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ciso della novena, durante l'azion si possente del Santo Sacrificio, all'istante che il Prezioso Sangue, oggetto d'una sì viva fiducia, è offerto all' adorazion de' fedeli; questo nuovo e meraviglioso riscontro di fatti e di circostanze stimola i più indifferenti e sconcerta i più increduli. Si fa, nello stesso momento, un concorso immenso nel luogo del portentoso successo.

<«< Questa inferma cronica sì conosciuta, questa agonizzante della vigilia, o a meglio dire dell'istante precedente, si è seduta con facilità; i suoi fianchi rafforzati portano agevolmente il peso del corpo; il suo capo che sì abbattutamente cadeva sotto il fascio dei dolori, si sostiene dritto e fermo sopra le spalle; gli occhi suoi, che fuggivano con tanta aversion dalla luce, sono largamente aperti e ricevono con delizia il chiarore del giorno: la bocca sua, muta da quattro anni, ripete per la centesima volta ad ogni novello sopravvegnente che tutto il suo male è sparito; la sua fisonomía, già improntata d'un patimento sì forte, ora brilla di una vivezza che incanta tutti gli assistenti.

« Alla vista di sì mirabile e subito cangiamento la folla che riempie la camera è presa da vivissima commozione. Don Gaspare è mille volte benedetto; la parola miracolo suona per ogni bocca; s'inginocchiano per ringraziar Dio; s' inteneriscono, piangono, pregano come forse non hanno giammai pregato; tanto sono colpiti, penetrati, adimati nel proprio nulla davanti al Dio onnipossente che, a segni sì manifesti, è di quivi allora allora passato, per dire alla paziente: Mia figlia, tu hai sofferto abbastanza: sii guarita!

T. XVI.

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« Marianna Pierre ha ricevuto, quel giorno, le congratulazioni premurose di sette ad ottocento persone. I giorni seguenti, ella visitava, a vicenda, tutte quelle che avevano mostrato interesse per lei nel tempo della sua lunga miseria. »

Corenc, presso Grenoble, 21 novembre 1842.

<< Il Signore, nella grande sua misericordia, mi ha accordato un favore, ch' io doveva tanto meno aspettarmi, quanto più n' era indegna. Sia dunque lodato e benedetto in eterno per la sua bontà infinita e per la sua tenera compassione verso le sue povere creature! Sì, la vita ch' ei m' ha renduta, non sarà d'or innanzi impiegata che alla sua maggior gloria. Per questo motivo, e per quello dell' obbedienza da me dovuta a' miei superiori, io sono qui per riferire, con tutta semplicità, di qual modo io sono stata liberata, per la mano di Dio, da' patimenti che mi tenevano oppressa.

<< Da circa tre anni, io era soggetta agli attacchi del male che mi consumava. Io non fui sin d'allora obbligata al letto; ma debole e languente io trascinava con pena un corpo interiormente travagliato dalla morbosa affezione, il quale si affievoliva ogni giorno e pareva essere insensibilmente abbandonato dalla vita, non ostante gli sforzi che si facevano per rattenercela.

<< Finalmente a' 16 di aprile del 1842, fui costretta a pormi in letto, spossata straordinariamente dai dolori molto più intensi. I mali di stomaco, i mali

di capo, le palpitazioni si raddoppiarono, e furono accompagnati da laceramenti di viscere, da strette di cuore e da vomiti che mi martoriarono, la prima notte. Queste crisi si rinnovarono spesso nello spazio di un mese. Duravano assai; ed una, che si prolungò per sedici ore, m'indebolì di tal sorta che a stento potei essere richiamata all' uso de' miei sensi. Tutto il corpo, ma sopratutto lo stomaco e il cuore, erano sì mal affetti da non poter sopportare la più lieve pressione. Il minimo movimento del lato destro mi strappava un grido di dolore; ond' era costretta a rimaner supina, ed a non levarmi, specialmente negli ultimi tempi, se non quando avevano a rifarmi il letto. Io passai anzi parecchi giorni senza potermi alzare, per effetto degli acuti dolori che mi cagionava il più leggier movimento. Io non potea discorrere senza eccitare una tosse irritante che m'accendeva nel petto un fuoco divoratore. Provava sì gran bisogno d'aria, che la finestra della mia camera stava continuamente aperta, ben anche nelle umide e fredde notti di ottobre. Dal momento che la chiudevano, io mi sentiva soffocare; la qual cosa mi accadeva medesimamente se alcuno, appressandosi al mio letto, interrompeva la colonna d'aria che di là mi veniva.

