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que essere ancora più falso: il fare una menzogna (пolεĭν yεudov) è più riprovevole che il pronunziarla. La sincerità vera, ideale, è quella che dal pensiero si traduce nella vita, è nella massima aristotelica ἐν βίῳ ἀληθεύειν.

Il Wollaston esagerava il principio che il fare è anche pensare, ossia che ogni atto è implicitamente un'affermazione o una negazione. Se un gruppo di soldati spara contro un altro gruppo, quest'atto equivarrà alla proposizione: « i due gruppi sono nemici »: se non lo fossero, l'atto, secondo il Wollaston, sarebbe falso, cioè una menzogna. Se un patto non fu mantenuto dopo essere stato contratto fra due persone, si commise una menzogna, essendosi, con l'atto negativo e implicitamente, affermata la proposizione: « nessun patto è intervenuto fra l'una e l'altra persona » proposizione contradittoria all'altra: il patto ci fu ». Se un tale vive non conformemente al suo stato, si potrà dire ch'egli vive una menzogna (lives a lye), o con Crisippo « τὰ ψευδῆ πράγματα διώκων » . Ε potremmo continuare negli esempî che il Wollaston offre nell'opera The religion of nature delineated, a sostegno del suo, diremo cosi, intellettualismo etico. Egli, com'è noto, va molto oltre nelle induzioni, considerando l'immoralità e l'ingiustizia essenzialmente come negazioni del principio d'identità. Un atto che esprime una proposizione falsa non può essere retto, contrapponendosi alla relazione naturale esistente fra soggetto e predicato, fra cosa e cosa; è contrario alla stessa natura, negando l'eterno assioma che ogni cosa è ciò che è; non solo, ma è un'offesa anche alla divinità nella cui mente quell' assioma sussiste ab aeterno; è un sovvertire tutto il sapere, è negare la stessa esistenza delle cose perchè nulla esisterebbe se le cose non fossero ciò che sono. La vera religione

della natura, la religione naturale, è nel riconoscimento della verità, per cui si fa ciò che si sa dover essere fatto, è si ommette di fare ciò che si sa di non dover fare. In ultima analisi da questi principî del Wollaston si deduce che l'errore morale è un errore intellettuale, e che se per es. si rifiuta il proprio soccorso al povero, ciò avviene perchè si disconosce la sua povertà, come se bastasse riconoscerla perchè ne risultassero, con la compassione, l'impulso alla beneficenza e l'atto analogo. Il mentire insomma sarebbe l'essenza ultima della colpa morale.

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Non c'indugeremo nè questo a dir vero sarebbe il luogo opportuno a dimostrare perchè l'intellettualismo etico del Wollaston non può essere accolto; ma non lascieremo di osservare che è in realtà una finzione l'atto che si presume morale quando non vi corrispondano le effettive tendenze e il sentimento; come sarebbe finzione l'immoralità apparente nell'atto, se le condizioni nelle quali venne compiuto non sono quelle che alla reale immoralità si richiedono. L'azione può essere moralmente una menzogna, discordando dal pensiero e dal sentimento che si pretende la informino; onde non può bastare alla vera, assoluta virtù l'accordo apparente della condotta con l'ideale etico astratto, ma questo ideale dev'essere profondamente vissuto perchè l'azione risulti sinceramente e perfettamente morale.

Anche sotto questo rispetto può essere feconda e salutare l'analisi interiore. L'individuo che non penetri sè stesso, può fingersi più morale che in realtà non sia, può esagerare il valore delle proprie azioni, trascurando così quella interiore e radicale riforma di sè che ridonerebbe sincerità e accrescerebbe valore alle sue azioni e alla sua personalità. La massima socratica Conosci te stesso » ha in ultimo

questa significazione sovranamente morale: Purifica il tuo pensiero, affinchè anche le tue azioni siano più sinceramente morali; vinci in te l'incosciente, affinchè nell'aumentato contenuto della coscienza tu trovi maggior copia di elementi per i quali ristabilire in te l'ordine morale.

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Dall'analisi della finzione compiuta nel precedente capitolo apparisce come non vi sia campo dell'attività psichica in cui non serpeggi la finzione. Immaginando come reale ciò che non è reale, si alteráno nella considerazione di sè gli aspetti del proprio essere interiore; si mentisce a sè stesso psicologicamente, come si mentisce agli altri, socialmente; e il dramma apparente degli affetti, delle idee, delle credenze, della volontà stessa riflettentesi nell'azione, discorda negli episodî e forse anche nell'intiero contesto, dal dramma intimo il cui svolgimento costituisce la storia più reale della personalità dell'individuo. Ma l'analisi può procedere ancora più innanzi, e addentrarsi ancora più nel meccanismo logico e psicologico del fingere.

G. MARCHESINI

Le finzioni dell'anima.

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Con la finzione s'ingenera nell'anima l'equivoco, s'istituisce, per l'espressione logica di cui il dominio interiore è necessariamente suscettibile, la contradizione. Alterare con l'artificio la natura del sen timento, tentare nel pensiero teoretico conciliazioni logicamente impossibili presumendone la perfetta coerenza logica, credere in apparenza ciò che nel fondo di sè non si crede, o non credere apparentemente ciò che intimamente si crede, presumere la continuità logica dell'azione col pensiero, quando pensiero e azione si smentiscono reciprocamente, sono specie non dubbie di contradizione, sono i sofismi dell'anima.

E se si considera che la vita stessa esteriore può essere informata da questi sofismi, e che per es. si mescolano spesso gl'interessi religiosi con gl'interessi materiali, mentre teoricamente si pretende che debbano rimanere separati, o che si professano pubblicamente sentimenti diversi da quelli che si manifestano privatamente, mentre si pretende che le due specie di sentimento debbono rimanere unite e concordi, si converrà che l'essenza logica di queste, come in generale delle varie forme della finzione, è la contradizione. Penetrando pertanto in questo aspetto, logico, della finzione, noi approfondiremo la nostra analisi, preparandoci un più vasto terreno alle future induzioni, a cui darà più largo fondamento un nuovo ordine di considerazioni circa la natura psicologíca (del resto non nettamente separabile dalla natura logica) della finzione.

Si finge, contradicendosi, in quanto si scambiano fra loro: 1o il possibile con il reale; 2° il vario con l'identico; 3° il particolare e il concreto, con il generale o l'universale, e l'astratto; il soggettivo con l'oggettivo; 4° il parziale con il totale.

Il possibile non è, almeno mentalmente, il reale.

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