere adorna di belle virtù, solendo ordinariamente Iddio così prepararvi i suoi servi più cari. Che se il mio rozzo dire ben poco a lui potrà aggiugner di lode e di onore, io mi confido che sarà in alcun modo grato ai suoi diocesani, e a quanti si piaccion di cose ecclesiastiche: ed utile a coloro, che torranno a scrivere le storie di questi ultimi tempi. Avvegnachè non di rado avviene, che molti chiarissimi e degni di nobile ricordanza, forse pel grande numero che ne abbiamo, trapassino oscuri in guisa, che dopo il volger di non molti anni delle cose da loro a pro' della religione e della società operate poco o nulla si sappia.

È Santogemini (1) piccola ed amena città in un colle dell'Umbria nella diocesi di Narni, da cui dista forse otto miglia, sulla via provinciale che conduce a Perugia, fabbricata sulle ruine dell'antica Carsoli. Col nome di Casuento, o Casuentino, fu municipio romano, cattedrale ne' secoli di mezzo, distrutta nel IX dai saraceni, e poco dopo ricostruita venne così chiamata da un santo monaco benedettino, siro di nascita, discendente dagli antichi re della Persia, ivi per alcun tempo vissuto. Segno alla militare licenza de' veneziani, ebbe nel cinquecento incendi e saccheggi: ducato alla santa sede fedelissimo, e con proprio statuto reggentesi, fu da Clemente VII e da Paolo III dato in feudo agli Orsini, dai quali passò ai Santacroce. Pio VI e Pio VII le confermarono con brevi apostolici l'antico nome di città. La vaghezza dell'orizzonte, la salubrità dell'aria, la fertilità de' campi, la bontà delle acque acidule (2), la cortesia degli abitatori ne rendon piacevolissimo il soggiorno. Ebbe molti personaggi insigni per santità, per dignità, per lettere (3), e come si ha dal Wadingo il serafico patriarca segnalovvi con bel miracolo la sua dimora. Contò famiglie illustri anche di origine longobarda, in oggi però estinte. Chiara da immemorabile tempo, facoltosa, e aggregata fin dal 1639 al nobile municipio spoletino, era ivi pur quella de' Fabi, in cui si consolidarono i conti Capitoni Montani signori di varie terre, pel matrimonio avvenuto nel 1679 tra il capitano Giuseppe, avo del vescovo,

(1) Benchè molti abbiano scritto intorno a questa città, noteremo fra gli altri il padre Egidio Antonio Mili cappuccino, e mons. Galletti vescovo di Cirene, il quale ne raccolse molte autentiche memorie dagli archivi di Todi, di Perugia, e di Santogemini stesso conservate nella biblioteca vaticana tra i manoscritti di quel dotto prelato.

(2) Analisi delle acque minerali di Santo Gemini eseguita da Sebastiano Purgotti, professore di chimica nella università di Perugia. Perugia 1841. Tipografia Bartelli.

(3) Da un' operetta del padre Gio. Domenico Faldulfi da Santo Gemini, minore conventuale, intitolata Geminale compendium totius artis rethoricae etc. Romae 1630 apud Corbellettum, rilevasi essere ivi fiorita una letteraria accademia detta de' nuvolosi.

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