<< Il mio alimento, durante tutto questo tempo, consisteva principalmente in alcune zuppe fatte col sedimento di patate spremute, ma senza condirle di burro, perchè non avrei potuto sopportarle più nutritive.

« Ne' primi mesi che mi trovai obbligata al letto, provarono più volte di farmi prendere brodi

succosi, carni di volatili, ed altre cose leggere e sostanziose ad un tempo; ma cagionandomi questo trattamento gravezza ed angustia grande allo stomaco, bisognò sottrarre successivamente il pane, la carne, il brodo, anche il più semplice di pollo, e contentarsi della sola minestra sovraccennata, aggiugnendovi qualche volta pezzetti di ciambella, che pur quasi sempre mi recavano incomodo.

<«< Alla fine io declinava sensibilmente, quando il venerdì, 14 ottobre, io ricevei la visita di un medico il quale trovommi in pessimo stato. Egli mi osservò qualche tempo con un' aria inquieta ed uno sguardo in cui si leggeva lo scoraggiamento, disposizione interna ch' egli manifestò dicendo all' infermiera, nell' uscir della camera: « Io non so più che <«< cosa ordinare: traetevi d'impegno come potete. «< Se la povera inferma guarisce (rispose l'in<< fermiera) sarà dunque un miracolo? Oh per << questo (soggiunse il medico) io ne farò volentieri «< il certificato. >>

<< Non trovando i medici nell' arte loro nessun rimedio che potesse farmi sperare, non che di guarire, ma pur di essere sollevata, non rimaneva dunque più nulla ad aspettar dalla terra; e se la perseveranza non fosse una condizione della preghiera per essere esaudita, direi quasi che non si aspettava più nulla neppur dal cielo; poichè da lungo tempo il mio buon fratello (1) e tutte le nostre care suore non cessavano d'innalzare al cielo le preci più fervorose pel mio ristabilimento

(1) M. Gerin, Curato della Cattedrale di Grenoble.

« E tuttavía pareva che Dio non ascoltasse tutti questi voti; ma egli aveva il suo giorno che non era da noi conosciuto..... Questo giorno fu il giovedì, 20 ottobre. La Provvidenza permise che, in quel giorno medesimo, arrivando dal Luvese una delle nostre suore, seco recasse della polvere del sepolcro di S. Francesco Regis, e ne desse all' infermiera narrandole le maraviglie che piaceva d'operare al Signore per intercessione di quel gran Santo, e solamente colla polvere che aveva toccato la sua tomba (2). Io era in quel punto travagliatissima, oppressa da grave catarro, con le guance e le gengive enfiate, e la voce talmente estinta che, per comprendere le parole da me con pena articolate, bisognava appressar l'orecchio alla mia bocca.

<«< Era circa le quattro pomeridiane; e a' miei patimenti corporali si aggiunsero fieri combattimenti interiori. Mi sembrava che sarei rimasta ancor lungo tempo in quel misero stato; poi pensava con terrore ch' io stava per comparire, a mani vuote, dinanzi a Dio!.... Di modo che sì la vita e sì la morte mi presentavano soggetti di sbigottimento, ed immergevano l' anima mia nell'angoscia e nella desolazione. Finalmente, col soccorso della grazia, mi rassegnai a tutto; ed alla tempesta succedette la calma.

<< Pochi momenti dopo, io sentii un fremito in tutte le membra.... poi mi parve di non avere più

(2) Io non seppi l'arrivo di questa suora e tutto ciò ch'ella raccontava di meraviglioso del Santo, se non dopo la mia guarigione.

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